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Rifiuti, economia circolare, normativa Pfand: l’Italia è ancora al Medioevo. Per fortuna c’è l’Europa

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In Germania il sistema Pfand promuove la collaborazione fra cittadini, negozianti, aziende e comunità mentre in Italia la politica continua a escludere i cittadini, le imprese e le comunità dalle opportunità della nuova Economia Circolare, e rimane succube degli interessi delle lobby industriali

Sul tema dei rifiuti si accavallano le ipotesi più fantasiose e le proposte più insostenibili e la confusione regna sovrana.
Mentre già 328 Comuni (Parma, Ragusa, Formia, Tivoli, Rieti fra gli altri) hanno aderito alla strategia rifiuti zero ispirata dal “guru” Paul Connett e lanciata a Capannori (Lucca) oltre 10 anni fa, a Roma il Sindaco Gualtieri tira fuori dal cappello il “Termovalorizzatore”, e l’opposizione gli risponde proponendo fantascientifici impianti di ossicombustione, l’ultima infatuazione del comico genovese che si suppone permetta di bruciare i rifiuti senza fiamma alla modesta temperatura di 1400 gradi Celsius da raggiungere tramite impianti fossili.

Il dibattito sui rifiuti si avvita dunque su se stesso in una logica puramente ed esclusivamente “impiantistica” in cui le parti in causa si dividono solo sul tipo di impianto da installare per smaltirli, ma non su nuove strategie per non produrne, come invece suggerisce l’Europa con la nuova strategia dell’Economia Circolare.

Fortemente voluta dalla Presidente von der Leyen (e da Angela Merkel) l’Economia Circolare, è l’architrave del Green Deal Europeo, e mira a ridurre i rifiuti, anziché smaltirli. Il Piano d’Azione per l’Economia Circolare (in gergo CEAP o Circular Economy Action Plan) è di marzo 2020 quindi relativamente recente, ma la Commissione Europea aveva proposto già dal 2008 strategie ambiziose e avanzatissime con la Direttiva Rifiuti.

Queste direttive si sostanziavano nella ben nota gerarchia delle tre R, secondo cui una chiusura virtuosa dei cicli di consumo mira nell’ordine a ridurre, poi riusare e, solo per ultimo, riciclare i rifiuti, mentre discariche e inceneritori venivano considerate pratiche da abbandonare. con il suddetto Piano d’Azione per l’Economia Circolare, l’Europa compie un passo avanti coraggioso che simbolicamente, fa proprio scomparire terminologicamente la parola “rifiuti” per sostituirla in positivo con il concetto di Economia Circolare.

Questa strategia presuppone disinvestimenti da qualunque soluzione “impiantistica (inceneritori, discariche, tritovagliatori o impianti di TMB -Trattamento Meccanico Biologico), e la messa in campo a vari livelli di misure volte a introdurre comportamenti nuovi, come campagne di informazione e comunicazione per i consumatori e le imprese. Infatti per ridurre i rifiuti, riusare gli oggetti e riciclare i materiali, è necessario indurre i consumatori ai giusti comportamenti, all’atto dell’acquisto (che deve sempre privilegiare i beni e prodotti che implicano meno produzione di rifiuti), come all’atto della rimozione degli scarti. Questa strategia, autorevolmente ripresa nel concetto di Ecologia Integrale contro l’economia dello scarto dall’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, presuppone certo anche degli aspetti materiali e impiantistici, che però non sono centrali ma marginali, e sono anche molto meno costosi, complicati e impattanti degli impianti di smaltimento, essendo limitati a capannoni di raccolta adeguatamente suddivisi, laboratori di riparazione e centri di esposizione per lo scambio e la rivendita.
In Germania, il modello “PFAND”- ossia la restituzione su cauzione di imballaggi e bottiglie- ha registrato un successo senza precedenti con i suoi sistemi premiali incoraggianti (ogni vuoto rende 25 c. di €).

Oltre ad aver ispirato la stessa strategia europea per l’Economia Circolare, lo Pfand tedesco ha introdotto e diffuso localmente nuovi modelli di consumo virtuoso e consapevole e anche quella cultura del vuoto a rendere che, oltre a generare responsabilità e senso civico nei cittadini, porta loro anche considerevoli vantaggi economici e occupazione. Certo, l’abbandono di rifiuti è un reato punito molto severamente, come pure l’obsolescenza programmata che ha portato sul banco degli imputati colossi quali Epson e Apple in Paesi come la Francia, ma il bastone non è sufficiente. Ci vuole anche la carota, ed è questo che fa il sistema “Pfand” in Germania. Vediamo meglio.

