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Alto Adige: guerra sul turismo a numero chiuso

Immagine di copertina
Credit: Fabrizio Coco / Unsplash

La Provincia di Bolzano introduce un tetto ai pernottamenti sul territorio: non si potrà andare oltre i 34 milioni di presenze. “Il sovraffollamento ci stava rovinando. Dobbiamo tutelare il paesaggio”. Ma sulla decisione monta la protesta

Una «svolta storica». Così l’ha definita l’assessore della Provincia autonoma di Bolzano che si occupa di turismo, Arnold Schuler. E in effetti, al di là di come la si veda, è impossibile non riconoscerlo. «Ci siamo accorti che il nostro territorio, la nostra comunità e le nostre risorse, come acqua ed energia, erano arrivate a un livello di sfruttamento che non doveva e poteva più essere superato», ha spiegato lo stesso Schuler. «Così con una delibera abbiamo deciso di introdurre un limite massimo di pernottamenti».

Chi quest’anno vuole andare in Alto Adige, camminare nella verdeggiante alpe di Siusi, specchiarsi nel lago di Braies o in quello di Carezza, o visitare Bolzano e scoprire la storia di Oetzi, dovrà affrettarsi dato che, verosimilmente, non tutti i visitatori riusciranno a farlo. 

Come funziona
La domanda che in tanti si stanno ponendo è, però, come funziona questo limite. Ovviamente non ci saranno dogane e militari a segnare chi entra ed esce dall’Alto Adige. Tutto ruota attorno al numero massimo consentito di pernottamenti: 34 milioni, ovvero le presenze turistiche registrate in Alto Adige nel 2019. Nessun problema, dunque, per chi vuole fare la cosiddetta “toccata e fuga” in giornata; qualche pensiero potrebbe sorgere invece per chi vuole stare in Alto Adige per più giorni.

La decisione è arrivata in risposta diretta a un fenomeno di cui troppo poco spesso si parla e che in realtà tocca varie zone d’Italia: l’overtourism, il sovraffollamento turistico. Non è un caso, d’altronde, che il territorio altoatesino già abbia sperimentato questo tipo di limitazioni.

Qualche anno fa si era optato per un accesso contingentato all’Alpe di Siusi, l’altopiano più vasto d’Europa nonché parte del patrimonio Unesco delle Dolomiti, dove l’unica strada era stata chiusa al traffico privato dalle 9 alle 17, a meno che non si fosse prenotato un soggiorno in una delle strutture presenti. Poi è toccato al lago di Braies: prenotazione obbligatoria altrimenti nessun accesso. 

Questa volta, però, la portata della misura avrà effetti diversi. Soprattutto per coloro che stagionalmente magari mettono a disposizione seconde case o piccoli appartamenti “improvvisandosi” albergatori estivi: come fa sapere a TPI la Provincia autonoma di Bolzano, infatti, «c’è tempo fino a giugno per registrare tutte le strutture presenti sul nostro territorio». 

Equilibrio difficile
Come accade in questi casi, sui piatti della bilancia ci sono due aspetti difficilmente conciliabili: da una parte le bellezze naturalistiche del territorio altoatesino, e dall’altra la necessità per chi vive di turismo di incassare il più possibile.

Capire quale sia la giusta misura per un equilibrio non è cosa da poco. Tanto che a sollevare gli scudi, com’era facilmente immaginabile, è stata soprattutto una parte degli albergatori. L’abbiamo provato sulla nostra pelle contattando una serie di hotel di alcune delle zone più attrattive dell’Alto Adige. 

«Guardi, per ora siamo ancora lontani dal tetto. Speriamo non diventi un problema per tutti noi», si lascia scappare la receptionist di uno dei più rinomati alberghi in pieno centro a Bolzano. E quando le chiediamo come e chi comunicherà eventualmente agli albergatori che nessuno più può dormire nelle loro strutture, svicola e sorride: «Le dico la verità: ancora non l’abbiamo capito. Mi hanno detto che arriverà una comunicazione».

«È una scelta scellerata», ci dice senza mezzi termini un altro albergatore che ci risponde dalla Val di Funes. «Ma le pare mai possibile una cosa del genere dopo il periodo del Covid? Significa colpire direttamente chi lavora col turismo».

