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Massimo Galli a TPI: “La notte del paziente 1 ho sbagliato anche io”

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Intervista al direttore del Sacco di Milano: "Al via indagine epidemiologica in Lombardia, ma la Regione non ci supporta. Se non fossi un universitario con qualche titolo mi avrebbero già fatto fuori". I conflitti con Ascierto e la Gismondo, quella lettera di Martina Lovato dal carcere e il passato da sessantottino

Massimo Galli: “La notte del paziente 1 ho sbagliato anche io”

Intervistare Massimo Galli è un’impresa affascinante. I suoi incastri sono un’acrobazia temporale che ha del miracoloso: parla con il suo interlocutore e nel frattempo si sentono telefoni che squillano, persone che entrano nel suo ufficio annunciando novità o “Mi scusi, possiamo continuare tra un’ora che ho un impegno in ospedale?”. Alla fine, però, Galli si concede con generosità e piglio da “barricadero”, come amerà definirsi durante la chiacchierata, premettendo con ironia che una volta in un articolo ho scritto che porta cravatte a pallini, ma “quelle le porta il Cavaliere, sono indignato!”.
Quante interviste fa al giorno?
Oggi un disastro. Io solitamente sto nel mio studio bunker e macino lavoro di vario tipo, sia chiaro, ma oggi sono già a 7/8 interviste.

Riesce a fare altro?
In questi mesi ho pubblicato 8 lavori scientifici e i lavori scientifici che escono dal mio gruppo non vengono svolti senza che io me ne occupi, non è mia abitudine apporre la firma e basta.
Sta lavorando sull’indagine epidemiologica in Lombardia?
Sì, sono uscito dal mio campo diretto dando anche qualche spallata, ma ero e sono molto arrabbiato per quel che riguarda la mancata diagnostica. La gente è a casa che chiede, non sa, telefona anche direttamente a noi perché vuole aiuto, vuole sapere quali siano le sue condizioni e non capisce cosa fare. Magari ha avuto indicazioni della serie: stai a casa e aspetta, ve bene così. Poi questa gente uscirà per andare a lavorare e possiamo solo affidarci a Santa Mascherina.

Mascherina che non tutti mettono.
Non è mai stato fatto un esperimento analogo nel mondo. È la prima volta che si tenta di arginare un’epidemia dicendo: esci con la mascherina e osserva il distanziamento. Io le dico che non esiste un lavoro scientifico che provi l’efficacia certa di questa strada.
Siamo pionieri.
Stiamo mandando fuori di casa un’intera popolazione senza mai aver sperimentato se queste regole funzionano. I comportamenti individuali saranno dunque fondamentali, ma basta che qualcuno sia incosciente per far saltare la catena di protezione.

Torniamo all’indagine epidemiologica, il cui precedente illustre è quella di Vo’ con Crisanti.
In Veneto sono partiti subito e quasi quasi mi sento di dire “beati loro”. Sarebbe piaciuto moltissimo anche a me avere la possibilità di fare uno studio di questo genere. Loro arriveranno a pubblicare, ad avere informazioni molto prima di quanto riuscirò a fare io. Il kick off per l’indagine a Castiglione D’Adda parte lunedì prossimo. Devo raccogliere tutto il materiale che mi serve con le forze di cui posso disporre, non è semplice.

Cosa fate a Castiglione D’Adda?
Faremo una rilevazione sull’intera popolazione, su base volontaria, partendo col test rapido e selezionando quelli positivi. Poi, a meno che non abbiano una storia documentata di infezione, i positivi al test faranno un tampone.
Lo farete solo a Castiglione D’Adda?
No, lo faremo anche a Carpiano, un paese a sud di Milano. Poi a Vanzaghello, Suisio nella bergamasca e Borghetto Lodigiano. Mi scusi un attimo…dimmi Gabriele!
Che succede?
Ah ecco, che bello. Hanno appena approvato i 4 comuni. È ufficiale. A questo punto, se avremo i soldi per farlo, continueremo con queste ricerche anche in altri comuni. Dico “se” perché deve sapere che i tamponi mi tocca farli fuori dalla regione Lombardia.

