“It Can Never Be The Same”: TPI pubblica in anteprima due foto del nuovo libro del Premio Pulitzer Lorenzo Tugnoli
Immagini, memorie, luoghi e momenti: la nuova opera dell'unico vincitore italiano del premio Pulitzer, disponibile in libreria da ottobre, racconta l’Afghanistan in un viaggio visivo oltre il reportage
Quando sono arrivato in Afghanistan nel 2009 non potevo immaginare quanto questo Paese e le persone che lo abitano avrebbero cambiato la mia vita. In quegli anni ho iniziato a lavorare come fotografo a tempo pieno e lì si è consolidato il mio rapporto professionale con The Washington Post, che continua tuttora. Ho vissuto a Kabul per sei anni e poi sono tornato molte altre volte.
Dopo il 2023 mi sono fermato a riflettere sulle fotografie e ho provato a dare a questo corpo di lavoro una forma che andasse oltre la cronaca e il ritmo serrato del giornale. Ho cercato un tono meditativo, sviluppato in collaborazione con la ricercatrice Francesca Recchia. Da sempre affascinato dalla tradizione del fotogiornalismo in bianco e nero, mi sono chiesto: stavo davvero raccontando l’Afghanistan oppure stavo semplicemente riproducendo immagini già viste, come un film che si ripete nella testa di un osservatore esterno?
L’Afghanistan resiste agli sguardi stranieri e la sua immagine è stata più volte appropriata e distorta dalle potenze che lo hanno occupato. Le incomprensioni nascono non solo dalla difficoltà di accedere ai molti strati di significato del Paese, ma anche dalla nostra tendenza, come giornalisti, a semplificare. Queste semplificazioni possono essere pericolose se si trasformano in narrazioni utili a giustificare guerre e occupazioni, spesso condotte in nome dell’esportazione di valori democratici o della difesa dei diritti delle donne.
Le fotografie di “It Can Never Be The Same” (preordina qui una copia) sono state realizzate negli anni cruciali dei colloqui di pace tra Stati Uniti e Talebani, seguiti dal crollo della Repubblica afghana e dal ritorno al potere dei talebani. Il libro si costruisce come un viaggio visivo più che come un reportage: frammenti di luoghi e momenti, sequenze che non vogliono spiegare ma aprire possibilità di interpretazione. L’uso del bianco e nero richiama l’autenticità storica generalmente attribuita al fotogiornalismo e allo stesso tempo la mette in discussione.
Il volume è accompagnato da un testo del giornalista e scrittore afgano Habib Zahori, che racconta l’esperienza di crescere in Afghanistan, e da un saggio finale di Francesca Recchia che riflette sugli aspetti critici della rappresentazione. La pubblicazione di questo libro è particolarmente significativa in un momento in cui l’Afghanistan è quasi scomparso dai titoli dei giornali e gli aiuti internazionali sono stati drasticamente ridotti, dopo decenni di guerra e bombardamenti. La mia speranza è che queste immagini possano contribuire a una discussione più ampia su come percepiamo i Paesi che hanno vissuto occupazioni, sull’etica del racconto e sugli effetti duraturi degli interventi stranieri. La pubblicazione è stata possibile grazie al contributo di EMERGENCY, organizzazione umanitaria italiana che da molti anni porta avanti un lavoro fondamentale in Afghanistan.