La normativa Pfand (o normativa Dpg Deutsche Pfandsystem GmbH), è uno straordinario metodo di rimessa in circolo adottato già da parecchi anni. Pfand in italiano potrebbe essere tradotto come “vuoto a rendere” o come “deposito”. Si tratta di un metodo di raccolta di rifiuti efficacissimo e all’avanguardia in Europa.

Lo Pfand funziona così: lo Stato, per l’acquisto di bottiglie e recipienti in vetro, PET, allumino e polistirolo, impone una cauzione con un sovrapprezzo aggiuntivo all’atto della vendita (chiamato appunto Pfand), che il compratore si vedrà restituire al momento della restituzione del vuoto non appena avrà consumato il prodotto. In pratica quindi se io acquisto una bottiglia di acqua minerale, dal costo di 0,90 cent, dovrò pagare alla cassa una cauzione (generalmente 0,25 cent), Quindi 1 Euro e 15 cent, di cui mi vedrò restituire i 25 cent di cauzione.

L’aspetto originale del sistema tedesco è che bottiglie e contenitori vuoti possono essere restituiti da chiunque a chiunque!
Dunque non necessariamente dal compratore al negoziante che gli ha venduto il prodotto. Qualunque negoziante è tenuto a provvedere al rimborso del vuoto, o alternativamente a dotarsi di un distributore automatico per effettuare l’operazione (il cosiddetto “reverse vending”) veri e propri “cassonetti elettronici” che rilasciano uno scontrino recante il numero dei recipienti introdotti e il corrispettivo che verrà corrisposto in denaro o in buoni sconto sulla spesa in quell’esercizio bottiglie gettate e il prezzo del rimborso dovuto, con il quale recandosi in qualsiasi supermercato si può ottenere il corrispettivo dovuto. In altre parole, i rifiuti da riuso o riciclo vengono pagati per unità e non a peso.

Le macchine predisposte alla raccolta (reverse Vending machines) leggono il logo “Pfand” che lo Stato tedesco impone a tutte le industrie produttrici di acqua minerale e di qualsiasi altro prodotto commercializzato in recipienti di plastica o vetro. In sostanza tutti i produttori sono obbligati ad attuare lo Pfand: ossia le bottiglie prodotte dall’industria dovranno essere raccolte, sterilizzate da apposite ditte di smaltimento tedesche e riconsegnate alle relative industrie, le quali quindi provvederanno a riciclarle o a riutilizzarle rimettendole sul mercato. Il sistema del riciclo quindi è stato reso non solo obbligatorio per tutte le industrie produttrici, ma introduce quella premialità motivante che incentiva i consumatori. I cittadini infatti sono motivati oltre che dalla loro sensibilità ambientale, e dal combattere l’iperconsumismo folle delle nostre società anche dalla remunerazione economica (100 bottiglie sono 25 euro!).

Questo modo di raccolta dei contenitori usati garantisce innanzitutto il riuso (importantissimo per il vetro) e rallenta notevolmente la produzione e la immissione nell’ambiente di nuovi contenitori e il conseguente enorme spreco dell’intero ciclo produttivo usa e getta -un ciclo produttivo costoso e notevolmente inquinante- contro cui peraltro l’Europa si è schierata nettamente imponento il divieto della plastica usa e getta da quest’anno con la famosa Direttiva SUP (Single Use Plastic).
Una conseguenza importante della legislazione Pfand è che le imprese hanno smesso di produrre contenitori a base di petrolio ed altre sostanze di scarto industriale che contribuiscono all’inquinamento ambientale e delle falde acquifere. Grazie allo Pfand in Germania si è ridotta la produzione di bottiglie in plastica mentre aumentano le ditte produttrici che scelgono di fornire i propri prodotti in bottiglie di vetro, meno deteriorabili delle bottiglie in plastica, riutilizzabile e più facile da riciclare e pulire rispetto alle di bottiglie in plastica. E i contenitori di plastica sono più resistenti e riutilizzabili, il che incoraggia anche la diffusione della vendita di cibo sfuso.

Così nei supermercati tedeschi contenitori di vetro o di plastica durevole, diventano sempre più comuni, mentre quelli di plastica usa e getta erano già quasi scomparsi anche prima della Direttiva SUP. Lo Pfand ha costretto anche i produttori stranieri che vogliono vendere i propri prodotti in Germania, ad adeguarsi per non doversi ritirare dal ricco mercato tedesco. Le marche straniere produttrici di acqua e altre bevande che non portano sull’etichetta il logo Pfand non vengono accettate nella distribuzione tedesca, perché se le accettano poi devono tenersele sullo stomaco in giacenza in quanto non possono farle entrare nel circuito Pfand.

