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Il festival del Bla Bla Bla: sul green carpet di Sanremo sfila il Greenwashing di Eni

Immagine di copertina

Il cane a sei zampe è il main sponsor di Sanremo 2022, dove promuove le rinnovabili. Ma il suo piano ambientale ha obiettivi troppo ambiziosi e gli attivisti gridano al Greenwashing. L’azienda smentisce le accuse a TPI e rilancia: “Non c’è transizione energetica senza fonti fossili”

Il palco dell’Ariston quest’anno si è tinto di verde. E non è quello acceso dei bouquet da sempre simbolo della cittadina ligure ma è quello posticcio con cui, nella più classica delle operazioni di make up, Eni, main sponsor dell’edizione 2022 del Festival di Sanremo, pare stia attuando un’operazione bollata da più parti come Greenwashing, un’accusa categoricamente respinta dall’azienda e definita «immotivata» in una replica a TPI. Intanto hanno ridipinto persino il classico red carpet: la consueta passerella dei protagonisti della kermesse, quest’anno nuovamente animata dal pubblico, è avvenuta su un tappeto erboso che pareva evocare scenari futuri all’insegna della natura incontaminata e preservata, ça va sans dire, grazie agli sbandierati impegni assunti dalla multinazionale in tema di transizione energetica. A proposito del cambio di colore, l’assessore al Turismo di Sanremo, Giuseppe Faraldi, ha spiegato: «Il verde, rispetto al rosso degli anni passati, si riallaccia alla politica ambientale dell’unico sponsor del Festival di quest’anno, Eni, che promuove le energie rinnovabili». Insomma la multinazionale utilizza la più famosa manifestazione nazional-popolare italiana come vetrina mediatica per presentare la nuova controllata Plenitude. Obiettivo: rilanciare la propria immagine agli occhi di un pubblico sempre più sensibile, specie la Generazione Z, alla sostenibilità ambientale, rimarcando l’impegno contro i cambiamenti climatici e, come preannuncia il sito della società, per una «transizione energetica socialmente equa». Ma siamo davvero di fronte a un cambiamento radicale della sua politica ambientale? Lo scorso anno Eni ha presentato un piano di investimenti per il 2021-2024 e un aggiornamento del Piano di Decarbonizzazione, che contiene obiettivi molto ambiziosi: la riduzione delle emissioni di gas climalteranti negli Scope 1, 2 e 3 (vale a dire rispettivamente delle emissioni dirette, delle emissioni legate all’energia acquistata per le proprie attività e infine di quelle connesse all’attività dell’azienda che non rientrano nello Scope 1 e nello Scope 2) dell’80 per cento in termini assoluti e del 55 per cento in termini di net carbon intensity entro il 2050.

S&D

Risposte evasive

Tuttavia è ancora poco chiaro come si intenda rispettare questi impegni. Lo scorso maggio, in occasione dell’assemblea degli azionisti, Eni ha fornito risposte giudicate insufficienti alle domande poste da Fondazione Finanza Etica del Gruppo Banca Etica, da anni impegnata in attività di azionariato critico nei confronti di imprese coinvolte in violazioni dei diritti umani o in controversie ambientali. La Fondazione ha, infatti, rivolto alla multinazionale più di 90 domande incentrate sui progetti di decarbonizzazione e di riduzione delle emissioni di gas serra, coordinando anche quelle giunte per conto di Greenpeace Italia, ReCommon, Legambiente, della rivista studentesca Scomodo e del whistleblower brasiliano, Douglas Linares Flinto. I riscontri? Evasivi, appunto, a detta degli azionisti critici. Mentre i piani dell’azienda sembrano contenere dei punti evidentemente in controtendenza rispetto a un reale impegno sul piano ambientale: l’analisi realizzata da Merian Research proprio per Fondazione Finanza Etica, Greenpeace Italia e ReCommon rileva come nel piano 2021-2024 buona parte degli investimenti di Eni, il 65 per cento, sarà ancora destinato ai combustibili fossili. Solo il 20 per cento andrà a finanziare attività “green”, peraltro non meglio definite. Tra queste sono incluse anche il comparto retail gas & power (vendita al dettaglio di gas, luce e soluzioni energetiche) e impianti potenzialmente problematici dal punto di vista ambientale e climatico come le bioraffinerie. Attività, parrebbe, tutt’altro che green. Previsto anche un aumento della produzione di petrolio e gas fino al 2025, con una media del 4 per cento all’anno, superiore al 3,5 per cento medio annuo contemplato nel piano precedente. Il capitale d’investimento (capex) dedicato all’estrazione di idrocarburi (upstream) è pari, in media, a 4,5 miliardi di euro all’anno nel periodo 2021-2024, 18 miliardi in totale. Quello per investimenti “green” equivale invece a 4 miliardi di euro complessivi per tutti i quattro anni del piano, dunque circa un miliardo l’anno.