La Regione non ve li supporta?
Assolutamente no.
È una ricerca autofinanziata?
Ci sono donazioni di privati che ci finanziano per fare ricerca.
Anche a Vo’, nella seconda fase della ricerca, c’è l’autofinanziamento.
Sì, ma l’atteggiamento nei confronti di chi conduce la ricerca lì direi che è abbastanza diverso. Lei avrà intuito che tra me e la Lega non c’è alcun tipo di relazione nella mia storia personale.

D’accordo, ma in questa fase forse bisognerebbe pensare a un bene superiore, che è la salute dei cittadini.
Io li trovo un po’ sciocchi, ad essere onesto. Lei si rende conto che il sindaco Beppe Sala deve andare a Grenoble, in Francia, per fare i test sui conducenti dell’Atm? Il problema è il funzionariato, ma non mi faccia dire altro, che qui faccio il barricadero.
Un po’ lo è.
Mettiamola così: se non fossi stato: a) un universitario b) uno con qualche titolo, mi avrebbero fatto fuori nella maniera più certa ed assoluta. Non sarei mai arrivato alla mia posizione, non me l’avrebbero mai permesso.
È per questo che lei è fuori da ogni task force?
Diciamo che l’infettivologo di riferimento della prima task force è un’ ottima persona ma molto periferica e poco ingombrante.

Con quale criterio avete selezionato i comuni in cui condurrete l’indagine epidemiologica?
Dislocazione in punti diversi rispetto a Milano e tutti più o meno con lo stesso numero di abitanti. Vedremo quanto si è diffuso il virus in zone con lo stesso campione di popolazione.
Cosa insegna Vo’?
La differenza tra circoscrivere un’epidemia e attendere che i malati arrivino negli ospedali a frotte.
Ma alla fine perché in Lombardia si son fatti così pochi tamponi lei l’ha capito?
Mi creda, ancora oggi faccio fatica. Suppongo che, presa una strada, ci sia stato una specie di rifiuto di accettare l’errore e di assumere un’altra posizione. La gente è a casa arrabbiata, qualcuno dovrebbe rendersene conto e, a meno che non ci sia un rifiuto a priori di occuparsi di questa cosa, il tempo per recuperare l’impasse c’è. Sembrano intestarditi in un palese errore.

Oppure meno tamponi vuol dire far finta che il contagio sia meno diffuso e si salva la faccia.
Questo implicherebbe una dietrologia troppo raffinata, troppo colta, abbia pazienza.
Si parla di vari ceppi del virus: uno diffuso al nord e uno al sud, più debole.
Non c’è alcuna evidenza che si sia diffuso a livello epidemico alcun virus diverso da quello della Germania. Il virus è arrivato da lì, alla fine di gennaio.
Però dicono che i malati siano meno gravi adesso.
Perché stiamo vedendo la coda dell’epidemia. E anche perché molti di quelli che si sono infettati in condizioni di grande fragilità sono già passati nei nostri reparti e sono anche spesso morti.

Chi sono i morti di oggi?
Nelle Rsa continua a esserci una strage. Poi ci sono quelli che dopo una lunga battaglia non ce l’hanno fatta.
Avete dati certi sui morti di questi giorni?
No, perché i dati non mi arrivano dalla Regione, ma da chi me li manda tra gli assessori per iniziativa personale. Non ricevo nulla ufficialmente.
A Report si gettava una luce sospetta sui tanti casi di polmonite registrati a dicembre e inizio gennaio in alcuni ospedali del Nord. Si è detto “i segnali c’erano tutti”.
Questa è una fesseria colossale. Lei ha visto cosa ha combinato questo virus quando è entrato negli ospedali? Ce ne siamo accorti e in tre settimane i casi erano decine di migliaia. Se fosse entrato a dicembre nei pronto soccorso o nei reparti, in pochi giorni saremmo stati invasi nelle strutture ospedaliere e fuori.