Le ditte italiane, per essere in regola con la normativa dello Pfand, devono aprire un conto corrente al Gewerbe (licenza d’esercizio) tedesco. Inoltre, per poter stampare il codice Pfand sull’etichetta (che permette il riconoscimento delle bottiglie nelle macchine di “reverse vending”), le ditte devono avere un’autorizzazione internazionale che viene rilasciata previo pagamento di una tassa.
La Germania è stata così in grado di costituire un sistema di riciclo ecosostenibile e soprattutto utile, che ha fatto scuola ed è stato rapidamente adottato dall’Europa.
 E l’Italia? A livello nazionale, la norma di maggior peso è stata il decreto Sblocca Italia di Renzi che ha facilitato enormemente l’impiantistica fossile e gli inceneritori. A livello locale poi, è particolarmente significativo il caso di Roma. A questo riguardo vale la pena fare un piccolo “riassunto delle puntate precedenti” all’attuale dibattito sul termovalorizzatore. Nel 2009, in epoca Alemanno, venne approvato un Master Plan per la decarbonizzazione di Roma che prevedeva una strategia rifiuti zero spinta, oltre che altre proposte avanzatissime come il trasporto pubblico locale a idrogeno verde autoprodotto e erogato in appositi distributori strategicamente posizionati su tutto il territorio cittadino e i distretti produttivi di stampa 3D. Tutte cose bellissime ma forse troppo avanzate sui tempi e dunque rimaste sulla carta per ragioni che meriterebbero un altro articolo.

Tornando alla questione rifiuti, nel 2014, in epoca Marino, veniva approvata dal Consiglio Comunale la delibera 129, per Roma verso Rifiuti Zero, che portava l’Economia Circolare a Roma con 5 anni di anticipo sulle strategie europee, e anche l’istituzione di 15 “Osservatori Municipali” per l’Economia Circolare (uno per ogni municipio). La ormai tristemente nota fine anticipata della sindacatura di Marino, bloccò l’attuazione delle avanzatissime misure previste dalla delibera 129.

Quando a Marino successe la Raggi, i più sperarono che la delibera avrebbe trovato finalmente piena e efficace attuazione. Ma l’illusione durò poco. Per ragioni che ancora nessuno è riuscito credibilmente a spiegare, la situazione degenerò rapidamente e la Raggi, in contraddizione con le aspettative che lei stessa aveva creato, prese provvedimenti incomprensibili e ai limiti dell’autolesionismo, come ad esempio nominare come assessore all’Ambiente, Paola Muraro, che aveva svolto fra mille polemiche e inchieste giudiziarie (che poi ne determinarono le dimissioni) per 12 anni il ruolo di consulente in AMA, la municipalizzata romana per la gestione dei rifiuti.

Quando la Muraro si insediò, Roma produceva all’incirca 3000 tonnellate di rifiuti indifferenziati al giorno. 2300 tonnellate finivano nei 4 impianti di TMB (Trattamento Meccanico Biologico) romani (due di proprietà AMA, contestatissimi perché ammorbano e infestano con frequenti incidenti e incendi, zone abitate a Rocca Cencia e sulla Salaria) due di proprietà dell’immarcescibile Cerroni, a Malagrotta. Le rimanenti 700 tonnellate venivano “esportate” in provincia (Aprilia) in Regione (Frosinone e Rieti), e perfino fuori regione. La Muraro, decise di fermare le “esportazioni” di monnezza e dall’alto della sua pluridecennale esperienza di consulente AMA, cominciò a imporre con metodi non sempre condivisi, che le tonnellate residue andassero a vari impianti da progettare o esistenti, fra cui il famigerato tritovagliatore di Rocca Cencia. Famigerato perchè si trattava di un impianto sotto sequestro per mancata osservanza delle norme di sicurezza e anche perchè non separa i rifiuti come, per quanto approssimativamente, fanno gli impianti di TMB, ma li frantuma tutti insieme. Il peggior modo di chiudere il ciclo dei rifiuti. La nuova strategia ambientale ridiede fiato e protagonismo all’autocrate autoreferenziale Cerroni, pluri-inquisito Imperatore della “monnezza” romana che sui rifiuti ha fatto una fortuna calcolata in parecchie centinaia di milioni di Euro, ma ha spesso reclamato anche la gratitudine dei romani (“Senza di me sareste sommersi dalla monnezza”).