E i tanto decantati progetti di conservazione forestale o riforestazione? Anche volendo tralasciare le questioni etiche derivanti dal dare in gestione le foreste alle grandi aziende, andando in molti casi a compromettere gli equilibri con le comunità locali e sottraendo a queste ultime il diritto alla terra, il ricorso al REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation & Forest Degradation in Developing Countries) consente al cane a sei zampe di continuare a generare emissioni da combustibili fossili, in ragione della promessa da parte della società di compensare le esalazioni attraverso progetti forestali. Come sottolinea Greenpeace, «grazie a questa tipologia di progetti, Eni – ovvero l’azienda italiana con il più alto livello di emissioni di gas serra – è in grado di scrivere nel suo piano di decarbonizzazione che il gas fossile costituirà una parte centrale del proprio business persino oltre il 2050, affermando al contempo che, per quell’anno, la società avrà raggiunto l’obiettivo di emissioni nette zero».

Ma le criticità non finiscono qui. La facciata green di Eni pare essere deturpata da altre questioni, come quella riguardante la condanna per traffico illecito di rifiuti nel centro Oli di Viggiano, in Basilicata. Nel 2016 l’inchiesta portò al sequestro, per quasi quattro mesi, dell’impianto. Inoltre furono arrestati sei tra ex manager e dipendenti Eni, condannati in primo grado nel 2021 dal tribunale di Potenza. Una nuova inchiesta della procura lucana ha poi prodotto l’accusa di disastro ambientale, a seguito dello sversamento di greggio (involontario) nel 2017 nello stabilimento della Val d’Agri, per una quantità di circa 400 tonnellate, come ammesso dalla stessa compagnia petrolifera. Il procedimento è ancora in corso ma, secondo l’accusa, il petrolio fuoriuscito dalle vasche di stoccaggio avrebbe contaminato suolo e sottosuolo, compreso il reticolo idrografico. Così, nei giorni scorsi, in concomitanza con l’inizio del Festival, organizzazioni e movimenti ambientalisti non hanno tardato a farsi sentire: tra i primi Greenpeace che ritiene «inaccettabile come Eni sfrutti la vetrina di Sanremo, e dei tanti altri eventi che sponsorizza, per fare greenwashing e promuovere un’immagine che non corrisponde affatto alla realtà». In una nota inviata a TPI, il cane a sei zampe respinge però categoricamente ogni accusa di greenwashing nei confronti della partecipazione della controllata Plenitude a Sanremo e della propria strategia di decarbonizzazione. «Accusare di greenwashing una società che per settant’anni ha fornito energia tradizionale perché “ancora oggi” ne produce, significa non aver compreso la complessità della transizione energetica che stiamo percorrendo: il mondo è ancora basato sui modelli energetici tradizionali, vi sono aree del pianeta che non hanno neanche accesso alle fonti tradizionali e la transizione, per compiersi, deve essere necessariamente alimentata da tali fonti», si legge nella nota. «Se spegnessimo domani l’interruttore delle fonti fossili, piaccia o meno, il mondo vivrebbe profonde crisi economiche e sociali. Per questo, la nostra strategia ne gestisce un declino progressivo, accompagnato nel tempo da una sempre maggiore crescita delle energie pulite».

Il Greenwarning ambientalista

Sulla stessa lunghezza d’onda di Greenpeace invece, Alessandro Runci di ReCommon che, proprio a proposito della scelta della rete ammiraglia della televisione italiana, commenta a TPI: «Fa riflettere che i vertici Rai decidano di concedere la loro vetrina più prestigiosa a Eni, la quale recentemente si è resa protagonista di un gravissimo attacco alla libertà di stampa, mettendo in discussione la legittimità di ReCommon come interlocutore del servizio pubblico». Runci fa riferimento a una vicenda accaduta lo scorso dicembre quando il cane a sei zampe, attraverso il proprio ufficio legale, aveva inviato una missiva alla trasmissione Report e al suo conduttore Sigfrido Ranucci, definendo l’associazione ambientalista e il suo Program Director, Antonio Tricarico, interlocutori “non degni” del servizio pubblico Rai. La puntata al centro della contesa era incentrata sul caso di presunta corruzione internazionale riguardante l’acquisizione del blocco petrolifero offshore OPL245 in Nigeria. In prima linea anche i componenti di Fridays for Future Italia che sui social hanno invitato gli utenti a manifestare il proprio dissenso ai vertici Rai attraverso l’hashtag #SanrEni. Il movimento ambientalista spiega a TPI che «la presenza di Eni al Festival della Musica Italiana è solo l’ultima di una serie di iniziative mediatiche che la grande azienda del fossile ha messo in atto per presentarsi come sostenibile o “verde” agli spettatori e ai lettori italiani» e ritiene inammissibile che «la Rai permetta a Eni di fare pubblicità ingannevole in prima serata», invitando i cantanti in gara a «ricordare ai telespettatori che il greenwashing non fa altro che rallentare l’azione per il clima cantando “Parole, parole, parole”. Altrimenti Sanremo 2022 sarà il festival del blablabla».