Al Sacco si sperimenta la plasmaterapia?
No. È stata una sperimentazione organizzata da alcuni medici che non ci hanno direttamente coinvolto. Il collega di Pavia è molto bravo, spero che funzioni ma finché non vedo i risultati definitivi non mi espongo.
Voi al Sacco a che punto siete con le terapie?
Sono mesi che andiamo alla “spera in Dio”, talvolta anche lasciando perdere i principi cardine di una medicina basata sulle evidenze. Abbiamo tentato di tutto e di più anche sulla base di razionali davvero flebili, tanto è vero che abbiamo provato a usare il Lopinavir ritonavir ma è acclarato che non fa nulla, poi l’idrossiclorochina ma i dati sono sempre più desolanti. L’uso dei farmaci come il famoso Tocilizumab dà buoni risultati, in determinati pazienti è utile a far superare la fase peggiore. Attenzione, però, perché agisce su un sistema immunitario spesso già malridotto e in alcuni di questi pazienti ha effetti collaterali imponenti, soprattutto un possibile danno da infezioni intercorrenti. Rischiano di non morire di Covid ma di altro. E questo è il motivo per cui, non so se lo ricorda, ma una sera mi sono lasciato un po’ andare in tv con un collega.

Parla di Ascierto?
Perché ero molto irritato con lui? Perché questa terapia non può essere spacciata come il toccasana che va bene per tutti e salva le persone. Se lo si dà in maniera indiscriminata provoca più guai che vantaggi. Ascierto aveva trattato la bellezza di due casi e già tirava conclusioni, altri medici attraverso contatti continui da vari ospedali in Lombardia e non solo, si consultavano tutte le sere condividendo le perplessità oltre che i possibili successi di questa terapia.

E quindi si è arrabbiato.
Di Ascierto mi aveva preoccupato il fatto che una questione che merita un approccio di grande delicatezza, sia diventata un’occasione di presentazione quasi autoreferenziale con troppe certezze sulla base di evidenze fornite da due casi.
E questo cosa ha provocato?
Che poi i parenti dei pazienti ci richiedevano questa terapia certi del successo.
Ne è stata fatta una questione Nord contro Sud.
L’Italia è questa. Non si può assumere una posizione di dissenso senza che si scambi per una guerra tra campanili. È un peccato perché di rado qualcuno del nord si lamenta di essere maltrattato da colleghi del sud. Ci sono dei motivi che hanno a che fare con una suscettibilità e sensibilità particolare, ma questo del nord contro sud è un elemento confondente ed è un peccato.

Quindi non c’è una terapia buona per tutti ad oggi?
No.
Come si esce da queste terapie?
La malattia ha tre fasi diverse: quella in cui invade, quella in cui risponde il sistema immunitario e se risponde bene è fregato il virus, se risponde male può essere fregata la persona. Poi la terza fase in cui avviene la distruzione del polmone e la compromissione di altri organi e degli endoteli, spesso una fase senza ritorno. Quelli che se la sono cavata e sono sopravvissuti alla fase peggiore, spesso hanno una compromissione a livello polmonare temo non reversibile. Rischiano insufficienze respiratorie che andranno avanti per anni. Stiamo mettendo in piedi ambulatori post Covid perché dovremo prolungare la cura anche dopo “la guarigione”.

A parte con Ascierto, lei non battibecca molto mediaticamente con i colleghi.
No, guardi, forse l’altra volta è stata quando in una radio mi chiesero cosa ne pensassi della storia legata a “è una semplice influenza”.
Parla della Gismondo?
Anche. Lì mi è scappato di dire che avrebbero tutti dovuto ritirarsi in un dignitoso riserbo.
E la Gismondo non le ha detto niente?
Mi sta facendo ogni genere di guerra in ospedale. Ma non da oggi.

