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Home » Economia

Il gap incolmabile tra ricchi e poveri e quei conti che non tornano: il nostro pianeta è dilaniato dalle disuguaglianze

Immagine di copertina
Credit: AP Photo

Mentre a Davos sbandierano formule fumose per ricostruire la “fiducia nel futuro”, si aggrava il divario tra una ristretta élite di privilegiati e un esercito di esclusi in un sistema governato dalla grande finanza mondiale. Dove donne e giovani sono i più penalizzati e l'1% più ricco del mondo detiene il 59% dei titoli finanziari a livello globale

Tra il 15 e il 19 gennaio la cittadina di Davos, piccolo centro di appena diecimila abitanti immerso nel seducente panorama delle Alpi Svizzere, ha ospitato il consueto raduno del gotha mondiale dell’economia e della finanza, giunto alla sua 54esima edizione.

S&D

Tra gli ospiti più attesi anche il neo-presidente argentino Javier Milei che, davanti al prestigioso consesso, ha pronunciato un’appassionata arringa, intrisa di violenza ideologica ed estremismo, infarcita di argomentazioni in difesa del capitalismo occidentale e dell’ideale del libero mercato. 

Per quanto trionfante, il discorso dell’anarco-capitalista, come viene comunemente definito il politico latinoamericano, pare non contemplare i limiti di quel mega dispositivo sociale da lui magnificato: contrariamente alle ottimistiche affermazioni di Milei, infatti, le drammatiche instabilità geopolitiche, i rischi derivanti dal cambiamento climatico, la crescente incertezza economica e le disuguaglianze sempre più strutturali sembrano essere elementi innervati nel modello liberista e rappresentano una concreta minaccia per il futuro della governance globale.

Esclusione sociale
Alla agognata fiducia collettiva, tema portante del Forum di Davos, una formula vacua sbandierata da una sparuta élite che finge di voler costruire coesione sociale, fa da contraltare un sempre più diffuso sentimento di frustrazione, impotenza e perdita di controllo sul proprio futuro, tra le masse: lo scenario attuale è segnato, infatti, da fratture sociali così profonde e da disuguaglianze così stridenti da spingere Oxfam, l’organizzazione internazionale che si dedica alla riduzione della povertà globale, a definire l’epoca in cui viviamo come il «decennio dei grandi divari» in cui «miliardi di persone sono costrette a vedere crescere le proprie fragilità e a sopportare il peso di epidemie, carovita, conflitti, eventi meteorologici estremi sempre più frequenti mentre una manciata di super-ricchi moltiplicano le proprie fortune a ritmi parossistici». Ogni anno Oxfam, proprio in occasione di Davos, pubblica il suo report sulle diseguaglianze. E, in questo inizio 2024, dopo aver lanciato per anni l’allarme sulle disuguaglianze sempre più estreme, la Ong dichiara in maniera incontrovertibile, che «il vero pericolo è che questa incredibile divaricazione diventi la normalità».

A supporto di tale affermazione una sequela di dati che peraltro evidenziano, nel caso fosse necessario, come le crescenti disparità siano più il frutto di precise scelte politiche che fenomeni ineluttabili. Nel report si legge che la ricchezza dei 5 miliardari più ricchi al mondo è più che raddoppiata in termini reali dall’inizio di questo decennio, mentre la ricchezza del 60% più povero dell’umanità non ha registrato alcuna crescita. Se quei 5 uomini spendessero 1 milione di dollari al giorno, ci vorrebbero 476 anni per esaurire la loro ricchezza complessiva. La ristretta cerchia dell’oligarchia economica ha visto il valore dei propri patrimoni crescere in tre anni di 3.300 miliardi di dollari in termini reali, un aumento del 34% rispetto all’inizio di questo decennio di crisi, con un tasso di crescita tre volte superiore a quello dell’inflazione.

