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Aule fatiscenti, infiltrazioni d’acqua, cavi elettrici scoperti: benvenuti negli uffici della giustizia italiana che cadono a pezzi

Immagine di copertina

Aule fatiscenti, infiltrazioni d’acqua, cavi elettrici scoperti, cumuli di immondizia, calcinacci, faldoni di fascicoli sepolti nella muffa. Dal Piemonte alla Sicilia l’edilizia giudiziaria è un colabrodo. Con seri rischi per l’incolumità di magistrati, operatori e cittadini. Come denuncia un Report dall’Anm

C’è uno squarcio nel muro, ma non è un quadro di Lucio Fontana. Di là quel che rimane di una seduta, un pezzo di soffitto crollato, fili a vista. Altrove scantinati a prova di stomaci duri, bagni da perderci il sonno, fascicoli preda dei roditori: benvenuti negli uffici della giustizia italiana che cadono letteralmente a pezzi.

S&D

È l’istantanea drammatica scattata dall’Associazione nazionale magistrati (Anm), che ha presentato un dossier fotografico da brividi sulle «precarie condizioni» in cui versano i luoghi dove si amministra la legge ma con sprezzo del pericolo. Sì, perché gli uffici giudiziari rappresentano più che una fonte di disagio per chi deve frequentarli o lavorarci, un vero e proprio rischio d’incolumità. «Si tratta di una condizione tragica e diffusa un po’ in tutta l’Italia senza distinzioni tra nord e sud» racconta a TPI il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia sfogliando l’elenco delle criticità, sconfinato: manca praticamente tutto, mentre abbondano muffa e degrado. Non sorprende dunque il crollo del soffitto dell’ufficio del gip di Catania, che è solo l’ultimo clamoroso episodio in ordine di tempo. «Si tratta dell’ennesima dimostrazione dell’incuria in cui versano attualmente molti dei palazzi di giustizia. Una tragedia sfiorata a poche settimane dal crollo di una scaffalatura nell’Aula Magna della Corte d’Appello di Bari e di parte del rivestimento esterno del Palazzo minorile di Venezia».

Insomma secondo Santalucia il neo Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, oltre a velocizzare i processi, sua intenzione già dichiarata, dovrà fare presto anche sull’edilizia giudiziaria che necessita di spazi nuovi, ma anche di dosi robuste di ramazza e di cazzuola per fare ripristinare le condizioni anche di sicurezza che dovrebbero essere assicurate in ogni luogo di lavoro.

Il dossier

Ma è una sfida epocale. Numeri alla mano dal report dell’Anm emerge che gli interventi di manutenzione effettuati in epoca recente hanno interessato sulla carta il 62,3 per cento dei palazzi di giustizia italiani ma nel 45,85 per cento dei casi si è trattato di interventi solo parzialissimi.

Inoltre, se elevato appare lo standard di sicurezza degli uffici giudiziari con riferimento ai controlli in ingresso (il 99,56 per cento dei varchi di accesso sono vigilati, quasi sempre anche mediante apparecchiature elettroniche di controllo), decisamente più basso è il livello di sicurezza interna dei tribunali, che nel 50,59 per cento dei casi sono privi di personale addetto all’ordine pubblico che vigila nei corridoi e presso le aule di udienza.

«Allarmante» è anche il dato sulla formazione in materia di sicurezza sul lavoro: l’80,44 per cento dei magistrati non ha mai partecipato ad un incontro di formazione e il 72,96 per cento di loro, negli ultimi 12 mesi, non ha ricevuto istruzioni circa la gestione di eventi o situazioni di emergenza, né ha svolto le esercitazioni del caso: il 29,63 per cento di loro non sa nemmeno dove si trovino le uscite d’emergenza.

