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Home » Economia

Crisi bancarie: niente paura, ecco perché (per ora) l’Eurozona e l’Italia non rischiano il contagio

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La corsa agli sportelli negli Usa. Gli interventi della Fed. E Il caso Credit Suisse. Il professor Riccardo De Lisa, ordinario di Banking & Finance all'Università di Cagliari, spiega a TPI: “La vigilanza va rafforzata”. Ma non bisogna cedere al panico: "Attualmente, in Italia e nell’Eurozona la situazione è sotto controllo: il Fondo di tutela protegge il 97% dei depositanti del nostro Paese"

Riccardo De Lisa, lei è professore ordinario di Banking & Finance all’Università di Cagliari ed è un esperto internazionale dei sistemi di garanzia dei depositi: che cos’è il FITD?
«Il Fondo interbancario di tutela depositi è l’organismo che tutela i depositanti delle banche italiane (le Banche di Credito Cooperativo hanno il loro sistema di garanzia), sino a una determinata cifra. A legislazione corrente, tutti i depositi bancari sono protetti fino a 100mila euro. Nel caso in cui la banca dovesse fallire i depositanti sarebbero tutelati fino a tale importo e non avrebbero nulla da temere».

Fino a 100mila euro, però. Ma se si ha in banca qualcosa in più?
«Si tratta già di un livello molto alto. Consideri che la protezione è “per banca e per depositante”!»,

Cosa vuol dire?
«Che se noi avessimo presso una banca un conto cointestato con un’altra persona per 200mila euro, poiché il conto cointestato si considera ripartito in parti uguali, se la banca fallisse entrambi i depositanti avrebbero una garanzia fino a 100mila euro».

Non è comunque insufficiente?
«No, proprio no. Tenga presente un altro aspetto: il livello di tutela che abbiamo nel nostro contesto, quello dei 100mila euro, protegge oltre il 97% dei depositanti nel nostro Paese». 

Che cosa è successo in realtà alla Silicon Valley Bank? Che cosa c’è di comune, in questo fallimento, a quello del 2008, della Lehman Brothers?
«Sono episodi molto diversi. Nel caso della Silicon Valley Bank si tratta di una banca specializzata in start-up. Le imprese di nuove attività sono state finanziate da Venture Capital che avevano depositato una grande liquidità in SVB. Per varie motivazioni, differenti tra loro, queste imprese hanno avuto una stretta creditizia. Avendo necessità di liquidità, hanno iniziato a prelevare il denaro che avevano depositato presso la Silicon Valley Bank. Ovviamente, la liquidità presso qualsiasi banca non è presente in un cassetto. I soldi che si depositano sono normalmente investiti dalla banca in attività ritenute redditizie. Un forte prelievo di liquidità da parte delle imprese ha comportato una parallela stretta alle casse della banca. Per fare fronte a questo la SVB ha dovuto vendere gran parte dei titoli governativi, che erano stati acquistati quando i tassi erano molto bassi e il denaro costava pochissimo».

Mentre oggi il costo del denaro deciso dalla Federal Reserve è cresciuto.
«Sì. E di molto. Questo ha comportato un grande livello di perdite, perché SVB ha dovuto vendere sottocosto i suoi titoli. Un’operazione che ha “mangiato” il capitale e ha messo in ginocchio la banca. Ed ecco che, appunto, sono intervenute le autorità americane».

Raccontato così sembra semplice, anzi quasi naturale. Ma questo fallimento che rischi può avere sul sistema europeo ed italiano?
«Veda, tutti i mercati finanziari sono globalizzati e interconnessi. I fenomeni di contagio possono essere comunque dietro l’angolo e possono verificarsi, astrattamente. Ma va detto con chiarezza e serenità che le banche europee sono molto robuste, vantano una regolamentazione assai forte e una supervisione altrettanto efficace. Quindi i livelli di contagio sono sempre possibili, ma davvero sono ampiamente sotto controllo».

Professore, questo è stato detto immediatamente, poi abbiamo visto il tonfo in borsa di Credit Suisse
«Fenomeni diversi e assolutamente non connessi. Le due banche, la SVB e Credit Suisse, non sono collegate. Si tratta di crisi dovute a fattori non comparabili e la reazione del sistema creditizio europeo conferma quello che ho detto».

Quale è la differenza di regolamentazione tra le banche europee e quelle americane?
«Dopo la crisi del 2008 c’è stato un grandissimo sforzo da parte dei legislatori e dei regolatori di tutto il mondo per adeguare gli strumenti di controllo e tutela alle mutate esigenze e condizioni. Questo è stato fatto sia negli Stati Uniti sia nell’Unione europea. Ciò premesso, è vero che la regolamentazione americana è tendenzialmente un po’ più lasca rispetto a quella europea. Nel vecchio continente c’è una normativa robusta che non fa grosse distinzioni tra banche, piccole banche, banche più grandi o banche sistemiche. Nel caso americano, le norme sono un po’ più flessibili, soprattutto nel caso di banche non sistemiche, cioè non particolarmente grandi».