Come mai non andate d’accordo?
È una donna con cui non va d’accordo quasi nessuno.
Ma perché?
Andiamo avanti. Sono il suo direttore di dipartimento, ufficialmente il suo superiore diretto in università, per fortuna ancora per pochi mesi perché il mio mandato scade.
La sua uscita quindi non l’ha stupita?
Mi stupisce sempre invece. Quando si è alla ricerca di una mediaticità a tutti i costi, alcune persone hanno fatto sparate che pensavano potessero caratterizzarle. E parlo anche di persone con notevole pedigree che stanno all’estero. Ilaria Capua, per dire, di sciocchezze ne ha dette tantissime.

Le hanno dette anche molti uomini.
Donne, uomini, non fa differenza. Qualche mio collega infettivologo che un virus non l’ha mai visto neanche col cannocchiale di sciocchezze ne ha dette più di una. Il partito dei riduttivisti che per motivi sconcertanti di “mediaticità” ha contribuito a dequalificare la categoria degli esperti, ha creato un problema.
È mediatico anche lei, però.
Io mi ritrovo nella buffa situazione di essere mediatico senza averne assolutamente voglia, tanto è vero che non sembrerebbe, ma le garantisco che continuo a declinare inviti.
Mi dica una sciocchezza detta da un collega uomo.
Le cito una sciocchezza detta da un collega che stimo molto, un amico del San Raffaele, il microbiologo professor Clementi: l’altra era se ne è uscito dicendo che il virus è diventato più buono.

È falso?
Non è vero e non è provato. I malati che stiamo vedendo non sono più quelli di prima perché abbiamo persone che sono arrivate in ospedale ai primi sintomi, meno gravi. Gli anziani, poi, a parte quelli delle Rsa, a un certo punto si sono barricati in casa e abbiamo meno ricoverati tra coloro che sono più a rischio per età e patologie pregresse. Non è il virus più buono, sono cambiate le nostre capacità di cura perché non c’è più l’affollamento di prima. Fare un’affermazione del genere è pericoloso e a meno che lui nelle sequenze del virus abbia trovato qualcosa che non ci ha detto, queste sequenze non dimostrano una modificazione del virus tali da poterci far pensare a un indebolimento.

Quindi non possiamo sperare che il virus perda forza?
Certo, questi virus tendono a diventare meno cattivi, ma in tempi non così brevi di regola. Affermare che questo stia accadendo, però, può incoraggiare i cittadini ad atteggiamenti meno prudenti, è rischioso.
Non avete detto troppo pochi “non lo so”, voi esperti?
Sono d’accordo, ma se fa un elenco delle mie uscite i miei “non lo so” sono stati parecchi. Ma guardi, una cosa mi è rimasta sullo stomaco.

Cosa?
La sera del 20 febbraio, quella in cui poi venne fuori il caso del paziente 1 di Codogno, io stavo di fronte a 100 medici di base per una conferenza. Dissi: “Abbiamo avuto i due turisti cinesi che non hanno lasciato strascichi, sono stati chiusi i voli diretti dalla Cina prima che in altri paesi, forse ce la siamo cavata. L’unica possibilità è che ci sia arrivato il virus triangolando di sponda senza che ce ne siamo accorti, ma mi sembra una visione troppo apocalittica”. Mentre dicevo quelle cose un collega di fronte a me riceveva una telefonata si scusava “Mi spiace devo schizzare via per un’emergenza”. Era per il caso 1 di Codogno.

Quindi il tutto ha colto di sorpresa anche lei?
L’esatta situazione che avevo appena definito improbabile si era verificata.
Se l’è perdonato?
Mi è rimasta sullo stomaco. Mi sono più volte chiesto se avessi potuto avuto avere un coraggio diverso per dire che bisognava prepararsi. D’alto canto la Sars, l’unico modello con delle analogie, in Italia aveva avuto 4 casi. Tutti guariti, nonostante i contagiati fossero arrivati in modo rocambolesco in ospedale.