È un pianto anche il dato rilevato dal monitoraggio sulle postazioni di lavoro dei magistrati: il 20,73 per cento delle toghe non può contare su una stanza ad uso esclusivo, mentre il 57,1 per cento non dispone di una seduta ergonomica e regolabile. Il 52,27 per cento non è mai stato sottoposto a visita oculistica periodica, pur utilizzando per più di 40 ore settimanali attrezzature munite di videoterminali. E le dotazioni? Il 67,70 per cento dei magistrati utilizza strumenti di lavoro di sua proprietà, mentre il 50,68 per cento, in alcuni casi, ha dovuto provvedere personalmente alla pulizia della sua stanza.

Ai minimi termini

Uno dei motivi per cui vengono rimandate le udienze è anche la mancanza degli strumenti base. È successo nel caso della quinta udienza a Tempio Pausania del processo che vede imputati Ciro Grillo, figlio del fondatore del M5S Beppe, e i suoi tre amici Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, con l’accusa di violenza sessuale di gruppo su due studentesse nel 2019 in una villa di Porto Cervo. L’udienza è stata rinviata al 16 novembre, quando la difesa ha fatto notare che a parte i soli due microfoni a disposizione per oltre dieci avvocati e pubblico ministero, non c’era lo schermo per proiettare le immagini acquisite agli atti dell’inchiesta. Ma se il caso di Grillo ha fatto scalpore, emergenze analoghe o addirittura più allarmanti si verificano quotidianamente.

La cartina geografica dell’edilizia giudiziaria che fa acqua da tutte le parti anche letteralmente è una galleria degli orrori, con ingressi pericolanti, corridoi, bagni, scantinati e archivi da incubo, davanzali degli uffici ricolmi di guano, discariche improvvisate di vecchi arredi e altra monnezza a non finire: il repertorio fotografico firmato Anm e ribattezzato provocatoriamente “Impressionismo giudiziario” parla chiaro.

Al Tribunale di Alessandria le infiltrazioni che mangiano gli intonaci e i cavi volanti sono un pugno in un occhio come pure l’ammasso di cartoni, sedie malmesse e persino televisori che fanno da sfondo e a volte da arredo alle postazioni dei giudici. «Si tratta di un edificio inadeguato ad accogliere gli uffici giudiziari» sentenzia il Procuratore Enrico Cieri che denuncia anche la carenza di spazi. «Abbiamo indicato all’Agenzia del demanio come possibile sede alternativa la caserma Valfré: anch’essa necessita di una ristrutturazione ma almeno conterrebbe l’intera struttura giudiziaria». Oggi ci si arrangia come si può. «Molti uffici li abbiamo delocalizzati per necessità, ma tuttora permangono problemi tecnici importanti, come gli impianti elettrici: se va via la luce – spiega il Procuratore – non c’è alcun impianto di continuità che garantisca anche la momentanea continuazione». Come se non bastasse fino a qualche mese fa, in Tribunale mancava addirittura anche la carta igienica. Sempre in Piemonte, ma a Biella, oltre ad alcune cabine dalle quali debordano centinaia di cavi, fa mostra di sé un vecchio telefono che si regge miracolosamente a un muro ridotto a groviera. “Pronto, Giustizia?”.