Ovviamente, però, non ci sono soltanto gli albergatori. Le escursioni sono all’ordine del giorno nel territorio bolzanino. Chi meglio del Cai (Club Alpino Italiano) può allora pronunciarsi. «Trovo che il numero chiuso sia una sciocchezza tremenda. Prima chiamano i turisti e poi impedisci loro di venire. In più non vorrei che sia il modo per creare un turismo ghettizzato: il rischio è che siano favoriti coloro che possono permettersi hotel a 4 o 5 stelle, mentre chi va nelle pensioncine potrebbe più facilmente rischiare di non trovare posto», spiega il presidente del Club Alpino a Bolzano, Carlo Zanella. E in effetti che qualcuno sia tenuto fuori da queste dinamiche è cosa evidente. 

Secondo quanto TPI è in grado di documentare, alcuni gestori di rifugi di montagna neanche sapevano nulla della delibera provinciale. Pierpaolo Trottner è il custode del rifugio Fronza alle Coronelle, uno dei più rinomati sul massiccio montuoso del Catinaccio: «Mi spiace, ma io di questa decisione non so proprio nulla né sono stato informato», ci risponde. 

Eppure sembra essere questa l’unica soluzione al problema dell’overtourism, come osserva anche Serena Ranieri, presidente di Federmep (Matrimoni ed Eventi Privati): «Questo è il finale scontato di una gestione turistica che ha puntato più sulla quantità che sulla qualità. È comprensibile la scelta di chi cerca di frenare l’avanzata del fenomeno, proponendo il numero chiuso per mantenere alta la qualità dell’offerta. Pochi ma buoni, per sintetizzarla in una battuta. Non si tratta di settarismo, ma di comprendere che esiste un limite che non si può valicare, se non vogliamo danneggiare l’immagine dell’Italia».

Il sondaggio
L’amministrazione bolzanina, in ogni caso, non è disposta a fare passi indietro, anche perché ha il pieno appoggio pure di Federalberghi. «Già nel 2017 facemmo un sondaggio interno ed emerse la volontà di regolare il nostro turismo», racconta a TPI il presidente della confederazione di albergatori in Alto Adige, Manfred Pilzner. «Al di là di qualche voce sparuta, la maggior parte dei nostri 4.860 iscritti è a favore del tetto massimo ai pernottamenti. Purché, però, chi oggi ha delle strutture abbia la possibilità di investire e magari di ampliare i propri alberghi».

L’obiettivo, dunque, è quello di incentivare il turismo, ma nel rispetto dell’ambiente circostante e, soprattutto, di chi vive nelle valli. «Le faccio un esempio su tutti: in Val Badia vivono circa 5mila persone, ma i turisti sono 35mila. Bisogna necessariamente intervenire, anche perché il nostro turismo ha senso solo se convive con la tutela dei paesaggi», continua Pilzner. 

I numeri, d’altronde, sono argomenti piuttosto testardi e coi quali fare i conti: l’intero Alto Adige conta circa 532mila abitanti e i posti letto già ora sono 240mila. Gestirne di più sarebbe molto complicato, come spiega anche Manfred, che vive a Merano e gestisce una piccola struttura di b&b.

«La trovo una scelta giusta: abbiamo tanti turisti, troppi. Magari adesso se limitiamo il numero si svilupperà un turismo più di qualità, con persone che restano, dormono, girano l’Alto Adige, e non persone che vengono, visitano e vanno via. Questo non arricchisce il nostro territorio e dopotutto non è un bene neanche per noi imprenditori». 

Una tesi che condivide anche lo scrittore e “paesologo” Franco Arminio (in libreria con Sacro Minore, Einaudi). Il quale, nella sua lettura, rileva un paradosso tutto italiano: «Accanto alle splendide montagne altoatesine, ci sono le “altre” montagne: quelle lucane, calabresi, irpine, abruzzesi. Montagne che non hanno il problema del numero chiuso, ma delle case chiuse: non arriva nessuno e va via tanta gente. Un cortocircuito a cui nessuno fa il minimo cenno. Ecco, sarebbe il caso, a maggior ragione davanti al giusto filtro pensato in Alto Adige, di cogliere l’occasione per sviluppare politiche reali». A sostegno delle “altre” montagne.

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