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    L’analista Mazziero a TPI: “Non dobbiamo cadere nell’errore di guardare solo alle nostre ragioni e mai alle nostre colpe”

    Maurizio Mazziero

    L’economista traccia il sentiero della ripresa per contrastare le ricadute economiche del Coronavirus: “Le misure devono essere ampie e su larga scala, non devono tralasciare nessun segmento delle attività. Le conseguenze che potrebbero derivarne sarebbero troppo pesanti per le imprese e per i cittadini”

    Di Maurizio Carta
    Pubblicato il 1 Apr. 2020 alle 12:58

    Coronavirus e ricadute economiche sull’Italia, Mazziero: “Servono misure ampie”

    La pandemia di Coronavirus colpirà in maniera pesantissima l’economia dell’Italia. Tra passato, presente e futuro, ne abbiamo parlato con Maurizio Mazziero, analista e fondatore dell’istituto di ricerca economico-finanziario Mazziero Research, nonché autore di diversi testi economici fra cui “La crisi economica e il macigno del debito”, edito da Hoepli. L’economista ha tracciato un’analisi lucida e attenta su quali sono i tratti fondamentali della situazione italiana e quello che potrebbe essere il suo sviluppo futuro.

    Mazziero, l’Italia è al centro di una crisi sanitaria ed economica. Non ci siamo arrivati in condizioni ottimali, seppure nel 2019 abbiamo chiuso con rapporto deficit/Pil all’1,6 per cento. Al netto del Coronavirus, perché durante tutti questi anni siamo sempre cresciuti al passo di lumaca?

    Vi sono diverse ragioni, alcune sono strutturali e altre riguardano un lassismo economico. Fra le ragioni strutturali troviamo l’invecchiamento della popolazione: insieme a Germania e Giappone la nostra fascia degli ultra-sessantacinquenni supera il 20 per cento. Questo aspetto, oltre a condizionare una grossa fetta della spesa pubblica dedicata alle pensioni, influisce anche sulla tipologia e sul volume dei consumi. Al tempo stesso, il nostro Paese è caratterizzato da una serie di lungaggini burocratiche che non facilitano l’imprenditorialità. Tutto questo frena la voglia di fare business con evidenti ricadute sulla crescita.

    Si spieghi meglio.

    A fronte di questi problemi strutturali, vi sono quelli relativi al lassismo economico: una caratteristica della nostra politica che si è sempre e solamente rivolta alla ricerca del consenso. Nascono quindi i provvedimenti che anziché premiare “chi si dà da fare” premiano “chi sceglie il divano”, come ad esempio il reddito di cittadinanza che alza troppo la differenza tra chi fa e chi sta a guardare. La politica ha quindi prestato più attenzione a distribuire regali piuttosto che ad abbassare il debito. Anche quest’anno, prima dell’arrivo della pandemia, metà della manovra economica era rappresentata da nuovo debito.

    Nella migliore delle ipotesi, a quanto potremmo chiudere il 2020 in termini di deficit e debito pubblico, visto che ancora non sappiamo per quanto ne avremo?

    Le stime sono in continua evoluzione, in quanto dipendono dalla durata del lockdown e dalla durata del periodo transitorio per tornare alla normalità. Quasi sicuramente poi avremo una ripresa molto forte sia per il ritorno al consumo sia per la ricostituzione delle scorte aziendali. La ripresa si protrarrà almeno per il primo semestre del 2021, per le modifiche che verranno sicuramente introdotte nelle procedure delle aziende e nelle supply chain (catene di fornitura).

    Il suo istituto ha cercato di tracciare un quadro anche sui numeri della crisi.

    Alla Mazziero Research per il momento stiamo ragionando su un lockdown che potrebbe durare sino a dopo le festività pasquali e che avrebbe come conseguenza un debito/PIL intorno al 150 per cento e un deficit/PIL compreso tra il 4 per cento e il 5 per cento. Sono stime che andranno ulteriormente rivisitate, in quanto si dovrà valutare anche l’uscita dalla fase di emergenza dei partner con cui intratteniamo i maggiori rapporti commerciali.