Dalle Alpi alla Sicilia

Dal Piemonte alla Sicilia i chilometri sono tanti ma la musica non cambia. I recenti fatti di cronaca lo dimostrano. Il crollo del soffitto di uno degli uffici del gip, nel Palazzo di Giustizia di Catania, ha fatto vergognare l’Italia intera. Una vicenda che non ha fatto registrare feriti perché avvenuta in nottata, quando l’ufficio era chiuso e non c’era nessuno. La scoperta è stata fatta – per fortuna, verrebbe da dire – la mattina successiva, all’apertura degli uffici giudiziari. «C’erano state delle piccole infiltrazioni dovute a perdite dell’impianto di condizionamento – ha spiegato l’ex capo dei Gip Nunzio Sarpietro – ma tutto era stato aggiustato. La situazione pareva rientrata». Intanto l’accesso ai locali del terzo piano del lato ovest del palazzo di Giustizia è stato inibito a «magistrati, personale dipendente, avvocati e pubblico» dal presidente del Tribunale, Francesco Mannino. Per l’Anm si tratta «solo dell’ennesima dimostrazione dell’incuria» in cui versano attualmente molti edifici in cui si dovrebbe amministrare il valore più prezioso, il rendere giustizia. «Le precarie condizioni delle strutture giudiziarie, con il conseguente disagio in cui tutti gli operatori della giustizia sono costretti a lavorare, non sono più sopportabili. Occorre che le istituzioni intervengano senza ulteriore ritardo per tutelare la salute e la sicurezza delle migliaia di persone che quotidianamente fanno ingresso negli uffici», prosegue l’Anm nazionale che, fa sapere che continuerà a denunciare a vigilare «con la massima attenzione affinché episodi come quello verificatosi a Catania non siano più sottovalutati e non venga più ignorato l’evidente stato di degrado materiale degli edifici destinati alle attività». Intanto l’auspicio è quello di un incontro con il nuovo ministro sulle situazioni di maggiore criticità che richiedono interventi assolutamente indifferibili. La giunta nissena del sindacato delle toghe invoca «che con urgenza siano compiute opere di manutenzione ordinaria e straordinaria per evitare tragedie che fortunatamente questa volta sono state solo sfiorate: non è ammissibile, infatti che in un edificio pubblico, e a maggior ragione in un Palazzo di Giustizia, dove devono trovare tutela i diritti di ciascuno, i lavoratori che vi operano debbano temere per la propria incolumità. Non è altresì ammissibile che, a seguito di tali eventi, alcuni magistrati dell’ufficio non dispongano attualmente di un ufficio dove poter celebrare le udienze e non siano pertanto messi in condizione di adempiere ai propri doveri».

Il caso Abruzzo

Ma dal Piemonte alla Sicilia se si fa un pit stop in Abruzzo c’è da mettersi le mani nei capelli anche a causa di scelte riviste in corsa che hanno condannato intanto gli uffici giudiziari al degrado. Con la legge Severino nel 2012 era stata avviata la chiusura dei cosiddetti tribunali minori della regione, ossia quelli di Vasto, Lanciano, Sulmona e Avezzano. Chiusura poi rinviata di proroga in proroga, l’ultima fissata a fine 2023. «Si tratta di strutture che avrebbero dovuto chiudere da un pezzo in vista del loro accorpamento», spiega a Tpi il sostituto procuratore di Rieti, Rocco Maruotti, nonché responsabile della raccolta fotografica della “mala” edilizia giudiziaria italiana. Ma al loro “salvataggio” non ha corrisposto la necessaria manutenzione. Risultato? Uno stato di generale incuria: a Lanciano le ciotole sul pavimento servono a raccogliere l’acqua che viene giù dal contro soffitto, mentre a Sulmona gli uffici della Procura si segnalano per crepe e buchi sulle pareti a perenne ricordo del sisma che fece danni anche qui.

Persino il complesso edilizio dell’Aquila posteriore al terremoto del 2009 sebbene non presenti particolari criticità strutturali né carenze relative agli impianti, ai servizi e alla manutenzione è tuttavia privo di spazi idonei per l’archivio del Tribunale e di quelli necessari per l’imminente insediamento dell’Ufficio del Processo. Va peggio se possibile all’archivio storico del tribunale di Chieti, dove i fascicoli accatastati hanno addirittura fatto la muffa, mentre a Teramo gli uffici giudiziari si segnalano per crepe sui muri, umidità e infiltrazioni. Delle due l’una: o si corre ai ripari o è meglio rassegnarsi a integrare l’antico adagio delle aule di tribunale. La giustizia è uguale per tutti, sì. Ma lasciate ogni speranza o voi che entrate.

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