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Milano, il boom del chemsex: viaggio nel mondo dei festini a base di sesso e droghe

Immagine di copertina
Credit: Spencer Platt/Getty Images/AFP

Party a base di sesso e droga all’ombra della Madonnina: un trend in crescita anche tra i giovanissimi. Chi ci è stato: “All’inizio mi aiutava a vivere la mia sessualità senza pensieri”. I medici: “Si legalizzino test Hiv su minori”

Chemsex | “Ho cominciato a fare uso di sostanze da adolescente, ancora prima di finire il liceo: in discoteca, per divertirmi con gli amici. A un certo punto, però, ballare mi annoiava, così ho accettato l’invito a un party chemsex”.

Alessio (nome di fantasia, ndr) oggi ha 30 anni, da oltre cinque non assume più stupefacenti e ha deciso di condividere la sua storia con TPI, per fare luce su una realtà sempre più diffusa in Italia: quella dei festini a base di sesso e droghe.

“Il chemsex è un trend nato a Londra all’inizio nel Nuovo millennio nel mondo Msm – Men who want to have sex with men, in inglese – ossia tra gli uomini che cercano il sesso con altri uomini: omosessuali, bisessuali, transgender. Ma ci sono anche uomini etero che fanno sesso con altri uomini”, racconta. Poi denuncia: “Londra ha dato il via alla cosa, ma la principale piazza europea per reperire le sostanze che si usano in questi raduni oggi è Milano”.

Chemsex | Come funziona

Ci si incontra via chat, poi si organizza a casa di qualcuno. “Si può fare in gruppi di due o tre, ma ad alcuni eventi partecipano anche 15 persone. Di solito, un paio di loro si conoscono già. Per il resto, sono sconosciuti”, continua.

Si usano sostanze di tipo diverso, ma l’obiettivo è uno: riuscire a fare sesso liberamente, spingendo i propri limiti sempre più in là, e fare in modo che il tutto duri il più a lungo possibile.

Certe feste continuano per giorni. Si ricorre alle droghe per fuggire dalle pressioni sociali che si subiscono quotidianamente in quanto minoranza – quelle che in letteratura scientifica sono definite minority stress – ma in molti casi è l’’omofobia interiorizzata’ che spinge a questi comportamenti.

Se sei tu il primo a non accettare le tue inclinazioni sessuali, ad autoimporti standard assurdi di presunta mascolinità, le sostanze possono aiutarti a vivere la tua sessualità senza pensieri. Amplificano tutto, anche il piacere sessuale. Danno sensazioni estremamente intense, è inutile negarlo, altrimenti la gente non ne farebbe uso.

Quando da intrattenimento una tantum il chemsex si trasforma nella tua unica dimensione di vita, però, è un problema. Col tempo, fagocita tutto. Pensi solo a quello: annulli gli appuntamenti con gli amici per continuare a partecipare a festini, disattendi gli impegni lavorativi. Finché non va tutto a puttane e capisci che il piacere sessuale è solo una scusa che ti ripeti per non smettere: la verità è che il chemsex crea dipendenza”, ammette.

Chemsex | Cosa si usa

C’è il Ghb e il Gbl, quella nota ai più come ‘droga dello stupro‘. È liquida, si beve. In grandi quantità fa perder conoscenza, mentre a piccole dosi rende euforici, incrementa l’appetito sessuale e innalza la soglia del dolore: “Ci sono pratiche sessuali, come il fisting – ovvero la penetrazione anale con il pugno o il braccio – che difficilmente sono fatte senza assumere chem”, spiega.

Si ferma un attimo, per assicurarsi che io abbia capito di cosa parla, poi ricomincia il racconto: “Il mefedrone, invece, è in cristalli: si mangia, si sniffa o si inietta. Fa durare di più, ma crea dipendenza psicologica. La droga peggiore, però, è il Crystal meth. Ne basta una piccola quantità perché faccia effetto, ma a lungo termine ha controindicazioni devastanti: causa tremori incontrollabili, perdite di memoria, fa marcire i denti.

Per fortuna nel nostro Paese costa tanto, quindi si usa meno. Nel 2010 sono stato a Londra: si diceva che lì fossero “più avanti”, che si iniettassero anche sostanze endovena o intramuscolo. Vero. Ma ormai Milano non è da meno: due, forse anche tre persone su dieci – tra chi pratica chemsex – fanno slam, cioè si iniettano stupefacenti endovena, appunto. Da anni.