    Come valuteranno le agenzie di rating?

    Le agenzie di rating probabilmente adotteranno una sorta di sospensione del giudizio, nell’attesa di vedere come riprendono le singole nazioni; se dovessero esprimere valutazioni sull’entità del danno dovrebbero emettere giudizi talmente severi che probabilmente nessun Paese sarebbe disposto a tollerare.

    Le banche centrali, a partire dalla Federal Reserve, stanno utilizzando l’opzione “atomica”, con tutti gli strumenti messi in campo. La BCE, che non ha gli stessi poteri, ha rimosso il limite del 33 per cento di acquisti di debito sovrano per ogni paese membro oltre ad avere azionato un bazooka da 750 miliardi di acquisti per immettere liquidità. Ma il problema, dati alla mano, non è mai stata l’assenza di liquidità. Perché poi questo denaro non si è riversato nell’economia reale?

    Perché fintantoché i Quantitative Easing acquistano titoli di Stato, e questo è quello che in larga parte fanno, gli unici beneficiari sono i Governi, che possono meglio trovare sbocco alle emissioni che servono per finanziare il debito. È vero che sono state avviate delle operazioni di finanziamento alle banche condizionate al credito, ma poco è fluito nell’economia. Le aziende che ne hanno beneficiato hanno fatto in alcuni casi delle acquisizioni, talvolta avventate, in altri casi hanno ricomprato azioni proprie (buy back). Poche hanno realmente utilizzato il credito per ampliare la produzione e il motivo è semplice: se manca la fiducia i consumatori non acquistano.

    E in Italia?

    Peggio ancora è andata in Italia, le banche sono incoraggiate ad acquistare titoli del debito pubblico che le espone a rischi patrimoniali quando si alza lo spread. Di conseguenza i margini per fare credito, rischiando di incorrere in sofferenze, sono molto limitati. E così le manovre delle banche centrali restano confinate all’ambito finanziario, magari avranno gonfiato le borse ma certo non hanno riempito le tasche dei cittadini alle prese con alta disoccupazione e una pressione fiscale eccessiva.

    Mai come in questo momento di emergenza pandemica si parla di Mes. Qualora lo si utilizzi come linee di credito o in forma di emissione di Eurobond, sempre di debito aggiuntivo si tratta. In fondo, il derogare il Patto di Stabilità non è altro che un’ autorizzazione al potersi indebitare ulteriormente? Su questa posizione si è espresso anche Draghi sottolineando la straordinarietà di questi tempi. Lei cosa ne pensa, il debito ci salverà?

    Non sono mai stato favorevole a fare debito, ma in questo momento la situazione è talmente grave che non vi sono altre vie che utilizzare il debito per mettere in campo misure per evitare il blocco totale e permanente delle attività produttive. Le misure devono essere ampie e su larga scala, non devono tralasciare nessun segmento delle attività, in quanto le conseguenze che potrebbero derivarne sarebbero troppo pesanti sia per le imprese sia per i cittadini. Il rischio è di far sopravvivere anche aziende zombie che già prima della pandemia avrebbero dovuto chiudere, ma non possiamo davvero permetterci di aumentare di due o tre punti percentuali la disoccupazione appena al di sotto del 10 per cento.

    Ma detto questo, vorrei aggiungere che il debito porta alla schiavitù, restringe gli spazi di manovra dei Governi porta sempre a maggiori tasse o a una riduzione dei servizi. Un debito più ampio andrà anche finanziato e costringerà a destinare una parte ancora più consistente alla spesa per interessi, già oggi spendiamo tra i 60 e i 70 miliardi l’anno e in futuro saranno ancora di più. Questa situazione porta a ricaduta a un’ulteriore considerazione: tutti i passati Governi non hanno mai posto alcun impegno verso la riduzione del debito, anche le spending review sono servite per ampliare la spesa pubblica. Tutti gli impegni sul livello del debito presi in sede comunitaria sono sempre stati disattesi.