Di seguito pubblichiamo la replica integrale inviata da Eni a TPI:

Eni respinge categoricamente ogni accusa di greenwashing nei confronti della partecipazione di Plenitude al Festival di Sanremo, della propria strategia di decarbonizzazione e di quella di Plenitude stessa. Vogliamo cogliere qui l’opportunità di spiegare ai vostri lettori la nostra strategia di decarbonizzazione:

1. I Piani strategici presentati da Eni nel 2020 e 2021 hanno segnato in modo concreto e dettagliato il percorso della società verso il completo abbattimento delle emissioni nette complessive dei propri processi industriali e prodotti entro il 2050.

2. A differenza delle strategie di decarbonizzazione di molti competitor internazionali, quella di Eni prevede obiettivi di abbattimento delle emissioni che riguardano gli ambiti Scope 1, Scope 2 e Scope 3 (quest’ultimo implica anche le emissioni generate da chi consuma i prodotti che l’azienda vende). Gli obiettivi, in particolare, sono i seguenti: a livello di Scope 1 e 2, Eni raggiungerà le zero emissioni nette delle proprie attività upstream (esplorazione e produzione di gas e petrolio) nel 2030 e integralmente, con tutto il resto delle attività, nel 2040. La società abbatterà poi completamente anche le emissioni Scope 3 entro il 2050.

3. Nell’ambito di un approccio pragmatico alla transizione energetica, la strategia di decarbonizzazione di Eni al 2050 è basata su tutti i percorsi tecnologici resi possibili dalla propria ricerca, già implementati a livello industriale o in corso di sviluppo, per poter incidere tramite molteplici soluzioni sulla decarbonizzazione dei diversi ambiti delle proprie attività e dei sistemi industriali esistenti: generazione elettrica da rinnovabili, solare ed eolico onshore e offshore; produzione di bio metano da processi di upgrading del biogas; produzione di biocarburanti per il trasporto leggero e biojet fuel per quello aereo, punti di ricarica per la mobilità elettrica, chimica da rinnovabili, progetti di riciclo chimico e meccanico delle plastiche, cattura e stoccaggio della CO2, produzione di idrogeno di origine verde e blu per alimentare le bioraffinerie Eni e altre attività industriali altamente energivore. Queste sono alcune delle principali linee di sviluppo, già operative o implementabili nel breve e medio termine. Alle quali si aggiunge l’importantissimo progetto di ricerca sulla fusione a confinamento magnetico condotto attraverso la partecipazione in CFS, una società spin-out del MIT di Boston, di cui Eni è il maggiore azionista, che sta raggiungendo traguardi molto promettenti: a questo proposito, sarà possibile costruire e mettere in esercizio SPARC, il primo impianto al mondo per la fusione che dimostrerà la produzione netta di energia (completamento e verifica di funzionamento entro il 2025), e accelerare e derischiare il programma lavori per ARC, la prima centrale commerciale capace di immettere energia da fusione nella rete elettrica (avvio nei primi anni della prossima decade).

 4. La strategia di decarbonizzazione di Eni implica, parallelamente alla crescita e allo sviluppo delle nuove fonti, un progressivo declino della produzione di idrocarburi, con il gas che prevarrà sempre più sul petrolio, che verrà decarbonizzato attraverso la cattura e lo stoccaggio della CO2 e che costituirà un importante sostegno alle fonti intermittenti nell’ambito della transizione energetica. Le emissioni residue che la tecnologia esistente non consentirà di abbattere saranno controbilanciate da progetti di conservazione delle foreste nell’ambio dei progetti REDD+ delle Nazioni Unite.

5. Questa strategia, fortemente improntata all’innovazione tecnologica,  è il risultato di un percorso avviato nel 2014, quando Eni ha deciso di schierarsi nella lotta al climate change impostando il proprio cammino di transizione verso la neutralità carbonica. Da quel periodo in poi, l’azienda ha investito circa 5 miliardi di euro in ricerca e sviluppo e implementazione di tecnologie per la decarbonizzazione e costruendo le basi per innovazioni strategiche nel prossimo futuro.

