Cesare De Stefano, la mente dietro la food tech Nuvola Zero
C’è qualcosa di profondamente umano in ogni rivoluzione. È da qui che parte la storia di Cesare De Stefano. Non da una fabbrica, non da un laboratorio, ma dalla cucina di casa e da un’intolleranza alimentare che, per molti, sarebbe stata una chiusura. Per lui, invece, è stata una porta spalancata sul futuro.
Immaginate un uomo, dinamico, con un background solido nel mondo della comunicazione, che un giorno si trova di fronte a un muro inaspettato: un’allergia grave ai lieviti, unita a intolleranze preesistenti. Di colpo, il piacere del cibo, l’atto quotidiano e confortante di sedersi a tavola, diventa una sfida, un campo minato di ingredienti da evitare. È qui che entra in gioco Sabrina Venturelli, compagna nella vita e nell’intuizione. Sportiva, appassionata di alimentazione sana, inizia a sperimentare un impasto alternativo. È una “ricetta zoppa”, la chiamano così con affetto. Un composto imperfetto, fatto per necessità, senza carboidrati, senza zucchero, senza lieviti.
Eppure, qualcosa accade. Non solo Cesare comincia a stare meglio, ma intuisce che quella mancanza, così radicale, è anche un’assenza creativa. Una “non farina” che può diventare qualcos’altro. È l’inizio non dichiarato di Nuvola Zero, oggi una delle realtà più sorprendenti del food tech italiano, con quattro brevetti internazionali, 27 marchi registrati e milioni di prodotti venduti in meno di tre anni.
Quello che colpisce di Cesare De Stefano non è solo la visione imprenditoriale, ma la coerenza etica del percorso. “Non potevo più mangiare quasi nulla – ha raccontato – e allora ho pensato: se ha funzionato per me, può funzionare anche per altri”. Così, con il supporto di Sabrina e di Sonia Ruggiero, oggi direttrice generale, fonda nel 2021 Nuvola Zero. Il primo prodotto a essere lanciato? Il Cloudbread, una sorta di pane etereo, quasi senza peso, ma carico di significato.
L’impatto è immediato. I social lo scoprono, Google esplode di ricerche, le community chetogeniche ne fanno un punto di riferimento. Il prodotto funziona, il nome gira, il marchio cresce. Ma il successo, in questo caso, è tutt’altro che casuale.
De Stefano non viene dal mondo del cibo, bensì da quello della comunicazione. Per anni ha lavorato nella grande distribuzione, creando materiali e strategie di marketing per aiutare i prodotti a farsi notare. E quando il prodotto è diventato il suo, ha applicato le stesse logiche. Ha costruito attesa, identità, relazione.
“Abbiamo fatto conoscere l’idea prima ancora del prodotto”, racconta in un’intervista realizzata al giornale di marketing e comunicazione, Influent People, e visibile sul canale YouTube di Nuvola Zero. “Quando abbiamo lanciato la prima linea, c’era già una community che ci aspettava. Gente che aveva capito cosa potevamo offrire. Non una dieta, ma una possibilità.” È questa la forza di Nuvola Zero, quella di non vendere una rinuncia, ma un nuovo vocabolario del gusto dove “zero” non è privazione, ma orizzonte aperto.
I numeri parlano da soli: da 10.000 unità previste nel 2021, a oltre 6 milioni vendute in tre anni. La linea si amplia, i prodotti entrano nella grande distribuzione – Conad, Coop, Carrefour, Decò – e anche online, con un e-commerce in espansione europea. Cloudbread, Pane Zero, Dolce Zero, Snack Zero, ogni prodotto diventa un tassello di un universo alimentare che punta tutto sulla leggerezza biochimica e sull’autenticità.
Nuvola Zero è, oggi, la prima azienda al mondo ad aver realizzato prodotti da forno contemporaneamente privi di carboidrati, zuccheri, lattosio e glutine. Un unicum brevettato, frutto di un lavoro costante di ricerca interna e di collaborazioni.
“Il nostro obiettivo non è solo fare prodotti alternativi – spiega Cesare – ma creare soluzioni reali per chi ha esigenze alimentari precise”. E in effetti, i prodotti Nuvola Zero non si rivolgono solo agli intolleranti, ma anche a chi segue regimi chetogenici, a chi soffre di diabete, a chi cerca un’alimentazione funzionale al benessere.
La chetosi, indotta dall’assenza di zuccheri e carboidrati, è uno dei cardini biochimici su cui si basa l’effetto benefico della linea. Il corpo, stimolato a produrre BHB, un chetone che migliora la funzione cellulare e riduce l’infiammazione, risponde con un generale miglioramento del metabolismo.
L’unicità del prodotto e la chiarezza della visione hanno attirato partner strategici importanti. Due su tutti sono Azimut e Mediaset Group, che hanno investito nella start-up sin dai primi round. “Azimut ha raddoppiato l’investimento nel secondo trimestre – racconta De Stefano – segno che stavamo davvero facendo qualcosa di giusto”. E in effetti, Nuvola Zero è uno dei rari casi in cui la GDO non si è limitata a concedere spazio a scaffale, ma ha attivamente cercato l’inserimento del prodotto.
Anche la consulenza di CII3, advisor finanziario di riferimento, ha contribuito a dare solidità alla crescita, rendendo Nuvola Zero non solo un caso imprenditoriale, ma un modello strategico.
E ora? Dopo pane, dolci, snack, Nuvola Zero è pronta a lanciare una nuova linea di biscotti, richiesta a gran voce dalla community e pronta per entrare nei supermercati. Ma non è tutto. C’è un prodotto ancora top secret, già brevettato, che – promette Cesare – sarà “una rivoluzione nella rivoluzione”. Un alimento universale, ma completamente riformulato secondo la filosofia Zero. “Non si tratta di moda o marketing – sottolinea – ma di un modo nuovo di pensare al cibo. Più che togliere, è una scelta di aggiungere benessere, semplificare, alleggerire. Anche emotivamente.”
Per Cesare De Stefano, il segreto della longevità è nella semplicità intelligente. “Mangiare bene, ridurre lo stress, fare movimento, bere poco alcol. Il corpo ha bisogno di equilibrio, non di estremismi.” È questo il senso più potente del suo percorso, vale a dire un’idea di salute che parte dalla tavola ma arriva fino alla mente.
E così, quella che era cominciata come una risposta a un limite, oggi è diventata un marchio riconosciuto, un’impresa premiata e un simbolo di innovazione umana prima ancora che tecnologica. Nuvola Zero non è solo un prodotto. È una scelta culturale. E in fondo, forse, non c’è definizione migliore di rivoluzione che questa. Una mancanza che diventa possibilità, un problema che si trasforma in visione.