Professore, quando noi affidiamo i nostri denari a una banca, la banca ovviamente li può reinvestire e utilizzare per le operazioni che ritiene più opportune. La banca quanto può prestare dei soldi che noi le conferiamo?
«La banca nasce per investire i denari depositati dai correntisti. Non tiene certo in liquidità quei quattrini. Li deve mettere a reddito, però, secondo criteri specifici in modo tale che possano essere facilmente liquidabili, ma anche profittevoli. Per esempio, se la banca raccoglie a breve e investe con scadenza un po’ più lunghe, allora c’è un eccesso in trasformazione delle scadenze. Questo può determinare la rottura degli equilibri della banca. Ed è proprio quello che è capitato anche nel caso della Silicon Valley Bank».

Però, la banca può investire tutta la quota di denaro che noi depositiamo? Non c’è più la riserva frazionaria…
«L’intera quantità di depositi della banca, ma addirittura l’intera passività, può essere investita, a condizione che sia diversificata. Parte di questi depositi sono investiti, per esempio, nelle riserve di liquidità, altri in portafoglio a titoli, altri in portafoglio prestiti, e così via».

La libertà che le banche hanno mostrato di avere nella gestione dei denari affidati loro è da tutelare o si tratta di una deregulation eccessiva, rispetto a quello che avviene nelle altre imprese?
«I sistemi bancari di tutto il mondo, in quanto tali, sono fortemente regolamentati. La regolamentazione è necessaria, però, perché i fallimenti bancari possono creare, come abbiamo visto, problemi seri, effetti molto gravi in tutto il sistema. La normazione nel caso delle imprese è ovviamente molto più flessibile».

Per converso, la stretta degli accordi di Basilea III, rischia di creare una regolamentazione troppo forte che limita il sistema economico?
«Questo è un dibattito in corso. Gli studiosi e gli operatori pensano a un complesso di regole che possa essere più efficace e agile: una deregulation, in un certo senso. Sempre non prescindendo dal fatto che un livello pregnante di regolamentazione è necessario, proprio perché le banche sono diverse dalle altre imprese e devono poter funzionare senza intoppi. Anche quando accadesse, malauguratamente, che una banca, per qualsiasi motivo, cada, occorre farla fallire in modo “ordinato”».

Cioè?
«In maniera controllata e tale che gli effetti negativi nell’economia siano minimi. Un po’ come quello che è successo alla Silicon Valley Bank: nel momento in cui è andata male sono intervenute le autorità americane preposte. Questo proprio per cercare di minimizzare gli effetti sull’economia globale».

Lei ha alle spalle 25 anni di attività accademica sull’economia e sulla regolamentazione dei sistemi finanziari. Ritiene che sia arrivato il momento di una nuova regolamentazione, di qualche riforma e qualche cosa da suggerire al legislatore?
«Attualmente è in corso un’attività frenetica sull’aggiustamento della regolamentazione in Europa. Questo perché in alcuni casi la normativa non è particolarmente efficiente. Anzi, ha degli aspetti di frizione e di bassa fluidità che si sta cercando di migliorare. Così come dobbiamo migliorare ulteriormente i processi di controllo del sistema bancario: la vigilanza va rafforzata. Consideri che i sistemi di protezione dei depositanti sono stati migliorati nel tempo, ma, come dicevamo prima, il livello, pur parziale, della copertura a 100mila euro è sano».

Perché non di più?
«Se noi avessimo una copertura del 100% dei depositi bancari, si determinerebbe un effetto che in economia si chiama “azzardo morale”, cioè la banca potrebbe addirittura comportarsi in maniera totalmente spregiudicata, comportarsi male, diciamo, perché tanto ha tutto protetto».

La politica della Bce sul rialzo del costo del denaro contro l’inflazione è adeguata al sistema finanziario europeo?
«La Bce fa una politica molto aggressiva, di rialzo dei tassi, come ha spiegato Lagarde nell’ultima riunione del board, in considerazione del fatto che l’inflazione tende a calare troppo timidamente. Se si considera solo ed esclusivamente l’inflazione, la politica dei tassi è uno strumento coerente, Anche opportuno. Se, invece, si considerano anche le implicazioni non necessariamente connesse con l’inflazione, ma che hanno a che vedere con la stabilità finanziaria, allora probabilmente aumenti così forti e veloci dei tassi di interesse possono determinare implicazioni non sempre positive nel quadro del sistema europeo. E soprattutto italiano».

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