E quando cominci con le iniezioni, non ti puoi più illudere che si tratti di un’esperienza sporadica, di un episodio. La siringa ti rende dipendente: dal sesso, dai chem, dagli aghi. Con questi ultimi aumentano anche i rischi di contrarre Hiv o epatite C”.

L’impegno di Alessio per fare la differenza

Da quando ha smesso di usare sostanze, Alessio collabora con diverse realtà Lgbt milanesi per far capire a giovani come lui che è possibile una vita diversa.

“Voglio fare in modo che tutta la merda che ho vissuto serva a qualcuno. Aver toccato il marcio di persona è utile, se vuoi aiutare altri a uscire da una condizione simile”, dice.

La sua voce è calma quando ripercorre il passato. Risponde con pazienza alle mie domande e non dà nulla per scontato, per non essere frainteso da chi non sa niente di chemsex e dintorni. Ma preferisce mantenere l’anonimato: “Ho l’Hiv, mi curo e vivo la mia vita tranquillamente. Ma in Italia essere sieropositivi è ancora uno stigma sociale”, chiosa.

L’Aids nella Penisola: contagi, terapie e tanta disinformazione

Gli ultimi dati ufficiali sulle infezioni da Hiv – diffusi nel 2018 dall’Istituto superiore di sanità – parlano di circa 3.500 nuovi casi ogni anno.

Dieci al giorno, in media. “Il numero di contagi tendenzialmente è stabile, cresce solo all’interno di alcuni gruppi di persone con comportamenti a rischio”, dichiara a TPI Antonella D’Arminio Monforte, che dirige la clinica di Malattie infettive e tropicali all’ospedale San Paolo di Milano.

“Ripeto, perché le parole sono importanti: a essere rischiosi sono certi comportamenti, non le persone. E il chemsex rientra tra i fenomeni che favoriscono comportamenti sessuali promiscui”, precisa.

“Studi recenti svolti in tutta Europa, però – che hanno coinvolto anche coppie italiane, sia eterosessuali che omosessuali – mostrano come le persone sieropositive, se regolarmente sottoposte a terapie che abbattono la carica virale nel sangue, possono avere rapporti sessuali non protetti con i propri partner senza per questo rischiare di contagiarli. I farmaci antiretrovirali attualmente disponibili non debellano il virus – che continua a essere presente nell’organismo – ma riducono quasi a zero la sua capacità di replicarsi nel sangue. Nessun partner è stato contagiato durante questa ricerca, che ha analizzato decine di migliaia di rapporti non protetti. Il problema vero quindi è il ‘sommerso’, cioè il gran numero di persone infette che ancora non sa di esserlo, non si cura e persiste in comportamenti a rischio. Sul totale delle infezioni da Hiv monitorate in Italia, si stima ci sia un ulteriore 25 per cento di persone che ignora di esserne portatore. Queste persone vanno avvicinate, bisogna fare in modo che vengano a conoscenza della situazione”, mette in guardia l’infettivologa.

Il Check point di Milano: test gratuiti e prescrizioni PrEP

A questo scopo, nel capoluogo lombardo – al terzo piano della Casa dei diritti di via De Amicis – da febbraio 2019 è attivo un centro dove ci si può sottoporre (senza appuntamento, in forma anonima e gratuita) al test dell’Hiv.

“Per conoscere i risultati bastano venti minuti. A ognuno offriamo un colloquio di counseling specialistico”, spiega il presidente di Check point Massimo Cernuschi a TPI, “e affrontare tematiche così delicate in un ambiente che non ricorda un ospedale rende tutto più semplice a livello psicologico”, fa notare.

Qui è possibile anche richiedere la PrEP, una profilassi che previene la possibilità di contrarre l’Hiv in caso di rapporti non protetti. “È un farmaco che può essere assunto tutti i giorni – un po’ come si fa con la pillola anticoncezionale – oppure in prossimità del singolo rapporto non protetto. Ci sono schemi precisi da seguire: un paio d’ore prima del rapporto e poi di nuovo alcune ore dopo”, illustra la dottoressa D’Arminio.

