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    L’Italia ha bisogno di una nuova educazione all’ecologia lessicale per ripulire il linguaggio

    Servirebbe un modello politico nuovo che abbia la forza di sfuggire all'inciviltà delle parole e dei modi senza avere paura di essere giudicato debole o poco incisivo

    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 28 Lug. 2019 alle 19:14

    Anche questa settimana ha avuto le parole dell’odio. I migranti, ovviamente, l’assassino del carabiniere a Roma, Macron e i francesi, le zecche comuniste, i rom e i generalmente deboli hanno avuto la loro dose di ferocia consacrata dallo sputo del ministro dell’Interno e dalla sua affamatissima claque sempre pronta a seguirlo se si tratta di dover menare calci a qualcuno.

    È inevitabile, poi, che a parole di quel tipo seguano gli atteggiamenti di risulta: l’assassino bendato è il minimo che ci si potrebbe aspettare da un Paese che è sceso così in basso, negli inferi della civiltà. Dall’altra parte, troppo spesso, la guerra viene fronteggiata da parole parimenti guerresche, da rabbia simile anche se inversa, da opposizione colata senza alternativa e senza un altro paradigma.

    Servirebbe una nuova ecologia lessicale e comportamentale, occorrerebbe una classe dirigente (e un’opposizione) che abbia lo spessore (e il coraggio) di inventarsi un vocabolario nuovo per invertire la rotta di questo continuo schiacciamento verso il basso, per ricostruire un’etica del linguaggio che sovverta il modello imperante senza lasciarsene inquinare, lontano dagli schizzi di una rabbia che si condensa sempre in rivalsa violenta.

    Servirebbe un modello politico nuovo che abbia la forza (perché sì, ci vuole forza, a scegliere il ragionamento e la misura in tempi di strilli e di slogan) di sfuggire all’inciviltà delle parole e dei modi senza avere paura di essere giudicato debole o poco incisivo, cosciente di essere portatore di un’altra visione del mondo. Forse sarebbe anche il caso che il più velocemente possibile si capisca che stigmatizzare un comportamento riproducendolo è il modo migliore per inquinare il dibattito e favorire l’appiattimento generale.

    Pensateci: in un’epoca in cui pare addirittura rivoluzionario essere gentili la strada migliore per essere alternativi alla maggioranza di governo consiste proprio nell’avere la capacità di contenere i modi e le parole, certi di avere ragionamenti, soluzioni e competenze che non hanno bisogno di iperboli per essere riconosciute.

    Quelli, certo, attaccheranno confondendo la misura con la debolezza ma se si riuscisse a non rispondere con frastuono al frastuono si invoglierebbero anche le persone a soppesare i pensieri oltre che farsi trasportare dagli slogan. L’ecologia del linguaggio è una rivoluzione culturale di cui questo Paese ha urgente bisogno, ogni giorno di più, per uscire dalle secche di una politica, un giornalismo e un dibattito pubblico che annegano nel rumore di fondo. E sarebbe più facile, senza la polvere, ricostruire un’attenzione che duri qualcosa di più della lunghezza di un tweet.

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