Però l’ultima grande epidemia è di 100 anni fa, non mille.
Sì, ma ragioniamo: lei con che faccia sarebbe andata dal ministro o dal presidente o dall’assessore dicendo che bisognava fare l’ira di Dio a fronte dell’esperienza pregressa della Sars con 4 contagiati? E in tutto il mondo con meno di 2.000 casi fuori dalla Cina? Mi avrebbero dato del matto. È stato il peggiore degli scenari possibili. E le dico un’altra cosa carina, forse.
Prego.
Un altro dei personaggi che ha minimizzato di più è stato Vittorio Sgarbi, anche perché questo 2020 era il cinquecentesimo anniversario dalla morte di Raffaello ed è finito male. Se avessi modo di incrociarlo gli parlerei di un altro grande pittore che è Tiziano, morto nel 1576 indovini di cosa? Di peste, a Venezia. Credo che il grande pittore morendo abbia mandato a ramengo con grande vigore quei suoi governanti che avrebbero potuto limitare la diffusione e invece hanno preso la posizione negazionista. La paura di perdere introiti ha da sempre favorito le epidemie. “Peste e società a Venezia nel 1576” è un libro molto interessante sul tema.

È un appassionato di storia delle epidemie.
Ho fatto la prolusione sulla peste nel congresso nazionale dei parassitologi poco tempo fa. L’avrei fatta anche per gli infettivologi se non mi fosse venuto un coccolone.
Cioè?
Mi è venuta un’embolia polmonare grave in novembre.
Lei lavora troppo.
Lavoro troppo e poi ho trascurato un incidente banale a una gamba di tre anni fa. Mi è venuta una trombosi venosa profonda.

Quindi avrà paura di prendersi il Covid.
Io sono il classico soggetto perfetto per il Covid: quasi 69 anni, un’asma e problemi di salute recenti.
Fa il tampone?
Lavoro come prima, i miei aiuti mi buttano fuori dalle stanze, ho fatto un tampone (negativo) e i test rapidi. Uno come me o si chiudeva in casa o continuava a lavorare. Comunque quando è scoppiata l’epidemia mi ero appena rimesso a lavorare dopo la malattia e dopo la pausa che mi avevano costretto a prendermi. Dopo un’ora di mascherina mi viene il broncospasmo, ma altri problemi non ne ho.

Che effetto le ha fatto assistere a tutto questo?
Sono anni che ci si prepara a queste eventualità. L’Oms parla da tempo della famosa “malattia x” che potrebbe mettere in ginocchio il mondo. Ci siamo andati vicini, ma il Coronavirus è letale soprattutto per una componente della società che non rappresenta il clou della produttività e riproduttività, poteva andarci peggio.
Il Covid ha messo in discussione qualcosa di ciò che un esperto di lungo corso come lei era convinto di sapere?
Ricevo lezioni ogni giorno dal 21 febbraio 2020. Anche su tutte le carenze che abbiamo nel nostro sistema sanitario. Spero che questa prova sia una crisi nell’accezione cinese dei caratteri della parola: pericolo e opportunità.

Che studente è stato Massimo Galli?
Ero uno dei responsabili- per quanto si possa essere responsabili a 20 anni- del Movimento studentesco di medicina, alla Statale di Milano. Nasco sessantottino e non lo rinnego.
Perché dovrebbe?
È ancora il mio orientamento, il “come vedo le cose”.
Che voti prendeva?
Mi sono laureato con lode con 3 o 4 voti sotto il 30.
Poi?
Per 13 anni ho fatto il medico ospedaliero perché questo c’era nel segmento delle malattie infettive, sono stato uno stanziale. Nell’anno in cui potevo andare per un po’ all’estero è scoppiato l’Aids. La mia America è rimasta qua.

E infatti ha lavorato molto sull’Aids. Quando arrivò, c’era lo stesso sconcerto di oggi di fronte a una malattia nuova?
Era molto diverso. C’era la posizione dominante nell’opinione pubblica della “peste gay”. In Italia poi abbiamo avuto il grosso dell’epidemia tra i tossicodipendenti e sono elementi che hanno fortemente caratterizzato il virus nella percezione pubblica qui: tra omofobia e giudizi nei confronti dei tossicodipendenti lo stigma si è venduto a chili.
Suoi ex studenti dicono che come esaminatore lei è terribile.
Io sono buono e ho avuto un bel rapporto con gli studenti. Gli esami con me hanno sempre avuto un tasso di mortalità bassissimo. È che io non do meno di 24, nel caso la preparazione sia sotto quello standard, boccio.

