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Home » Economia

Così le guerre in Ucraina e Medio Oriente hanno cambiato l’Italia

Immagine di copertina
Credit: AGF

Inflazione alle stelle. Mutui più cari. Crescita zero. E un governo caduto sulle armi. Ecco come le guerre in Ucraina e Medio Oriente hanno impattato sul nostro Paese

Nel febbraio del 2022, prima dell’invasione russa dell’Ucraina, un litro di latte in Italia costava in media un euro e 45 centesimi. Oggi siamo a un euro e 76 centesimi. Due anni fa per comprare una bottiglia da un litro di olio extravergine d’oliva bastavano 5 euro. Oggi ne servono 8.

S&D

Nel giro di ventiquattro mesi la spesa media annuale di una famiglia, nel nostro Paese, è aumentata del 18,5% (lo ha calcolato la Cgia di Mestre). E già alla fine del 2022 – secondo Istat e Banca d’Italia – la ricchezza degli italiani aveva perso in termini reali il 12,5% rispetto all’anno precedente, risultato di prezzi che salivano repentinamente mentre i salari restavano pressoché fermi.

L’inflazione aveva già iniziato a mettersi in moto con l’uscita dalla pandemia di Covid, ma dopo che Putin ha lanciato la sua «operazione militare speciale» contro Kiev ha preso a galoppare come non si vedeva da una quarantina d’anni. 

In matematica e fisica si definisce “effetto farfalla” quel fenomeno per cui anche solo una minima variazione delle condizioni iniziali può produrre nel lungo periodo grandi variazioni sul sistema, al punto che persino il semplice battito d’ali di una farfalla in Brasile può arriva a generare un tornado in Texas. Se le cose stanno così, figurarsi quale impatto può avere per noi l’invasione di un Paese al confine orientale dell’Europa, che dista dal nostro appena mille chilometri.

Dopo il 24 febbraio 2022, quando le bombe hanno iniziato a piovere sull’Ucraina, i prezzi delle materie prime sono schizzati in su, i mutui sono diventati sempre più costosi, qualche impresa è finita in ginocchio, altre hanno guadagnato come mai prima, ed è aumentata ancora la spesa militare, con conseguenze importanti anche sul piano politico, inclusa la caduta di un governo. Per farla breve, quella guerra ha cambiato in modo concreto anche le nostre vite. E ora le nuove tensioni che divampano in Medio Oriente rischia di prolungarne gli effetti, se non di peggiorarli.

L’economia rallenta
Dicevamo dell’inflazione. I rialzi dei prezzi sono stati trainati dalle materie prime alimentari ed energetiche. A subirne i contraccolpi sono stati quindi sia le famiglie sia le imprese, soprattutto quelle manifatturiere: le prime si sono trovate a fare i conti con carrelli della spesa più cari, le seconde con costi di approvvigionamento lievitati esponenzialmente, mentre entrambe hanno visto rincarare in modo spaventoso le bollette di luce e gas. 

Tra il 2021 e il 2022 i prezzi dei beni energetici al consumo secondo l’Istat sono aumenti del 51%, ma ci sono state settimane in cui sul mercato all’ingrosso del gas, il Ttf di Amsterdam, le quotazioni del metano erano addirittura decuplicate rispetto all’anno precedente. Il fenomeno ha riguardato quasi tutti i Paesi europei, ma Italia e Germania in misura più accentuata, trattandosi di economie alimentate principalmente dal gas.

I governi hanno tentato di gettare acqua sul fuoco iniettando risorse pubbliche per attutire l’impatto dei rincari. E nel 2022, secondo la Banca d’Italia, il nostro esecutivo è stato di gran lunga quello che ha stanziato più fondi tra i Paesi avanzati: il 3,6% del Pil, di cui un terzo sotto forma di crediti d’imposta per le aziende e un quinto speso in bonus per le famiglie. Queste misure – possibili solo grazie alla sospensione del Patto di Stabilità decisa durante la pandemia – hanno inevitabilmente comportato un aumento del debito pubblico, che dai 2.678 miliardi di euro di fine 2021 era salito lo scorso ottobre (ultimo dato disponibile) a quota 2.867 miliardi.

Anche le banche centrali sono intervenute per contrastare l’inflazione. Dopo anni di stimolo all’economia, la Bce nel luglio 2022 ha intrapreso una politica monetaria restrittiva di rialzo dei tassi, portandoli dallo 0 al 4,5% nel giro di quattordici mesi.

La conseguenza immediata è stata che i mutui sono diventati improvvisamente più costosi: la domanda di credito, così, si è progressivamente ridotta. E l’economia, come prevedibile, ha finito per rallentare: il Pil italiano è passato dal +7% del 2021 post-Covid al +3,7% del 2022, per poi scendere ancora a +0,7% nel 2023.

La crescita, scrive la Banca d’Italia nel suo ultimo bollettino economico, è stata «frenata dall’inasprimento delle condizioni creditizie, nonché dai prezzi dell’energia ancora elevati» mentre «i consumi hanno ristagnato e gli investimenti si sono contratti».

Per il 2024 Bankitalia prevede un Pil a +0,6%, leggermente più basso rispetto allo 0,7% stimato dalla Commissione europea, secondo cui saremo sestultimi nell’Eurozona per tasso di crescita.

