Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 18:04
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Esteri

Piogge torrenziali, raid aerei e aiuti in ritardo: la tregua con Israele regge ma a Gaza si continua a morire

Immagine di copertina
Palestinesi camminano sotto la pioggia in una strada della città di Gaza il 15 dicembre 2025. Credit: ZUMAPRESS.com / AGF

Neonati morti per ipotermia, vittime di (sporadici) scontri armati, tendopoli allagate, ospedali a mezzo servizio, ostacoli alla consegna dei carichi umanitari e impedimenti burocratici alle ong internazionali. Dall'inizio del cessate il fuoco almeno 395 persone sono morte nella Striscia e la situazione della popolazione resta disperata

Almeno una persona è morta oggi nel sud della Striscia di Gaza a seguito di un attacco aereo condotto dalle forze armate di Israele (Idf) lungo la linea designata per il cessate il fuoco che divide l’area ancora occupata dalle truppe dello Stato ebraico e il resto del territorio costiero palestinese. Malgrado la tregua infatti, che nonostante diverse violazioni regge da più di due mesi, a Gaza si continua a morire.

Ancora sotto le bombe
Il raid condotto questa mattina è stato confermato in una nota dalle Idf, secondo cui la vittima, che aveva attraversato la cosiddetta “Linea Gialla” prevista dagli accordi mediati da Usa, Egitto e Qatar tra Israele e Hamas, “rappresentava una minaccia immediata” per i soldati della 188esima Brigata corazzata dell’esercito israeliano, che hanno chiesto l’immediato intervento dell’Aeronautica militare.
Soltanto ieri, secondo il ministero della Salute della Striscia, un’altra persona era rimasta uccisa e altre 13 erano state ferite in incidenti simili. Dall’avvio dell’ultima tregua infatti, secondo il monitoraggio dell’emittente qatariota al-Jazeera, Israele avrebbe violato gli accordi “almeno 738 volte”. Da parte sua però, Tel Aviv ha sempre giustificato gli attacchi a Gaza con ragioni di sicurezza.
Anche questa settimana, come certificato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Unocha), bombardamenti e attacchi aerei sono continuati in tutta la Striscia, soprattutto a est della cosiddetta “Linea Gialla”. I raid hanno colpito in particolare la parte orientale della città di Gaza e i quartieri urbani di At Tuffah, Tal Al Hawa e Ash Sheikh Radwan; l’area a est del campo profughi di Al Bureij a Deir al Balah; varie zone a est e nord-est del governatorato meridionale di Khan Younis, oltre all’area sud-occidentale di Iqleemi e alle città di Rafah e di Al Mawasi.
Così dall’inizio del cessate il fuoco, entrato in vigore il 10 ottobre scorso, le autorità sanitarie della Striscia hanno registrato almeno 395 morti e 1.088 feriti mentre un numero imprecisato di vittime resta ancora intrappolato sotto le 68 milioni di tonnellate di macerie causate dalla guerra che, secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), continuano a soffocare il territorio. In totale, dai brutali attentati di Hamas e della Jihad Islamica in Israele del 7 ottobre 2023, almeno 70.669 persone sono decedute e 171.165 sono state ferite a Gaza. Ma non si muore solo per le bombe.