Perché?
Sto preparando gente che deve andare a fare un mestiere legato alla vita della gente.
Sua moglie che dice del suo successo mediatico?
È tra il seccato e il divertito e continua a dirmi di dare un taglio alle mie comparsate tv.
Ma mi ha detto che ne rifiuta un sacco.
Mi trattengo perché “tengo famiglia” e per famiglia intendo i miei collaboratori e allievi. Visto il clima politico, non voglio che vengano spazzati via o trattati a pesci in faccia non appena l’ombrello rappresentato dalla mia presenza verrà meno. So come vanno le cose, io sono un anziano signore a un anno dalla pensione, con la carriera che ha avuto e adesso anche con una visibilità mediatica ben al di sopra delle sue intenzioni. Spero di essere dimenticato, ma non credo, per cui il mio primo dovere è proteggere i collaboratori e non far loro subire le conseguenze delle mie esternazioni.

L’abbiamo interrogata tanto in questi mesi sulle questioni scientifiche, ma c’è qualcosa che l’ha commossa in questi mesi?
Un collega coetaneo che è morto per il Covid. Mi telefonava chiedendomi “e adesso cosa faccio, secondo te?”. È morto nel “suo ospedale”, mi ha colpito tanto. Mi ha colpito la morte di un collaboratore deceduto da noi. Mi ha colpito vedere morti sempre, tutti i giorni, nel nostro reparto, mi ha riportato ai tempi dell’Aids. Non ci sono state le file dei camion, ma anche qui a Milano è stato terribile. E infine un’ultima cosa.
Cioè?
La quantità spaventosa di lettere che ho ricevuto di gente che mi ringrazia. Mail lusinghiere più di quanto potessi sperare. Tanto affetto io non me l’aspettavo.

Me ne racconta una?
Non ne ho mai parlato, ma mi è arrivata una lettera dal carcere di San Vittore. Era una giovane donna implicata in un terribile fatto di cronaca (Martina Lovato ndr), mi dice che lei e le sue compagne di reclusione hanno raccolto 300 euro e li donano al Sacco.
Trovo che sia bello.
Ho deciso di considerarlo bello, sì, senza pensare a dietrologie.

Qualcosa di buffo?
Beh, mi arrivano lettere anche da persone che si qualificano come poeti, ma forse la faccenda più incredibile sono le telefonate che ricevo.
La chiamano in ufficio?
Sì, ogni tanto rispondo convinto che sia una chiamata importante e mi ritrovo ad ascoltare persone che mi suggeriscono come sconfiggere il virus. Uno mi ha detto: “Senta, visto che il virus a 63 gradi muore, se mettessimo tutti nella sauna?”. In pratica dovrei decidere per quanto tempo cuocere i pazienti. Un signore era arrabbiato perché lui utilizza l’essenza di timo sotto il naso e non si è mai ammalato, nessuno l’ha considerata una terapia efficace.

E lei attacchi il telefono.
Mi creda, è difficile chiudere senza essere scortesi. Cosa che per giunta di solito mi riesce abbastanza bene.
Le riesce bene anche in tv quando le fanno una domanda che non le piace.
Mi riesce perché non ho desiderio che mi richiamino, ma tanto poi mi richiamano lo stesso. Anzi, forse mi richiamano proprio per questo.

Leggi anche: 1. Vespignani a TPI: “I virologi italiani non hanno capito nulla, per sconfiggere il virus servono le 3T” / 2. Il virologo Tarro a TPI: “Il lockdown non ha senso, il caldo e il plasma dei guariti possono fermare il Covid” / 3. Crisanti a TPI: “Le donne si negativizzano prima. Il Veneto si è salvato perché abbiamo blindato gli ospedali” /

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