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Home » Economia

Addio transizione ecologica: Blackrock frena sulle rinnovabili e rilancia il carbone

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Nel 1976 arrivò a Wall Street un 23enne californiano con i capelli lunghi e un braccialetto turchese al polso. A dispetto del look vagamente hyppie, la sua principale ambizione nella vita era la stessa di tutti gli altri giovani rampanti incravattati giunti fino ai piedi dei grattacieli di Manhattan da ogni parte degli Stati Uniti: fare soldi, tanti soldi, quanti più soldi possibile. Oggi quel ragazzo ha 69 anni, è pressoché calvo e al polso sfoggia orologi da 300mila dollari. Il suo nome è Larry Fink ed è considerato l’uomo più potente di Wall Street. Anzi, di più: è una sorta di oracolo della finanza globale. Lui pre-vede in quale direzione andrà il mercato: dove si sposteranno i soldi, chi ci guadagnerà, chi ci perderà. E molto spesso ci azzecca. Una trentina d’anni fa ha fondato quasi dal nulla Blackrock e in breve tempo l’ha portata a diventare la più grande società di gestione del risparmio del mondo, con un portafoglio di asset pari a 8,7 trilioni di dollari: circa quattro volte il Pil dell’Italia.

Oggi la sfera di cristallo di Fink ci dice una cosa molto chiara: crisi energetica e guerra in Ucraina hanno impresso una brusca frenata alla transizione ecologica. Rallenteranno dunque gli investimenti nelle fonti rinnovabili e nei piani di riduzione delle emissioni di gas serra. E riceveranno al contrario nuova spinta i combustibili fossili. Lo si desume da un comunicato diffuso da Blackrock lo scorso 10 maggio in cui si annuncia che per il 2022 il gigante newyorkese ridurrà il suo sostegno ad attività green nelle società di cui è azionista: «La riduzione della dipendenza dall’energia russa avrà un impatto sulla transizione ecologica», osserva Blackrock. Per cui «è improbabile che sosterremo proposte relative al clima che siano indebitamente prescrittive e vincolanti per il processo decisionale o che richiedano di modificare la strategia o il modello di business dell’azienda». «Non lo riterremmo coerente con gli interessi finanziari a lungo termine dei nostri clienti», si legge nella nota.

E dire che negli ultimi due anni era stato proprio Fink a condurre in prima fila la corsa di Wall Street agli investimenti eco-sostenibili. All’inizio del 2020 (prima dell’esplosione della pandemia) il super manager aveva lanciato il nuovo mantra verde nella sua consueta lettera annuale agli amministratori delegati delle società partecipate da Blackrock: «Il cambiamento climatico – proclamava Fink – è diventato un fattore determinante nelle prospettive a lungo termine delle aziende. Siamo sull’orlo di un fondamentale rimodellamento della finanza». Contestualmente Blackrock avvertiva i suoi clienti che avrebbe iniziato a disfarsi degli investimenti in società che ottenevano più del 25% dei propri ricavi dalla produzione di carbone. Sembrava potesse essere l’alba di una rivoluzione ambientalista trainata dagli (ex) squali della finanza. Nel luglio 2021, ospite a Venezia della Conferenza internazionale sul Clima, Fink confermava: «Credo sia l’inizio della più profonda trasformazione del sistema finanziario che ho visto nei miei 40 anni di carriera. E sta avvenendo a un ritmo più veloce di quanto avessi mai immaginato». Nel frattempo Blackrock lanciava sui mercati nuovi fondi d’investimento orientati sulla lotta al cambiamento climatico.

Ancora all’inizio del 2022, nella solita lettera agli amministratori delegati, Fink sembrava convinto: «In questi due anni abbiamo assistito a uno spostamento epocale del capitale. Gli investimenti sostenibili hanno ormai raggiunto i 4 trilioni di dollari. Ed è solo l’inizio». Per poi puntualizzare, forse mosso da un impeto di franchezza: «Ci concentriamo sulla sostenibilità non perché siamo ecologisti, ma perché siamo capitalisti e siamo legati da un rapporto fiduciario verso i nostri clienti». Tradotto: se investiamo nella transizione green non è perché siamo preoccupati per le sorti del pianeta, ma perché riteniamo che ci farà diventare più ricchi. Ragionamento pienamente legittimo, peraltro, considerando anche che tra i risparmi gestiti da Blackrock ci sono molti fondi pensione.

Poi, però, lo scorso 24 marzo, a un mese dai primi raid di Putin sull’Ucraina, Fink cambia tono e scrive ai suoi azionisti: «L’invasione russa ha posto fine alla globalizzazione che abbiamo vissuto negli ultimi tre decenni. Nel breve termine rallenterà inevitabilmente il cammino verso l’obiettivo emissioni zero». Un mese e mezzo dopo arriva il comunicato di Blackrock: quest’anno, rispetto al 2021, «sosterremo un numero inferiore» di attività legate alla lotta al cambiamento climatico; meglio puntare su «aziende che investono sia in fonti rinnovabili sia in fonti tradizionali». Una ritirata che è sintomatica della restaurazione fossile in atto e che potrebbe a sua volta espanderne gli effetti a livello globale.

Peraltro, il gigante di Wall Street non ha mai smesso di investire nei combustibili fossili, essendo azionista di alcune fra le principali multinazionali dell’oil and gas (Chevron, Shell, British Petroleum). Addirittura, secondo l’indagine “Global Coal Exit List”, realizzata da 28 ong internazionali, Blackrock è tuttora il principale investitore istituzionale dell’industria del carbone con partecipazioni azionarie e obbligazionarie per 109 miliardi di dollari. Investimenti in energia “sporca” che ora trovano nuova linfa, con l’Europa che riaccende le centrali a carbone per far fronte alla crisi del gas.

Per converso, i principali indici azionari e obbligazionari green, che negli ultimi 24 mesi erano in costante ascesa, dall’inizio di quest’anno hanno conosciuto perdite nell’ordine del 15%, mentre le emissioni di green bond – più o meno agganciati a concreti obiettivi di riduzione delle emissioni di Co2 – sono precipitate del 40%. Secondo il consulente finanziario indipendente Luca Lixi, fondatore di Lixi Invest e co-fondatore di Aegis Scf, tra i fattori di questo crollo ci sono anche i movimenti sui tassi d’interesse legati all’inflazione: «Come tutto il mondo obbligazionario – spiega Lixi – anche le obbligazioni green, che hanno scadenza lunghe e rendimenti bassissimi, hanno subìto un repricing». E c’entra pure la «sottoperformance dei titoli hi-tech a grande capitalizzazione», su cui i fondi verdi «sono stati caratterizzati da una crescente esposizione». Come ha recentemente osservato sul Sole 24 Ore Marcello Minenna, direttore generale dell’Agenzia dei monopoli, «è presto per dire se ci troviamo realmente ai prodromi dello scoppio della bolla sul debito sostenibile» ma «certo le prospettive, estremamente favorevoli fino a qualche mese fa, hanno subìto un inedito e significativo ridimensionamento». Da Wall Street a Londra, fino a Francoforte e Piazza Affari, nel mondo dell’alta finanza non tira (già) più aria di svolta green. Del resto l’oracolo di Blackrock ha parlato: la rivoluzione del clima può attendere.
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