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    Ricordate Josepha? Il racconto di TPI a bordo di Open Arms a un anno dal salvataggio

    Il giorno del soccorso di Josepha Credit: AFP

    Un anno fa quel salvataggio in mare che fece tanto discutere

    Di Valerio Nicolosi
    Pubblicato il 17 Lug. 2019 alle 11:41 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:25

    Open Arms, reporter di TPI bordo: giorno 17

    Il caso di Josepha è uno spartiacque nel mondo del soccorso in mare, proprio come l’azione della capitana di Sea Watch Carola Rackete è uno di quegli avvenimenti per cui non serve specificare o dare dettagli: in questi casi basta dire “Josepha” e tutti sanno chi è e cosa è successo. Attorno a lei si sono create subito delle bugie, perché tali erano e non mi piace chiamarle con l’inglesismo “Fake News”.

    Open Arms, le bugie dietro al caso Josepha

    Bugie sul soccorso, bugie sullo smalto che aveva ai piedi e alle mani, bugie per screditare i fatti: i libici avevano lasciato in mare tre persone, due donne e un bambino. Quest’ultimo è morto di ipotermia, quindi vuol dire che era vivo quando è stato abbandonato. L’altra donna era morta mentre Josepha era ancora viva. Ha mosso una mano quando ha sentito arrivare qualcuno, ha mosso una mano nonostante avesse chiuso gli occhi ore prima pensando che fosse finita e che sarebbe morta lì, in mezzo al nulla.

    La lettera dopo il salvataggio

    Si sa che i marinai sono superstiziosi e Marc Reig, il comandante della Open Arms al momento del recupero di Josepha, racconta sempre che quello era il giorno della Madonna del Carmen, protettrice dei marinai.

    Josepha pregava proprio la Madonna, lo ha raccontato con estrema difficoltà a Giovanna Scaccaborozzi, dottoressa di bordo che ha avuto l’onere di certificare la morte delle altre due persone che erano con Josepha, ma anche di scrivere quello che la donna appena salvata raccontava. Poche parole e tante polemiche.

    Lo smalto ai piedi che sembrava dovesse dimostrare che fosse tutta una montatura e che invece nei giorni seguenti fu messo da Angeles, una volontaria che a bordo faceva la cuoca e che giustamente ha pensato di dare dignità ad una persona in stato di shock con un piccolo diversivo. Un anno dopo sono a bordo proprio della Open Arms.

    La capa missione è sempre Anabel Montes, il cuoco è ancora Lorenzo Leonetti e oltre a loro ci sono Esther, la soccorritrice che avvistò la mano che chiedeva aiuto, Oscar Càmps, ed è sceso da poco Riccardo Gatti, altro capo missione e comandante di Astral. Parlare con loro di Josepha significa aprirgli un pezzo di cuore con sentimenti contrastanti. È un sorriso spontaneo perché è una persona alla quale sono affezionati, a cui vogliono bene. È anche rabbia però, perché quello che è successo non può e non deve accadere.

    Open Arms, la voce di chi ha salvato Josepha

    Lasciare tre persone in mare, di cui due sicuramente vive, è un crimine e in questo caso i criminali sono coloro che il Governo italiano finanzia.

    La storia di Josepha la raccontai già lo scorso ottobre in questo articolo quindi posso solo dire che a me la foto di Josepha che ancora piena di paura guarda Marc Gasol, campione NBA che ha fatto il volontario in quella missione, e gli altri soccorritori della ONG spagnola ha cambiato almeno un po’ la vita.

    Nel momento in cui l’ho vista ho deciso di tornare a bordo della navi che fanno soccorso, ho deciso che volevo raccontare ancora quello che accade nel Mediterraneo Centrale e pochi giorni dopo ero al porto di Mallorca dove stava sbarcando Josepha, per partire il giorno dopo e continuare a fare soccorso in mare.

    Visto che un anno dopo sono ancora a bordo ho deciso di raccontare quel giorno con la voce di chi c’era, di chi l’ha vissuta, di chi ha fatto quel soccorso e un anno dopo è ancora qua.

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