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Home » Economia

Cosa è e a cosa serve il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, il cosiddetto Fondo salva-Stati

Immagine di copertina
Foto: Pixabay

MES, cosa è il Meccanismo Europeo di Stabilità

Negli ultimi giorni il MES, Meccanismo Europeo, noto anche come Fondo salva-Stati, è finito al centro del dibattito politico per la sua riforma: qui vi spieghiamo brevemente cosa è e a cosa serve, come funziona.

S&D

Cosa è

Il MES (in inglese ESM, European Stability Mechanism) è un’organizzazione internazionale nata come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro. È nata nel 2012, in sostituzione del Fondo europeo di stabilità (FESF).

Il Meccanismo Europeo di Stabilità fu pensato al tempo della crisi greca, nel 2010, e poi istituito un anno dopo con modifiche al Trattato di Lisbona, approvate dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles a marzo 2011. È attivo da luglio 2012.

Il MES ha sede a Lussemburgo ed è regolato dalla legislazione internazionale. Viene gestito da un Consiglio dei Governatori formato dai ministri finanziari della zona euro, da un Consiglio di amministrazione, che viene nominato dallo stesso Consiglio dei governatori, e da un direttore generale. Sono osservatori al MES inoltre, il commissario Europeo agli Affari economico monetari (oggi Pierre Moscovici e tra pochi giorni Paolo Gentiloni) e il presidente della BCE.

A cosa serve

Il MES è uno strumento dell’Ue che serve per dare assistenza ai Paesi della zona euro che si trovano in difficoltà finanziarie. Attraverso il cosiddetto Fondo salva-Stati possono essere concessi prestiti, acquistati titoli di debito sul mercato primario e secondario, fornita assistenza finanziaria, si può intervenire sulla ricapitalizzazione di banche e istituzioni finanziare e si possono concedere prestiti ai governi.

Come funziona

Per essere aiutati dal Meccanismo di Stabilità, però, gli Stati devono rispettare uno specifico piano di risanamento economico basato sull’analisi di sostenibilità del debito pubblico. E l’analisi spetta, al momento, alla Commissione Europea insieme al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e alla Banca Centrale Europea (BCE), la cosiddetta Troika.

Il MES, come detto, ha un capitale autorizzato di circa 700 miliardi di euro ma gli Stati membri ne hanno versati solo 80, perché per i rimanenti è prevista la raccolta attraverso emissioni di obbligazioni sul mercato. L’Italia, che ha una quota di contributo di poco inferiore al 18 per cento, ha messo 14 miliardi. Soltanto la Francia e la Germania versano di più, rispettivamente con quote del 21 e 27 per cento.

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Tra il 2010 e il 2015 il MES è intervenuto in 5 Paesi: Grecia, per tre volte, Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro. In cambio degli aiuti i rispettivi governi hanno dovuto mettere in atto una serie di riforme sotto il controllo della Troika. Da quando sono operativi, il MES ha già erogato prestiti per 254,5 miliardi di euro.

L’assistenza a uno stato in difficoltà finanziarie viene conferita su richiesta del Paese stesso. L’organo plenario del Meccanismo Europeo di Stabilità dà mandato alla Commissione Ue di accertare se la crisi di quello Stato può avere un effetto contagio e condurre di conseguenza alla crisi di altri Paesi della zona Euro. Ma la Commissione Europea verifica anche in che condizioni si trovano i conti pubblici e stabilisce il fabbisogno finanziario. L’organo plenario del MES infine, adotta la decisione.

La riforma

Da un paio d’anni è in corso un negoziato per riformare il MES. A giugno 2019, l’Eurogruppo, la riunione dei ministri finanziari dei 19 Paesi della zona Euro, ha concordato una bozza di riforma con lo scopo di completare l’Unione bancaria e di rafforzare l’Unione economica e monetaria, di creare una sorta di Fondo Monetario dell’Ue in grado di aiutare i Paesi a rischio default.

Il nuovo Trattato dovrà ottenere l’approvazione dei capi di Stato e di governo, l’Eurosummit di dicembre, ed essere poi ratificato dai Parlamenti di tutti i 19 Stati dell’area Euro.

La polemica in Italia

In Italia è scoppiata una bufera quando sono trapelate condizioni per accedere agli aiuti: non essere in procedura d’infrazione, un rapporto deficit Pil inferiore al 3 per cento da almeno due anni, un rapporto debito pubblico e Pil sotto controllo. E quest’ultimo è il problema per l’Italia, che ha un debito e Pil vicino al 135 per cento.

Per avere gli aiuti l’Italia dovrebbe procedere alla ristrutturazione del debito. E secondo la Banca d’Italia il solo annuncio potrebbe innescare manovre speculative sui titoli di Stato con ricadute sui risparmiatori.

È anche nata una tempesta politica con rimpallo di responsabilità tra Lega e presidente del Consiglio Giuseppe Conte, una polemica che ha mandato in fibrillazione le istituzioni Ue.

“Moscovici – ha chiesto ieri il leader leghista Matteo Salvini – dice che il Mes salverebbe le banche? Sì, quelle francesi e tedesche. Il Mes metterebbe in crisi le nostre banche e farebbe pagare a noi la crisi delle banche tedesche e francesi. Non per niente il presidente dell’Abi e il governatore di Bankitalia sono preoccupati, hanno capito che col Mes rischiamo un bis del disastro del bail in.
Questo attacco alla democrazia e al risparmio italiani non deve passare e, come sempre ha fatto, la Lega si opporrà, in ogni sede ed in ogni maniera. Conte e il governo di sinistra da che parte stanno?”.

Una risposta è arrivata oggi. “Credo sia una riforma accettabile e vantaggiosa per l’Italia”, ha detto Moscovici, dopo un vertice con Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Nella riforma – ha proseguito il Commissario – “ci sono cose che sono già nel MES, dei meccanismi di stabilità per il debito, si rende più fluido il dialogo con gli investitori privati e tutto ciò è a favore della riduzione del debito dell’Italia, ed è nell’interesse dell’Italia ridurre il debito. Dunque non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che nessuno ha voluto mettere l’Italia sotto tutela”.

Il pacchetto all’esame dei governi include l’uso del MES come backstop per il Fondo di risoluzione bancaria. “È un passo avanti verso il completamento dell’Unione bancaria, non capisco perché l’Italia dovrebbe considerarlo un problema, è piuttosto un progresso, un aiuto per il sistema italiano”.

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