Mentre per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo di quest’ultima. Una scure abbattutasi in ogni caso implacabile su 4,8 miliardi di persone, rendendole più vulnerabili. Entro un decennio, di questo passo, avremo il primo trilionario della storia dell’umanità, mentre ci vorrebbero più di due secoli (230 anni) per portare l’incidenza della povertà globale sotto l’1%. Ad essere maggiormente colpiti donne, appartenenti a minoranze etniche e gruppi marginalizzati, categorie per le quali la quotidianità è diventata ancora più dura. Ad aggravare questo quadro già fosco l’ombra incombente del disastro climatico, di cui i super-ricchi sono tra i principali responsabili, e degli eventi estremi a esso connessi.

Dio mercato
La ricchezza dei super miliardari è sempre più finanziaria: l’1% più ricco al mondo, sotto il profilo patrimoniale, possiede attualmente il 59% dei titoli finanziari a livello globale.

In uno scenario di crescente finanziarizzazione di ogni settore dell’economia e di marcata presenza del settore privato nella sfera pubblica, si assiste a una progressiva concentrazione del potere, a un incrementato delle rendite di posizione, a un indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori, soprattutto quelli meno qualificati, con forti sperequazioni nei premi distribuiti dai mercati. “Una redistribuzione alla “rovescia” con un trasferimento di risorse da lavoratori e consumatori a titolari e manager di grandi imprese monopolistiche con conseguente accumulazione di enormi fortune nelle mani di pochi”, si legge ancora nel report.

Guardando nello specifico al nostro Paese, si scopre che il cinque per cento delle famiglie italiane più ricche possiede circa il 46 per cento della ricchezza netta totale, con una media di oltre 3 milioni e mezzo di euro per famiglia, registrando, nel corso degli ultimi 13 anni, una crescita del patrimonio reale del 54%. (Fonte: “I Conti distributivi sulla ricchezza delle famiglie, Banca d’Italia).

Per il 10% più ricco, gli strumenti finanziari, come azioni e partecipazioni in società non quotate, hanno un ruolo molto importante (oltre il 18%), seguiti da partecipazioni a fondi di investimento (9%) e assicurazioni sulla vita (9%). A queste evidenze fanno da contraltare quelle contenute nella seconda edizione del rapporto Inclusione finanziaria e microcredito curato da Gruppo Banca Etica, c.borgomeo&co. e Rete Italiana di Microfinanza, presentato a Roma lo scorso 24 gennaio: analizzando una mole di dati proveniente da fonti istituzionali (Banca d’Italia e Istat) e dai contributi delle organizzazioni coinvolte, lo studio rivela che sono oltre un milione i nuclei familiari in Italia – circa il 4,4% delle famiglie – che resta escluso dai circuiti finanziari ufficiali. 

Tagliati fuori
Circa 2,3 milioni le persone non hanno un conto di depositi di nessun tipo e presentano profili di fragilità economica tali da diventare facilmente preda dell’usura e della criminalità. I dati dello studio riflettono le storture del nostro Paese lungo tre direttrici: generazione, genere e geografia. A proposito di quest’ultima, vale la pena sottolineare che l’80% delle famiglie che non ha accesso ai servizi finanziari di base vive nel Sud del nostro Paese.

Tra le cause che concorrono a delineare questo quadro a tratti allarmante c’è il processo di desertificazione bancaria, con la decisa tendenza degli istituti finanziari verso la concentrazione e il conseguente allontanamento dai territori. Un fenomeno che non può essere derubricato a questione riguardante solo gli addetti ai lavori, ma che attiene il tema delle disuguaglianze e dell’esclusione sociale in senso più ampio, 

Numeri, quelli del Rapporto su inclusione finanziaria e microcredito che, secondo la Presidente di Banca Etica, Anna Fasano, vanno necessariamente correlati alla fotografia restituita da Oxfam. Obiettivo è porsi in una prospettiva strutturale che obblighi gli attori politici ed economici a individuare soluzioni di medio-lungo periodo per combattere povertà ed esclusione sociale.

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