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Home » Cultura

Brand Journalism: l’era della credibilità nel racconto delle imprese

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La corporate communication sta cambiando. Non bastano più comunicati stampa e brochure. Siamo nell’era del Brand Journalism: le aziende costruiscono il proprio posizionamento facendo informazione e raccontando storie autentiche

Negli ultimi vent’anni è cambiato radicalmente il modo in cui le aziende comunicano se stesse all’esterno. A latere delle brochure di presentazione e dei comunicati stampa – caratterizzati da un linguaggio spesso freddo, standardizzato, talvolta eccessivamente tecnico e promozionale – si è via via affermata la necessità di costruire relazioni sempre più dirette con i propri clienti: un’esigenza alimentata anche, ma non solo, dall’ascesa dei social media, che hanno accelerato i processi di disintermediazione a più livelli. Le aziende hanno scoperto l’importanza di sapersi raccontare anche oltre lo specifico del prodotto o del servizio offerto, adottando toni più narrativi e il più possibile autentici. Attraverso contenuti digitali – come video, blog, podcast – le imprese sono diventate anche veri e propri editori di sé stesse. Così è nato il Brand Journalism.

Con questa espressione si indica una strategia di comunicazione per cui l’azienda utilizza tecniche e principi propri del giornalismo per raccontare storie rilevanti, autentiche e di interesse pubblico legate al proprio marchio, al proprio settore o anche solo ai propri valori di riferimento. L’obiettivo non è solo promuovere prodotti o servizi, ma informare e coinvolgere il pubblico, contribuendo a costruire credibilità intorno al brand.

Questa nuova forma di comunicazione aziendale – la cui evoluzione è ancora in corso – è stata al centro della seconda edizione del Brand Journalism Festival, che lo scorso 11 novembre al Talent Garden di Roma ha riunito imprenditori, manager, accademici, editori, giornalisti, comunicatori per una giornata di incontri, confronti e tavole rotonde. L’evento – promosso da Social Repoters, startup italiana specializzata appunto in Brand Journalism – ha registrato oltre 200 presenze in sala e più di 500 adesioni.

Un nuovo dialogo
Come emerge anche dal titolo scelto,  “Oltre la polarizzazione: un nuovo patto tra informazione e impresa”, nel corso del festival è emersa con forza l’urgenza di ridefinire il racconto aziendale e in particolare la relazione tra informazione e impresa. Oggi per essere credibile e costruire il proprio posizionamento sul mercato, l’azienda non si può più limitare a comunicare e basta, ma deve saper instaurare un dialogo con il cliente basato su autenticità, competenza, senso di verità, superando la logica del “giornalismo contro” e del mero “comunicato patinato”. 

La giornata al Talent Garden, in altre parole, ha evidenziato ancora una volta come il dialogo tra chi produce contenuti e chi produce valore non sia una scelta, ma una necessità culturale e professionale per la tenuta del tessuto sociale. 

Dalla disinformazione all’intelligenza artificiale, dalla comunicazione interna al ruolo delle piattaforme proprietarie, il festival ha offerto spunti concreti e casi studio su come le aziende possano diventare media company e restituire senso al proprio racconto.

L’evento si è articolato, in particolare, in sette panel dedicati a svariati temi:”Odissea nello spazio (digitale)”, “Quando il racconto nasce in azienda”, “Leadership e credibilità nell’ecosistema dell’informazione”, “AI e sostenibilità per un brand storytelling responsabile”, “La comunicazione del potere tra realtà e manipolazione”, “La riscossa del giornalismo contemporaneo”, “Istituzioni, media e impresa: una nuova alleanza per l’ecosistema dell’informazione”.

La sfiducia nei media
Nel corso dell’evento è stata presentata una rilevazione dal titolo “Politica e comunicazione al tempo del Fact-Checking”, condotta dall’istituto di ricerca Ipsos in collaborazione con il Brand Journalism Festival. L’indagine ha messo in luce in modo evidente la crisi di credibilità che attraversa il mondo dell’informazione nel nostro Paese: il 64% degli italiani afferma che la propria fiducia nelle fonti è diminuita negli ultimi cinque anni, mentre il 54% ritiene che le notizie veicolate dai media siano spesso intenzionalmente distorte per sviare il pubblico. Questo clima di sospetto è acuito dalla tendenza a chiudersi nelle proprie “eco-chambers” politiche: il 55% degli intervistati che parla principalmente con persone dalle opinioni politiche affini. La conseguenza è che gli orientamenti politici sono vissuti innanzitutto come elemento identitario, di natura “clanica”, con il voto che viene deciso sulla base della generica vicinanza o della logica oppositiva, piuttosto che su valutazioni razionali.

Il declino della fiducia dei cittadini nei confronti dell’informazione è testimoniato anche da un altro sondaggio presentato durante il festival: l’indagine “Giovani e informazione” realizzata dall’Osservatorio GenerationShip 2025 di Changes Unipol in collaborazione con Kkienn Connecting People and Companies. Dalla ricerca emerge, fra le altre cose, che, su una scala da 1 a 10, il 44% dei giovani e il 42% degli adulti dà alla qualità generale dell’informazione un voto tra 1 e 5. La crisi dei mezzi di informazione – secondo la rilevazione – riguarda il sensazionalismo delle grandi testate, la diffusione di notizie false o distorte, l’impatto degli algoritmi sulla formazione dell’opinione pubblica, la «non informazione» e il clima tossico portato dai social. Ma pesa anche il sovraccarico informativo: il 49% dei giovani nella fascia tra i 16 e i 35 anni si dice «a volte sfinito» dalla quantità di notizie, il 45% spesso evita le notizie per non sentirsi sopraffatto, il 46% osserva che il flusso continuo riduce la capacità di riflettere.

Interpretare il propri tempo
In questo scenario di crescente sfiducia nei confronti dei media, il Brand Journalism può giocare un ruolo cruciale. Su ambiti tematici, come innovazione tecnologica o campagne di sensibilizzazione su temi sociali e ambientali, le aziende iniziano ad essere percepite come fonti di infromazione potenzialmente affidabili.

«Il Brand Journalism, quando è autentico, non è marketing mascherato, ma un atto culturale di responsabilità», osserva Ilario Vallifuoco, curatore e fondatore del Brand Journalism Festival. «Significa che un’impresa sceglie di interpretare il proprio tempo, di raccontare non solo se stessa ma il contesto in cui opera, con linguaggi e strumenti giornalistici. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale produce contenuti e le piattaforme amplificano tutto, il valore sta nel senso, non nella quantità».

Intanto, il festival si prepara già alla prossima edizione. Per il 2026 si lavora a un laboratorio permanente in cui il racconto d’impresa si trasformerà in autentica sperimentazione culturale. Lo scopo è tradurre il dialogo in strumenti di lavoro concreti.

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