In tutto questo, però, c’è anche chi ci ha guadagnato. E molto. Società energetiche, banche e catene della grande distribuzione hanno messo a segno negli ultimi due anni profitti da record, che contrastano con l’aumento generale della povertà. L’inflazione, infatti, come detto, ha inciso in primis su bollette e beni alimentari – spese irrinunciabili o quasi per chiunque – e quindi ha colpito ancora più duramente le famiglie che già viaggiavano sull’orlo dell’indigenza. A fine 2022, secondo l’Istat, erano aumentati a 5,6 milioni gli italiani in povertà assoluta, il 6,7% in più rispetto all’anno precedente. Pure questa è una conseguenza della guerra.

Politica energetica
Ora, da qualche mese a questa parte, anche per effetto delle misure della Bce, l’inflazione sta calando. Dall’11,6% toccato a dicembre 2022, l’indice nazionale dei prezzi al consumo è progressivamente calato fino allo 0,6%. Il trend discendente sta riguardando l’intera Europa, ma ciò che sta accadendo in questo settimane tra Gaza e il Mar Rosso potrebbe portare a nuovi rialzi.

Il commissario Ue agli Affari economici, l’ex premier italiano Paolo Gentiloni, ha avvertito: «L’incertezza rimane eccezionalmente elevata, in un contesto di prolungate tensioni geopolitiche e del rischio di un ulteriore ampliamento della crisi in Medio Oriente». Gentiloni sottolinea che a causa della crisi in atto nel Mar Rosso «i tempi di consegna per le spedizioni tra l’Asia e l’Unione europea sono aumentati di 10-15 giorni e i costi sono aumentati di circa il 400%». 

Nelle previsioni economiche d’inverno la Commissione scrive che queste «perturbazioni commerciali» sono destinate a «rallentare il processo disinflazionistico nel breve termine». «Si prevede che ciò influirà principalmente sui prezzi dei beni non energetici, ma potrebbe anche aumentare le pressioni sui prezzi dei prodotti alimentari e, in misura minore, dei servizi e dell’energia», si legge nel documento pubblicato da Bruxelles lo scorso 15 febbraio. 

In particolare, «sul fronte energetico la minaccia di interruzione delle consegne di Gnl (gas naturale liquefatto, ndr) a causa del conflitto in Medio Oriente rappresenta un nuovo rischio». E qui si chiude un cerchio con la guerra in Ucraina, perché dopo l’operazione militare lanciata da Putin il governo italiano, all’epoca guidato da Mario Draghi, ha deciso di sganciarsi dalla dipendenza russa puntando forte anche sul gas naturale liquefatto proveniente via nave da Qatar e Stati Uniti. 

Nel 2021 il Gnl rappresentava appena il 13,5% del metano importato. Oggi (dato aggiornato a novembre 2023) oscilla tra il 25 e il 30%. Ma è l’intera rosa dei Paesi fornitori a essere stata stravolta dopo il 24 febbraio 2022: gli approvvigionamenti dalla Russia, che costituivano il 40% del totale, sono crollati al 4,5%, mentre l’Azerbaijan è passato dal 10 al 16%, l’Algeria dal 29 al 37% e la Norvegia dal 2,8 all’11%. E nei prossimi anni diventeranno operativi i nuovi accordi che l’Italia, subito dopo l’invasione dell’Ucraina, è corsa a stringere con Egitto, Angola e Congo. 

Più in generale, le sanzioni europee contro Mosca hanno fortemente ridotto gli interscambi commerciali con la Russia: le esportazioni dall’Italia sono crollate dai 7,7 miliardi di euro del 2021 ai 5,8 miliardi del 2022 e nei primi dieci mesi del 2023 si è assistito a un ulteriore calo del 18%, con  ripercussioni importanti soprattutto sulle aziende che esportano macchinari e capi d’abbigliamento. 

Senza pace
Le nuove guerra che destabilizzano l’ordine mondiale, poi, come noto, hanno generato affari d’oro per l’industria degli armamenti. L’italiana Leonardo nel 2022 ha visto aumentare gli ordini del 20% rispetto all’anno precedente e per il 2023 dovrebbe mantenersi sugli stessi livelli (il bilancio di fine esercizio sarà presentato l’11 marzo). Anche la spesa militare dello Stato italiano è notevolmente aumentata: dai 24,5 miliardi di euro del 2021 ai 27,7 miliardi del 2023.

E proprio dalla questione del riarmo è iniziata la fine del Governo Draghi: i primi dissapori tra l’allora premier e il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, infatti, si consumarono sull’invio degli aiuti militari a Kiev.

La guerra è tornata prepotentemente al centro dell’agenda politica. Anche nel Partito democratico la posizione da tenere sul conflitto russo-ucraino è tra i punti che vengono più spesso contestati alla segretaria Elly Schlein, accusata di ambiguità. Al contrario, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ricevuto, fin qui, elogi inaspettati anche da altri schieramenti appunto per il suo pieno supporto alla causa ucraina. 

Oggi, infine, la nuova crisi esplosa in Medio Oriente ha spinto il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ad auspicare la formazione di un bacino di riservisti, composto da 10mila volontari tra ex militari e civili specializzati, da attivare in caso di bisogno («per la difesa nazionale»). Già ai tempi del Governo Draghi il Parlamento aveva approvato una legge delega con questo obiettivo, e recentemente la Lega ha presentato una proposta di legge per introdurre una riserva militare da sguinzagliare in caso di «situazioni di grave crisi suscettibili di ripercuotersi sulla sicurezza dello Stato».

«Abbiamo trasformato le forze armate con l’idea che non ci fosse più bisogno di difendere il nostro territorio e che la pace fosse una conquista di fatto irreversibile», ha spiegato il ministro Crosetto, ma «ora i recinti sono stati abbattuti, non ci sono più regole». La pace è finita, la guerra è tornata. Anche gli italiani devono adeguarsi.

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