A poco più di tre mesi dall’inaugurazione di Check point, il centro – gestito su base volontaria e aperto due pomeriggi a settimana – ha già in cura 100 pazienti fissi per quanto riguarda la PrEP (oltre 50 sono in lista d’attesa), mentre quasi 200 persone sono passate di lì per sottoporsi al test di sieropositività.

Ma quanto incide il chemsex sulla diffusione di Hiv? E per quale motivo – se la PeEP è così efficace – non viene utilizzata da tutti coloro che partecipano a questi festini?

“Il chemsex pesa sulla diffusione dell’Hiv, e trovare qualcuno che prescriva la PrEP non è sempre facile: molti medici non la conoscono, altri si rifiutano di prescriverla. Siamo un Paese bigotto”, puntualizza Daniele Calzavara, uno dei volontari che consente a Check point di funzionare.

“Bisogna anche considerare che non è una terapia a carico del Sistema sanitario nazionale. La scatola mensile costa 60 euro: pochi per un milanese, forse, ma per qualcun altro possono rivelarsi una spesa proibitiva. In Inghilterra, in Francia, negli Usa – dove questa profilassi è passata dalla sanità pubblica o rimborsata – il numero di nuove infezioni da Hiv è dimezzato”, chiarisce il giovane.

Poi prosegue: “Gli unici Check point in Italia a prescrivere questa terapia sono a Milano e a Bologna. Troppo pochi. Fare la profilassi è una scelta responsabile: non protegge da tutte le malattie sessualmente trasmissibili, ma dall’unica da cui non si guarisce – l’Hiv – sì”.

Chemsex | Non solo gay

Calzavara ha raccolto e analizzato personalmente le storie di chi si è rivolto al Check point meneghino finora. “Posso dire che il nostro target è composto per il 50 per cento da Msm, ma c’è anche un 30 per cento di donne e un 20 per cento circa di uomini etero. Tra chi fa richiesta di PrEP, poi, almeno due persone su dieci dichiarano di fare chemsex abitualmente o sporadicamente”, rivela.

“Non penso si possa relegare questo fenomeno a problema esclusivamente gay”, gli fa eco il dottor Cernuschi, “perché in via De Amicis arrivano anche ragazzine etero, preoccupate perché la sera prima, in discoteca, si sono fatte di Ecstasy e hanno avuto rapporti non protetti con qualcuno. Accade meno di frequente, gli incontri hanno dinamiche diverse rispetto a quelli Msm e si fa uso di sostanze differenti. Il rischio di fondo, però, rimane lo stesso”.

Dai 20 ai 70 anni, ma l’eroina fa più paura

Il chemsex non ha età, pare. Si comincia da giovanissimi e si prosegue fino alla soglia dei settant’anni.

“L’altro giorno mi ha riferito di fare chemsex un signore di 67 anni”, nota Calzavara a TPI. Ma se si parla di teenager, la dottoressa D’Arminio è più preoccupata da un altro fattore: la vendita di eroina da assumere per via endovenosa a prezzi stracciati, anche tra studenti delle scuole superiori.

“Si parla di 5 euro a dose o poco più. Era un fenomeno debellato, ora sta tornando in voga. Soprattutto a Milano e a Roma. Per il momento i casi documentati sembrano occasionali. Ma se questo consumo dovesse trasformarsi in dipendenza, la necessità di bucarsi aumenterebbe. E più questo bisogno cresce, meno attenzione si presta a usare siringhe monouso. Riutilizzare più volte lo stesso ago – magari in più persone – si sa, è tra i modi più comuni per contrarre il virus dell’Hiv. Non siamo ancora di fronte a un’emergenza, ma è un problema serio che potrebbe insorgere di qui a poco, se la situazione non cambia”.

Divieto di test su minori

Le persone che bussano alla porta di via De Amicis sono soprattutto giovani. “Talmente giovani che a volte non possiamo offrirgli il servizio. I risultati di un test su minori, per legge, vanno consegnati ai genitori. Anche questo è un grosso problema: se da un lato non possiamo rischiare di compromettere un servizio prezioso infrangendo le regole, dall’altro proprio i giovanissimi – ragazzi di 16, 17 anni – sono soggetti a rischio che sarebbe bene si sottoponessero al test”, segnala D’Arminio.

Cernuschi concorda con la collega: “È una follia. A 16 anni si può abortire. Se si richiede un aborto, significa che si ha avuto un rapporto non protetto con qualcuno. Allora perché non si può accedere al test dell’Hiv?”.

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