L’inferno degli sfollati
Ormai è il freddo a uccidere. Come nei casi di Saeed Saeed Abdeen, che aveva appena un mese di vita, e di Mohammed Khalil Abu Al-Khair, nato due settimane prima, deceduti entrambi per ipotermia. Tra i ricoverati in ospedale a causa del freddo estremo, secondo il ministero della Salute di Gaza, sono morte almeno 13 persone.
Inoltre le precipitazioni insolitamente intense, i forti venti e le inondazioni che la tempesta Byron ha portato in Israele e Gaza dal 10 dicembre stanno peggiorando una situazione già disastrosa, che però non è dovuta solo al freddo ma soprattutto alla mancanza di servizi adeguati per la popolazione. Tra il 15 e il 16 dicembre infatti, 44 rifugi di emergenza (21 a Khan Younis, 22 a Gaza City e uno nel nord della Striscia) sono stati gravemente allagati per l’ostruzione dei canali di drenaggio. L’alluvione ha causato la provvisoria interruzione delle attività di distribuzione di acqua potabile e cibo mentre oltre 4.700 sfollati hanno dovuto abbandonare più di 690 tende danneggiate dalle forti precipitazioni e almeno 1.200 persone sono state costrette a lasciare il sud della città di Gaza. Malgrado la tregua infatti una parte della popolazione continua a vivere l’incubo di dover abbandonare periodicamente tutto. Dal 10 ottobre, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Unocha), quasi 640mila persone si sono spostate da sud a nord e viceversa lungo le strade della Striscia. Il meteo avverso però non è l’unico responsabile.
“I civili ora si trovano a camminare tra liquami, fango e detriti, senza un riparo adeguato. Non si tratta di una mancanza di preparazione o di capacità; è il risultato diretto dell’ostruzione sistematica degli aiuti”, ha denunciato Bushra Khalidi, responsabile delle politiche per i Territori palestinesi occupati dell’ong britannica Oxfam. “Le autorità israeliane continuano a bloccare l’ingresso di materiali di base per i rifugi, carburante e infrastrutture idriche, esponendo le persone a danni del tutto evitabili. Quando l’accesso viene negato, le tempeste diventano mortali. Questa sofferenza è causata dalla politica, non dalle condizioni meteorologiche”.

Ostacoli agli aiuti
A più di due mesi dall’inizio del cessate il fuoco, ha fatto sapere il World Food Programme (Wfp) delle Nazioni Unite, l’accesso al cibo è migliorato significativamente, consentendo un sostanziale aumento dell’assistenza alimentare, dei flussi commerciali e della portata operativa in tutta Gaza. Insomma dopo i 453 deceduti per fame, di cui 150 minori, registrati negli ultimi due anni dal ministero della Salute di Gaza, compresi i 175 di agosto e settembre, nella Striscia non si muore più per inedia ma non basta. “Le persistenti restrizioni di accesso, procedure incoerenti e improvvisi cambiamenti in tutti i corridoi (umanitari, ndr) continuano a mettere a rischio tutti i progressi compiuti in questo periodo”, ha rimarcato il Wfp, a cui hanno fatto eco le parole dell’Unocha: “Sebbene, dopo il cessate il fuoco, il numero di camion di aiuti coordinati dalle Nazioni Unite che entrano a Gaza sia aumentato, persistono limitazioni di accesso attraverso i corridoi e all’interno di Gaza, ostacolando la capacità delle Nazioni Unite e dei partner di fornire i livelli di assistenza richiesti”.
Le operazioni di scarico attraverso il corridoio egiziano, denunciano dall’Onu, rimangono difficili “perché gli aiuti umanitari non hanno la priorità rispetto ad altre merci”. Il valico di Allenby poi, tra Giordania e Cisgiordania, è stato riaperto per la prima volta all’ingresso degli aiuti diretti nella Striscia soltanto il 10 dicembre, dopo oltre tre mesi di sospensione delle attività, che ora procedono comunque a rilento. Senza contare che, per il malfunzionamento di uno scanner di controllo, le operazioni di scarico nel porto israeliano di Ashdod sono state sospese per quasi una settimana a inizio dicembre, tornando a pieno ritmo soltanto lunedì 15. Così, sebbene l’accordo per il cessate il fuoco preveda l’ingresso di 600 camion di aiuti al giorno, meno della metà trasportano carichi umanitari mentre il resto è costituito principalmente da beni commerciali inaccessibili alla stragrande maggioranza dei palestinesi.
All’interno di Gaza poi, tutti i carichi umanitari provenienti dal valico di Kerem Shalom con Israele continuano a essere instradati attraverso il corridoio Filadelfi verso la congestionata Al Rasheed Road, mentre l’uso della Salah Ad Deen Road per il trasporto di carichi umanitari resta interdetto sin dal 26 ottobre scorso. Tutto questo ostacola i servizi fondamentali per la popolazione.

