Cos’è il nuovo nucleare e perché se ne parla
Viaggio alla scoperta degli SMR, i mini-reattori a struttura modulare che possono rivoluzionare il settore. La tecnologia è ancora in via di sviluppo: il lancio sul mercato è atteso dopo il 2030. L’Ue ci punta forte in ottica decarbonizzazione. Ma come sempre il nucleare divide: ecco i pro e i contro
Nuovo nucleare: cos’è e perché se ne parla
Dei tre trattati internazionali stipulati negli anni Cinquanta che portarono alla nascita dell’Unione europea, l’unico ancora in vigore è quello che ha istituito la Comunità Europea dell’Energia Atomica, meglio noto come Trattato Euratom. Tutti i Paesi membri dell’Ue – inclusa ovviamente l’Italia – aderiscono tutt’ora a questa organizzazione internazionale, il cui principale obiettivo è promuovere nel Vecchio Continente la ricerca nel campo dell’energia nucleare.
Oggi l’Euratom fa capo direttamente alla Commissione, che nel 2022 ha incluso il nucleare nella Tassonomia europea, un sistema di classificazione che definisce quali attività economiche possono essere considerate ecosostenibili e quindi degne di poter ricevere finanziamenti nell’ambito della lotta alla crisi climatica.
«Credo che, nei Paesi aperti alla tecnologia, le tecnologie nucleari possano svolgere un ruolo importante nelle transizioni verso l’energia pulita», ha dichiarato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, intervenendo nel marzo scorso al Nuclear Energy Summit di Bruxelles.
Proprio in quegli stessi giorni la Commissione europea ha lanciato la European Industrial Alliance sugli Small Modular Reactors (SMR), una piattaforma aperta a soggetti pubblici e privati che mira a facilitare e accelerare lo sviluppo del cosiddetto “nuovo nucleare”. Con questa espressione si indica una tecnologia, in fase di sviluppo, che potrebbe rivoluzionare il settore: quella degli SMR, acronimo che, tradotto in italiano, sta per “piccoli reattori modulari”.
Energia nucleare: il contesto
Negli ultimi trent’anni la diffusione dell’energia nucleare “tradizionale” a fissione ha subito un complessivo rallentamento.
A livello globale il contributo del nucleare alla generazione di energia elettrica è sceso dal picco del 17,7% raggiunto nel 1996 al 9% del 2023, un calo dovuto essenzialmente alla frenata sul fronte delle nuove installazioni.
Nel 1971 si contavano nel mondo 97 reattori nucleari sparsi in 15 Paesi, trent’anni dopo – nel 2000 – gli impianti si erano moltiplicati fino a 435 e il numero di Paesi ospitanti era raddoppiato a 30. Da allora, tuttavia, la crescita si è pressoché fermata: nel 2022 gli impianti censiti erano 438, solo tre in più rispetto a due decenni prima, ed erano distribuiti in 32 Paesi, appena due in più del precedente bollettino.
Mentre nell’Asia Pacifica il nucleare procede al galoppo, è invece in particolare l’Europa che ha allentato la corsa: nel Vecchio Continente alcuni Stati – come Germania, Svizzera, Spagna e Lituania – hanno deciso di chiudere le proprie centrali atomiche per rispondere alle crescenti preoccupazioni sulla sicurezza degli impianti e per evitare di dover sostenere ingenti costi di manutenzione o ammodernamento.
Ciò nonostante, l’Unione europea resta tra le regioni del mondo che fanno maggiormente affidamento sul nucleare, che ancora nel 2022 ha garantito il 23,5% della produzione di elettricità nell’Ue.
Nucleare: la terza generazione
Negli ultimi decenni la tecnologia nucleare è costantemente progredita. Oggi le centrali “tradizionali” di terza generazione si basano su sistemi di sicurezza passiva che, grazie a strumenti di controllo automatici e all’attivazione di meccanismi fisici elementari, non richiedono la disponibilità di sorgenti di energia supplementari, intervenendo prontamente e autonomamente in caso di anomalie senza necessità di intervento umano.
Ma questi importanti avanzamenti tecnologici hanno anche contribuito ad aumentare i costi e ad allungare i tempi per la realizzazione di nuovi impianti. E, in un perverso meccanismo di causa-effetto, proprio il rallentamento registrato in Europa sul fronte delle installazioni – portando con sé una perdita di know-how e competenze – ha a sua volta fatto lievitare costi e tempistiche.
È in questo contesto che si inserisce lo sviluppo degli SMR: i piccoli reattori modulari vengono infatti presentati come una tecnologia potenzialmente in grado di risolvere molte delle criticità che hanno frenato il nucleare all’inizio del Millennio.
Nuovo nucleare: cosa sono gli SMR
Gli Small Modular Reactors sono considerati la nuova frontiera nel campo dell’energia nucleare a fissione. Attualmente sono ancora in fase di sviluppo, nel mondo si contano un’ottantina di progetti in corso e l’obiettivo è lanciarli sul mercato a partire dal 2030.
Semplificando, l’idea di fondo è quello di realizzare dei reattori di terza generazione in miniatura assemblati con una struttura modulare – cioè composta da piccole unità delle dimensioni di un container – che faciliterebbe di molto la loro produzione.
Se un reattore tradizionale, di quelli che alimentano le centrali che siamo abituati a conoscere, ha una potenza media di 1 gigawatt, gli SMR oscillerebbero invece tra i 100 e i 450 megawatt. La potenza ridotta li renderebbe particolarmente adeguati alle reti elettriche esistenti: potrebbero quindi essere installati in prossimità di distretti industriali e in sostituzione delle centrali a fonti fossili ancora operative, riducendo così gli investimenti sull’adeguamento della rete elettrica.
