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Home » Economia

Agnelli Tech: ecco il nuovo business della dinastia

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Credit: AP

Dall’elettronica all’Intelligenza Artificiale. Dal colosso Philips alle startup in rampa di lancio. La holding di famiglia ora investe sul settore tecnologico. Nel 2023 raffica di acquisizioni. Intanto negli stabilimenti ex Fiat si continua a tagliare

Nel giro di qualche anno l’Intelligenza Artificiale rivoluzionerà la professione dell’avvocato, riducendo, fino quasi ad azzerare, il tempo dedicato alla ricerca e alla formulazione di pareri legali. Buona parte del lavoro sarà delegata ai cervelloni informatici e ci sarà quindi sempre meno bisogno di professionisti in carne e ossa.

Già oggi, nel mondo, esistono diverse aziende che operano nel settore “legaltech” offrendo questi servizi online ai grandi studi. Una di queste è italiana: si chiama Lexroom, è stata fondata nel gennaio di quest’anno da tre giovani (una giurista, un data scientist e un esperto di business) e promette di dotare l’avvocato di veri e propri «superpoteri» per «fare ricerca più veloce e meglio».

Lexroom è una delle decine di startup patrocinate dalla famiglia Agnelli-Elkann attraverso il proprio fondo di venture capital Vento, lanciato nel 2022 e focalizzato sugli investimenti nella cosiddetta fase “seed”, ossia quella in cui un’impresa neonata inizia a muovere i primi passi e a raccogliere i primi finanziamenti. 

Vento, a sua volta, è una creatura di Exor Ventures, il principale fondo di venture capital di casa Agnelli, gestito dal manager francese Noam Ohana.

Questi due fondi sostengono lo sviluppo di startup promettenti con l’obiettivo di farle crescere e poi venderle per realizzare una ricca plusvalenza. Exor Ventures e Vento gestiscono complessivamente investimenti per 632 milioni di euro (dato aggiornato al 30 giugno scorso). E nei rispettivi portafogli il settore tecnologico è il più ricorrente insieme a quello sanitario.

Tridente
Se fino a un paio d’anni fa gli analisti notavano che il nuovo business degli Agnelli – a fronte del disinteresse crescente verso l’automotive – era diventato l’industria del lusso, adesso il quadro merita un aggiornamento.

John Elkann,  amministratore delegato della holding di famiglia Exor, lo ha detto chiaro e tondo, nell’ultima lettera agli azionisti, la scorsa primavera: «Ci stiamo concentrando sull’impiego del nostro capitale nei settori sanitario, del lusso e della tecnologia». È questo il nuovo tridente su cui puntano gli eredi dell’Avvocato. 

Le automobili di Stellantis, le supercar Ferrari e le macchine agricole di Cnh Industrial restano le gemme più preziose della holding: basti pensare che la totalità dei dividendi incassati nel 2023 (pari a 815 milioni di euro) proviene da queste tre società. Ma la liquidità generata viene reinvestita altrove. 

Nella relazione finanziaria di Exor al 30 giugno scorso si motiva così la scelta di diversificare su tre fronti: «L’assistenza sanitaria è un settore non ciclico con fattori favorevoli strutturali», «il lusso ha mostrato un’elevata resilienza» e «la tecnologia continua a crescere man mano che il mondo passa a soluzioni sempre più digitali». 

Attivismo
Proprio la tecnologia è stata la protagonista assoluta negli ultimi mesi. L’operazione più rilevante è stata l’acquisizione del 15% di Philips, gigante dell’elettronica, nonché leader mondiale della tecnologia al servizio della salute.

Ad agosto Exor ha concluso l’affare per una cifra superiore ai 2,5 miliardi di euro, diventando così primo azionista della multinazionale olandese quotata ad Amsterdam e New York (e l’accordo prevede che possa discrezionalmente aumentare la propria partecipazione fino a un massimo del 20%).

«Il percorso di cambiamento intrapreso da Philips negli ultimi anni ha creato un’azienda che unisce due aree, sanità e tecnologia, nelle quali siamo impegnati», ha sottolineato John Elkann nel dare l’annuncio dell’operazione.

Il primo investimento di Exor nel campo hi-tech risale al 2016, quando la holding puntò una fiche da 103 milioni di euro per rilevare il 13% di Welltec, azienda danese che realizza robot per l’industria petrolifera: oggi la partecipazione è salita al 47% ed è iscritta a bilancio per un valore di 262 milioni.

Nel 2020 gli Agnelli hanno partecipato a un round di finanziamento sulla newyorkese Via Transportation, una piattaforma digitale simile a Uber pensata per il trasporto su autobus: il loro 17% vale oggi circa mezzo miliardo di euro. Nel 2021 c’è stato poi l’investimento su Casavo, portale italiano che incrocia i bisogni di acquirenti e venditori di immobili: il pacchetto della holding guidata da John Elkann attualmente è del 17,7%, che corrisponde a circa 40 milioni di euro.

È in particolare negli ultimi mesi, tuttavia, che Exor ha accelerato sul fronte tecnologico. Lo scorso settembre Exor Ventures ha preso parte a un ciclo di finanziamento su N5 Now, piattaforma fintech argentina che si occupa della digitalizzazione dei servizi bancari e assicurativi: fondata nel 2017 da un gruppo di manager ex Banco Santander, la società è presente in tredici Paesi, per lo più sudamericani, e adesso mira a conquistare gli Stati Uniti.

La cifra investita dagli Agnelli è top secret, ma si sa che al recente round di finanziamento hanno partecipato anche nomi di peso della finanza globale come Jp Morgan, Citi, Barclays, oltre alla famiglia Walton, che controlla il colosso americano della grande distribuzione Walmart.