    Quanto è importante il tempo per intervenire?

    Il dibattito nazionale sulla situazione contingente si è spostato verso la rigidità dei partner europei. A mio parere il tema va posto oltre, se otterremo aiuti da parte dell’Europa bene, in alternativa dovremo agire da soli e subito; non c’è tempo da perdere il Paese si sta bloccando. Non possiamo attendere altre due settimane per una decisione che potrebbe essere ulteriormente rimandata. Con amarezza constato che se non si trova la solidarietà in momenti di questa gravità probabilmente non vi sarà mai speranza che possa essere raggiunta.

    Cosa ne pensa di tutti quei Paesi europei che in questo momento mostrano scetticismo su forme di solidarietà verso gli Stati membri più colpiti?

    Non dobbiamo cadere nell’errore di guardare sempre solamente alle nostre ragioni e mai alle nostre colpe. Visto che non abbiamo mai rispettato le nostre promesse non può essere perlomeno comprensibile che la condivisione di una parte del debito possa essere sottoposta a una qualche forma di accordo sul piano di rientro? E ancora, può essere giusto che chi ha governato nel nostro Paese, guadagnando consenso con misure che ampliavano il debito, non debba essere chiamato a risponderne?

    Fra i paesi virtuosi, di paesi come l’Italia non ci si fida e si rimane scettici sul poterne condividerne insieme dei rischi come il debito. Olanda, Germania (questa addirittura per il sesto anno) e Austria chiudono con surplus di bilancio e con un debito sempre minore. Per l’Italia è un miraggio. Supponiamo che domani ci dovessimo svegliare da quest’incubo, e che sia stato solo un brutto sogno di avvertimento per prepararci a future crisi che ciclicamente si manifestano senza rimanere scoperti e vulnerabili. Da dove dovremmo ripartire per rimette in moto la macchina Italia su crescita, conti pubblici e un ingrediente non quantificabile come la fiducia?

    Non esistono bacchette magiche, siamo andati molto oltre nel trascurare il nostro Paese, ne consegue che tutte le misure per farlo ripartire prenderanno tempo. La prima è la fiducia, si ricostituisce in un cambio di passo nel rapporto con il cittadino che si deve sentire tale e non suddito. Lo Stato non può mostrarsi vorace quando deve ricevere le tasse e allungare i tempi quando deve restituire i rimborsi o pagare i fornitori.

    Cosa possiamo fare per rilanciare le imprese?

    Per le imprese che devono investire c’è bisogno di certezza, non si possono continuare a cambiare norme, leggi e regolamenti. Al tempo stesso certezza del diritto e dei tempi della giustizia sono indispensabili per creare un clima favorevole alle aziende che vogliono investire nel nostro Paese. Si dovrebbero rilanciare le grandi opere, infrastrutture per rinnovare il Paese. Abbiamo una posizione privilegiata, al centro dell’Europa e con una impagabile piattaforma che si affaccia sul Mediterraneo. Dovremmo potenziare i porti, rendere più veloci le direttrici Nord-Sud-Isole e Est-Ovest, ampliare la capacità di importazione del gas per distribuirlo in Europa, migliorare la diffusione della banda larga, mettere in sicurezza le zone a soggette a rischio idrogeologico.

    Tutta l’azione di Governo dovrebbe essere sempre vista sotto l’occhio della crescita e della semplificazione, non sotto l’occhio della conservazione dei privilegi. Se un paese cresce, la gente trova lavoro, vi sono meno oneri sociali e aumentano le entrate fiscali.

    Quindi, si lasci andare e me lo dica, secondo lei ce la faremo?

    Forse può apparire come un miraggio, ma è nei momenti più difficili che si può davvero cambiare. L’Italia nei momenti tragici ha sempre dato il meglio di sé. La pandemia finirà, io resto sempre un inguaribile ottimista.

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