La struttura modulare, invece, rappresenterebbe un miglioramento sostanziale perché consentirebbe di prefabbricare in fabbrica i moduli e di assemblarli direttamente sul sito nucleare: in altre parole, essendo prodotti in serie, un unico design potrebbe essere usato per tanti reattori, riducendo i costi e le tempistiche di costruzione e favorendo le economie di scala.
E quando la terza generazione nucleare sarà superata dalla quarta generazione – oggi ancora in fase di studio – arriveranno anche gli AMR, acronimo che sta per Advanced Modular Reactors, reattori modulari di piccola taglia che monteranno appunto la quarta generazione nucleare, fondata su tecniche di raffreddamento a gas o a metallo liquido e in grado di generare anche calore industriale e idrogeno.
Piccoli reattori modulari: i pro
Tra i vantaggi del “nuovo nucleare” spiccano dunque i costi inferiori e i tempi di costruzione ridotti rispetto ai grandi reattori “tradizionali”. Avendo una potenza più bassa, inoltre, gli SMR avrebbero bisogno di una minor quantità di combustibile (cioè di uranio), il ché circoscriverebbe a un’area più limitata la zona di emergenza intorno alla centrale. E anche il consumo di suolo e di acqua sarebbe inferiore rispetto alle centrali odierne.
Ecco allora – sottolineano i sostenitori di questa nuova tecnologia – che i mini-reattori potrebbero essere installati anche nelle vicinanze di centri abitati o di siti industriali – soprattutto dei siti industriali maggiormente energivori – senza mettere a repentaglio la sicurezza e la salute delle persone, magari riconvertendo le aree oggi occupate da vecchi impianti a gas o a carbone e alimentando – attraverso il calore di scarto – il teleriscaldamento in città.
D’altra parte, anche grazie al fabbisogno ridotto in termini di combustibile e di materie prime, gli Small Modular Reactors potrebbero favorire anche una maggior indipendenza energetica da Paesi terzi. Il “nuovo nucleare”, insomma, rappresenterebbe una fonte di energia pulita complementare alle rinnovabili nel percorso verso la neutralità climatica, ma diversamente da fotovoltaico, eolico e idroelettrico avrebbe il vantaggio di essere una fonte stabile e programmabile, compensando l’intermittenza delle rinnovabili nel mix energetico elettrico.
Piccoli reattori modulari: i contro
Quando si parla di energia, il nucleare è notoriamente una delle materie più divisive, soprattutto nel nostro Paese. Gli italiani già in due consultazioni referendarie – nel 1987 e nel 2011 – hanno detto No alle centrali atomiche sul territorio nazionale.
Anche la prospettiva degli SMR incontra un certo scetticismo. I mini-reattori – è la critica principale che viene mossa – rappresentano una innovazione ancora da venire e che, almeno nella fase iniziale, richiede ingenti investimenti. Ha poco senso – sostiene insomma chi si oppone al “nuovo nucleare” – scommettere oggi su una tecnologia che vedrà la luce non primo dell’inizio del prossimo decennio, quando invece gli obiettivi della lotta al cambiamento climatico impongono qui e ora ritmi serrati e scadenze assai ravvicinate.
Inoltre, il fronte dei critici insiste su alcuni nodi che sono propri anche del nucleare “tradizionale”, ovvero che i livelli di sicurezza di un reattore, per quanto possano essere elevati e rafforzati rispetto al passato, non potranno mai garantire al 100% dall’insorgenza di incidenti e che, per quanto in misura ridotta, anche i reattori di piccola taglia implicherebbero la necessità di trovare una collocazione alle scorie nucleari.
Nuovo nucleare: perché se ne parla
Il tema del nucleare è tornato alla ribalta anche in Italia in particolare negli ultimi due anni, da quando cioè il nostro Paese – alle prese con la crisi del gas e il caro-bollette – ha assunto una maggior consapevolezza sull’importanza di diversificare le fonti di approvvigionamento dell’energia. Inoltre i reattori costituiscono di fatto l’unica alternativa alle rinnovabili nel solco delle fonti a zero emissioni, altro tema di strettissima attualità.
La Commissione Ue, come detto, ha incluso il nucleare nella Tassonomia Europea e ha avviato la piattaforma European Industrial Alliance on SMR proprio per stimolare la ricerca e lo sviluppo in materia di mini-reattori.
Ma anche in Italia c’è un gran fermento. Il Governo ha incluso il nucleare nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec), documento che fissa gli obiettivi nazionali per il 2030 in termini di efficienza energetica e riduzione delle emissioni di anidride carbonica: nei piani dell’esecutivo, entro il 2050 nel nostro Paese l’11% dell’elettricità dovrebbe derivare da mini-reattori (ed eventualmente anche dal futuristico nucleare a fusione).
Nel settembre 2023 il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha istituito la Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile, una sorta di centro di coordinamento tra le strutture di ricerca pubbliche e private e le imprese allo scopo di favorire anche nel nostro Paese lo sviluppo degli SMR e AMR. Dal Ministero è stato previsto anche uno stanziamento di 135 milioni di euro – attraverso il programma Mission Innovation – per la ricerca e la sperimentazione sui mini-reattori e sulla fusione nucleare.
Non solo: il ministro Pichetto Fratin è anche il primo promotore di una legge-delega, annunciata per fine anno, per «abilitare la produzione da fonte nucleare tramite le nuove tecnologie» dei mini-reattori.