6. Veniamo a Plenitude. A novembre dello scorso anno, Eni ha annunciato l’IPO della propria società che integra produzione da rinnovabili, retail e mobilità elettrica (società che oggi si chiama Eni gas e luce e che prossimamente diventerà Plenitude, e della quale Eni manterrà la quota maggioritaria): un’operazione che rappresenta un caposaldo della strategia di decarbonizzazione e un passaggio fondamentale della trasformazione in atto della società. Plenitude ha un portafoglio di oltre 10 milioni di clienti in Europa e detiene impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile in esercizio pari a 1,2 GW ed è la seconda più grande piattaforma di punti di ricarica per i veicoli elettrici in Italia. Nell’ambito delle iniziative di sostenibilità la società si è impegnata a raggiungere il target di emissioni nette pari a zero entro il 2040, fornendo il 100% di energia decarbonizzata a tutti i clienti. In particolare la strategia prevede: 1) nell’energia elettrica, vendite alla clientela retail  (B2C) completamente decarbonizzate già dal 2022; 2) entro il 2030, le vendite di energia decarbonizzata a tutta la clientela (B2B e B2C); 3) dal 2040 la produzione a di energia elettrica da rinnovabili sia sufficiente a coprire la domanda di tutti i clienti. 4) Nel gas, i clienti avranno a disposizione contratti di fornitura con emissioni Scope 3 azzerate tramite compensazione già dal 2022, con l’obiettivo di fornire il 100% di gas decarbonizzato a tutti i clienti entro il 2040; 5) In termini di capacità di energia rinnovabile, l’obiettivo è di raggiungere oltre 6 GW di capacità installata entro il 2025, e oltre 15 GW di capacità entro il 2030. La società detiene oggi oltre 10 GW di progetti identificati, di cui oltre 5GW relativi a progetti in esercizio, in costruzione o in fase avanzata di sviluppo, elemento che dà evidenza della concretezza dei citati obiettivi; 6) a livello di mobilità elettrica, la società è attualmente il secondo maggiore operatore in Italia con circa 6.500 punti di ricarica e la rete sarà ampliata con un piano di crescita rapida sia in Italia che in Europa, con oltre 27.000 punti di ricarica previsti entro il 2025 e oltre 31.000 punti di ricarica entro il 2030.

7. Lo scorso novembre, TPI (Transition Pathway Initiative), iniziativa supportata dai principali investitori internazionali, ha pubblicato i risultati del periodico assessment che valuta l’allineamento dei target e delle strategie climatiche adottate dalle società del settore energetico, con gli obiettivi climatici internazionali. Per la prima volta nel 2021, TPI ha impiegato tra i benchmark di riferimento anche lo scenario IEA-NZE, che traguarda l’obiettivo 1,5°C a fine secolo, in linea con l’Accordo di Parigi e con quanto ribadito dalla COP26. Eni ha ottenuto un posizionamento di leadership non solo nell’O&G ma anche nell’ambito dell’intero settore energetico: tra le 140 società analizzate solo 14 nel lungo termine sono risultate allineate all’obiettivo 1,5°C, tra cui Eni. L’elenco delle aziende più virtuose include solamente 3 compagnie Oil&Gas e 11 Utilities. Inoltre TPI ha valutato anche la “Management Quality” delle Aziende, suddividendo le compagnie in 5 tier in base al loro allineamento rispetto a 19 indicatori qualitativi, che coprono tutti i principali aspetti della disclosure climatica connessa alle raccomandazioni della TCFD (Task Force on Climate-related Financial Disclosure). Anche in questo caso, Eni è stata classificata nella fascia massima, con una valutazione pari a 4*, corrispondete al pieno soddisfacimento di tutti gli indicatori.

Alla luce di tutto questo (e potete trovare ulteriori approfondimenti sul nostro sito), crediamo sia ragionevole aspettarsi che eventuali accuse di greenwashing debbano essere motivate in modo dettagliato, supportate da numeri e da fonti autorevoli. Accusare di greenwashing una società che per settant’anni ha fornito energia tradizionale perché “ancora oggi” ne produce, significa non aver compreso la complessità della transizione energetica che stiamo percorrendo: il mondo è ancora basato sui modelli energetici tradizionali, vi sono aree del pianeta che non hanno neanche accesso alle fonti tradizionali e la transizione, per compiersi, deve essere necessariamente alimentata da tali fonti. Se spegnessimo domani l’interruttore delle fonti fossili, piaccia o meno, il mondo vivrebbe profonde crisi economiche e sociali. Per questo, la nostra strategia ne gestisce un declino progressivo, accompagnato nel tempo da una sempre maggiore crescita delle energie pulite.
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