Cominciò così una stucchevole querelle sulla destinazione delle tonnellate “orfane”. 
Esportazione o Cerroni? 
La Muraro giustificava le sue scelte adducendo che il sistema impiantistico di Roma era sottodimensionato e insufficiente rispetto alle esigenze di una città “moderna” (notoriamente le città moderne devono produrre rifiuti…). Ecco che ritorna la “dittatura degli impiantisti”, riproponendo il dilemma del diavolo: più impianti o montagne di rifiuti per strada? Questa impostazione tradisce immediatamente i limiti culturali (oserei definirli mentali) di chi la propone, abituato ad affrontare il tema dei rifiuti in chiave di smaltimento e di impiantistica, e rassegnato alla inevitabilità della produzione di rifiuti in una economia moderna. Si arriva perfino a parlare di “mercato” e di “fabbisogno” dei rifiuti. Ma l’Europa, privilegiando l’Economia Circolare su quella lineare (che produce lo scarto), afferma che il mercato dei rifiuti non esiste (benchè essi abbiano fatto la fortuna dei vari Cerroni). Perchè innanzitutto i rifiuti non dovrebbero neanche esistere, e la loro esistenza pone problemi che vanno affrontati in chiave di servizi alla comunità. Se le zanzare ci infestano, o topi, gabbiani cinghiali ci invadono, la disinfestazione o la derattizzazione non sono “un mercato”, ma un servizio come la riduzione degli scarti in una società moderna.

La Muraro venne sostituita da Pinuccia Montanari, persona capacissima che aveva dato ottima prova di se a Reggio Emilia e Genova, a cui però vennero legate le mani impedendole di prendere qualunque decisione in materia di rifiuti, fino alle inevitabili dimissioni.

E siamo al giorno d’oggi. Con una delibera Rifiuti Zero ancora in vigore e in attesa di applicazione, ignorata in una non entusiasmante “querelle” impiantistica fra “termovalorizzatori” e “ossidocombustori”, il dilemma-rifiuti di Roma potrebbe trovare soluzione alla luce del nuovo paradigma proposto dall’Europa e già formalmente abbracciato con largo anticipo da Roma con la delibera 129 del 2014. In questo nuovo paradigma, le tremila tonnellate di rifiuti indifferenziati, non vanno esportate. Non vanno neanche “termovalorizzate”, o “tritovagliate”. Vanno semplicemente ridotte.

Ovviamente non è realistico pensare che la riduzione possa avvenire in pochi giorni e a fronte dell’emergenza rifiuti vanno fatti degli sforzi straordinari di contenimento dell’emergenza. Ma perché l’emergenza rifiuti finisca, va fatto un piano cadenzato di riduzione dei rifiuti che stabilisca di quanto ridurre e entro quando, possibilmente con diversi scenari e in diverse condizioni come già previsto dalla delibera 129. E come ci chiede l’Europa con il pacchetto Economia Circolare. É possibile ipotizzare attività per ridurre i rifiuti a Roma secondo un calendario realistico e mettere in campo le necessarie azioni (che hanno a che fare, ripetiamo, non con gli “impianti”, ma con i comportamenti individuali e della Comunità? Secondo il Movimento Legge Rifiuti Zero per l’Economia Circolare, ispiratore della delibera 129, la risposta è sì. Lo stanno facendo in molti comuni anche in Italia come accennato prima. Ci sono tecniche e azioni ispirate al decalogo del “Guru” di Rifiuti Zero Paul Connett (banche del riuso, centri di riparazione, riciclo di filiera corta, centri di compostaggio di comunità etc).

Ma soprattutto ci sono esempi virtuosi in 328 Comuni italiani e in molti Paesi del Nord Europa, che hanno ridotto così tanto i rifiuti da incenerimento che per poter ammortizzare gli inceneritori incautamente impiantati negli anni 90, sono costretti a importare spazzatura dall’Italia. In Germania non si trova più una bottiglia, una lattina, un imballaggio per strada, perché c’è una strategia di premialità spinta verso i comportamenti virtuosi per cui gettare costa multe, mentre conferire nel sistema rende economicamente.

Purtroppo non così in Italia dove (nonostante le strategie europee), manca una strategia per l’Economia Circolare, che permetta l’affermarsi di un sistema virtuoso come lo Pfand tedesco. L’Italia è il paese dove proposte di legge fondamentali come quella sul vuoto a rendere obbligatorio, per l’Economia Circolare e Rifiuti Zero, sonnecchiano nei cassetti parlamentari da anni.
Abbiamo così il paradosso che in Germania il sistema Pfand promuove la collaborazione fra cittadini, negozianti, aziende e comunità mentre in Italia la politica continua a escludere i cittadini, le imprese e le comunità dalle opportunità della nuova Economia Circolare, e rimane succube degli interessi delle lobby industriali che lucrano sui grandi impianti di smaltimento e la necessaria produzione di rifiuti.

Ma per fortuna c’è l’Europa, e presto l’Italia dovrà decidere se entrare nel mirino delle sanzioni europee o adeguarsi e abbracciare il modello virtuoso di chiusura del ciclo dei consumi senza rifiuti, proposto dall’Europa e già messo in pratica in Paesi più avanzati.

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