Quasi in contemporanea il fondo Vento ha puntato alcune centinaia di migliaia di euro sulla startup tedesca Pandas AI, fondata dall’italiano Gabriele Venturi, che utilizza l’Intelligenza artificiale per fornire assistenza nell’analisi dei dati.

E ancora, sempre settembre, Lingotto, la società di gestione patrimoniale alternativa di Exor guidata dall’italiano Enrico Vellano, ha iniettato capitale a sostegno di Indigo, startup con sede a Boston che opera nell’agri-tech: l’attività consiste nella cattura di anidride carbonica e nello sviluppo di microbi da applicare ai semi per generare raccolti più produttivi.

Questi recenti investimenti vanno a consolidare ulteriormente il posizionamento della holding in campo tecnologico. E vanno ad aggiungersi a un già lungo elenco di aziende hi-tech finanziate dalla famiglia Agnelli: nel portafoglio di Exor Ventus, ben 17 realtà su 63 operano in questo campo, mentre nel ventaglio di startup sostenute dal fondo Vento se ne contano almeno altre 12, fra cui le fintech Otter e Rellai e le applicazioni di Intelligenza Artificiale Samaya e Storykube.

Anche la controllata Cnh Industrial sta investendo nell’hi-tech: nell’ultimo mese il colosso delle macchine per l’agricoltura e le costruzioni ha acquistato una partecipazione di minoranza in Advanced Farm Technologies, startup statunitense specializzata nella raccolta robotizzata di frutti, e ha messo le mani su Hemisphere Gnss, leader mondiale nelle tecnologie di navigazione satellitare.

Lusso & sanità
Ma la campagna acquisti di Exor nel settore della tecnologia, come detto, si affianca a quella nei comparti del lusso e della sanità. Nel luxury la gemma più preziosa è un brand storicamente legato alla famiglia Agnelli: Ferrari.

Il Cavallino Rampante – forte di una capitalizzazione vicina ai 60 miliardi di euro – viene concepito sempre meno come un mero produttore di auto sportive e sempre più come un’icona globale da spendere anche sul mercato del fashion.

Poi ci sono le scarpe col tacco francesi di Christian Louboutin e il design cinese di Shang Xia, sui quali la holding ha investito rispettivamente nel 2020 e nel 2021. 

In campo sanitario, invece, il debutto  è avvenuto nel 2022, prima con l’ingresso nel capitale di Lifenet Healtcare, società che gestisce una decina di cliniche in Italia guidata dal manager trevigiano Nicola Bedin (67 milioni di euro per rilevare il 44%), poi con l’acquisizione per 833 milioni di euro del 10% del Gruppo Institut Mérieux di Lione, colosso francese delle biotecnologie.

Dismissioni
Al 30 giugno scorso Exor gestiva un patrimonio valutato 34,2 miliardi di euro nel quale spiccano su tutte le partecipazioni in Ferrari, Stellantis e Cnh, che da sole valgono complessivamente 25,8 miliardi. Quest’anno la holding – controllata con il 53% delle quote dagli eredi dei vari rami della dinastia Agnelli – ha pagato ai suoi azionisti dividendi per 99 milioni di euro.

Se l’automotive rimane il tesoro di casa e se gli asset del futuro sono stati individuati – come detto – nei settori lusso, sanità e tecnologia, è invece in piena fase di ristrutturazione l’asset dell’editoria. Gedi – il principale gruppo nazionale, controllato da Exor dal 2019 – negli ultimi tre anni si è disfatto del suo fiore all’occhiello, il settimanale L’Espresso, e di di ben dodici testate locali, tra cui giornali che hanno fatto la storia della stampa in Italia come la Gazzetta di Mantova, Il Tirreno, La Nuova Sardegna e Il Piccolo di Trieste.

La rivista MicroMega, punto di riferimento dell’intellighenzia di sinistra, è stata addirittura chiusa, mentre il quotidiano di punta del gruppo, La Repubblica, continua a perdere lettori, ormai ampiamente sotto quota 80mila copie cartacee giornaliere.

E, benché i risultati finanziari siano ampiamente positivi (+37% di utile nei primi sei mesi del 2023), anche su Stellantis è in corso una profonda opera di riduzione dei costi. Anzi, proprio la spending review disposta dall’amministratore delegato Carlos Tavares è uno dei fattori che contribuiscono a tenere in positivo i dati economici del gruppo malgrado la crisi del mercato automobilistico europeo. Un dato su tutti: negli ultimi due anni l’azienda ha avviato un maxi-piano di uscite incentivate che ha già portato 7.500 dipendenti ad accettare di dimettersi in cambio di lauto assegno. 

Non solo. Dopo anni di voci mai concretizzatesi, sembra davvero arrivato il momento della cessione di Comau, società torinese del Gruppo Stellantis specializzata nell’automazione industriale e nella robotica.

La prospettiva inquieta i sindacati, e non solo loro. Ricorda infatti in modo sinistro l’operazione di vendita conclusa nel 2018 dall’allora Fiat Chrysler sulla Magneti Marelli. In quel caso sappiamo bene come è andata a finire: oggi la Marelli è in gravi difficoltà e la nuova proprietà nippo-americana vuole chiudere lo stabilimento di Crevalcore, in provincia di Bologna.

Alla Comau già tremano, ma John Elkann, presidente di Stellantis, non sembra per nulla intenzionato a opporsi al piano di dismissione di Tavares. Del resto è noto che in Stellantis comandino i francesi di Psa. Gli Agnelli non mettono bocca sulle strategie industriali del gruppo: a loro preme solo intascare i dividendi.

Per la più importante dinastia del capitalismo italiano, l’automotive ormai è solo un business fra i tanti. I settori su cui investire sono altri: una strategia che dice molto dei tempi che corrono.

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