Futuro incerto
A causa della carenza di medicinali e altri prodotti essenziali infatti, secondo l’ultimo bollettino del Gaza Health Cluster a cura dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), “la maggior parte delle strutture mediche della Striscia non è in grado di fornire servizi completi”. Nel complesso dunque, secondo le ong e varie agenzie delle Nazioni Unite attive sul campo, la situazione umanitaria nel territorio costiero palestinese resta “disastrosa, con circa 2,1 milioni di persone che necessitano ancora di assistenza umanitaria per la sopravvivenza di base”. L’anno prossimo però la situazione potrebbe ancora peggiorare.
Il 31 dicembre scade infatti il termine ultimo fissato da Israele per la registrazione delle ong internazionali intenzionate a operare a Gaza presso il ministero della Diaspora e della Lotta contro l’Antisemitismo di Tel Aviv. Ad oggi, secondo fonti interne al governo israeliano citate dall’agenzia di stampa Afp, delle circa cento richieste presentate negli ultimi mesi 14 sono state respinte. Tra queste figura anche Save the Children, che fornisce aiuti a 120mila minori nella Striscia, dove entro i primi due mesi dell’anno prossimo dovrà chiudere i battenti se non otterrà l’autorizzazione da Israele.
Un pericolo denunciato anche dalle Nazioni Unite. “La cacciata delle ong internazionali a Gaza avrà un impatto catastrofico sull’accesso ai servizi essenziali e di base. Le ong internazionali gestiscono o supportano la maggior parte degli ospedali da campo, dei centri di assistenza sanitaria di base, delle strutture di pronto soccorso, dei servizi idrici e igienico-sanitari, dei centri di stabilizzazione nutrizionale per bambini con malnutrizione acuta e delle attività critiche di sminamento”, ha denunciato l’Unocha, che con un solo esempio ha spiegato l’importanza delle attività umanitarie di questi soggetti per la Striscia. “Tutti e cinque i centri di stabilizzazione per bambini con malnutrizione acuta grave sono supportati da ong internazionali, rappresentando il 100% della capacità di ricovero ospedaliero per curare i bambini con malnutrizione potenzialmente letale a Gaza”, ha concluso l’agenzia Onu. “Se le ong internazionali fossero costrette a interrompere le operazioni, 1 struttura sanitaria su 3 a Gaza chiuderebbe”. E menomale che la tregua regge ancora.

Ti potrebbe interessare
Ambiente / È uscito il nuovo numero di The Post Internazionale. Da oggi potete acquistare la copia digitale
Esteri / Il discorso di Trump agli Usa: “Ho ereditato un disastro ma ora l’America è tornata”
Esteri / Iran, condannato a morte per “corruzione sulla Terra”: ora il pugile Mohammad Javad Vafaei Sani rischia l’esecuzione
Ti potrebbe interessare
Ambiente / È uscito il nuovo numero di The Post Internazionale. Da oggi potete acquistare la copia digitale
Esteri / Il discorso di Trump agli Usa: “Ho ereditato un disastro ma ora l’America è tornata”
Esteri / Iran, condannato a morte per “corruzione sulla Terra”: ora il pugile Mohammad Javad Vafaei Sani rischia l’esecuzione
Esteri / Putin minaccia: “La Russia raggiungerà tutti gli obiettivi in Ucraina. Con la diplomazia o con la forza”
Esteri / La capo gabinetto di Trump: “Ha la personalità di un alcolizzato”
Esteri / Museo del Louvre chiuso da tre giorni: i lavoratori prolungano lo sciopero fino a domani
Esteri / “Siate pronti a mandare i vostri figli a combattere contro la Russia”: il discorso del capo delle forze armate britanniche
Esteri / Fornì ketamina alla star di “Friends” Matthew Perry: medico condannato a 8 mesi di arresti domiciliari
Esteri / Il Regno Unito rientrerà nel programma europeo Erasmus+ nel 2027
Esteri / Trump ordina il “blocco totale” delle petroliere da e verso il Venezuela: ecco cosa può succedere ora