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Seconda ondata di Covid-19, Crisanti: “È necessario fare test a tappeto”

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Al Festival della Scienza Medica in corso a Bologna, il medico che ha creato il "modello Vo'" spiega perché il modello del "network testing" è più efficace rispetto al "contact tracing"

Come fronteggiare la seconda ondata di Covid-19? Indicazioni preziose vengono dall’esperienza del Professor Andrea Crisanti, il cui apporto è stato fondamentale per consentire al Veneto di gestire nel migliore dei modi la prima fase della pandemia. Il primo focolaio italiano è stato infatti nel comune di Vo’, nel Padovano, dove è stato applicato il “contact tracing”, ovvero il controllo su tutte le persone entrate in contatto con chi risultava positivo.

S&D

“Se oggi l’Italia ha una situazione di crescita di contagi nettamente inferiore a quella dei nostri vicini di Francia, Svizzera, Spagna, lo si deve anche ai dati che abbiamo acquisito in termini di dinamica di trasmissione del virus e misure di controllo con la strategia messa a punto a Vo’”, ha detto Crisanti, intervenendo alla terza giornata del Festival della Scienza Medica in corso di svolgimento a Bologna.

Il “contact tracing” è risultato vincente anche per via delle ridotte dimensioni del Comune in questione, con poco più di 3.500 abitanti, ma proprio da questa esperienza Crisanti ha dedotto come sia più efficace un approccio differente: il cosiddetto “network testing”, che consiste invece nell’effettuare controlli a tappeto su tutta la rete di relazioni del soggetto risultato positivo, a prescindere dai contatti avuti di recente.

“Ci sono diversi livelli di interazione delle persone: l’ambiente familiare, quello lavorativo o scolastico” – ha argomentato – “Invece di basarci sul ricordo della singola persona per ricostruire ex post i possibili contatti, il network testing decide di testare a tappeto tutti gli appartenenti a questi spazi di interazione: famiglia, amici, compagni di scuola, colleghi di lavoro. In questo modo si possono isolare tempestivamente anche gli asintomatici, che abbiamo scoperto avere una carica virale assimilabile a quella del soggetto malato, isolarli e spegnere sul nascere la possibile trasmissione ulteriore”.

“Abbiamo testato circa l’86% della popolazione (escludendo solo i non domiciliati) e la prima rilevazione ha portato a 88 persone positive, circa il 3%. Sono stati chiusi i confini municipali e sono stati isolati i positivi e i loro familiari, senza però impedire alle altre persone di circolare liberamente all’interno del territorio comunale. Il risultato? Al secondo campionamento i positivi erano 28”. Così, mentre il 2 marzo sul territorio di Vo’ si contavano ben 88 casi di positività sul totale di 273 individuati in Veneto, al 30 maggio i casi nel piccolo comune erano invariati, mentre la Regione ne contava circa 20mila.

L’approccio adottato a Vo’ ha fatto scuola anche perché è risultato tanto efficace quanto quello adottato in Corea del Sud, dove però sono stati impiegati strumenti di controllo quali il tracciamenti mediante telefoni cellulari e carte di credito, non compatibili con le normative italiane sulla privacy. L’implementazione del network testing, la somministrazione di tamponi su larga scala, ma soprattutto la corretta e tempestiva somministrazione dei test è l’arma ad oggi più efficace che abbiamo per proseguire su una strada che sta portando qui da noi ad ottimi risultati”, ha concluso Crisanti, che all’Università di Padova sta sperimentando il test sublinguale, efficace primo step per capire se una comunità è a rischio e intervenire tempestivamente con il tampone per spegnere i focolai ed evitare la temuta seconda ondata.

Il Festival della Scienza Medica, dedicato al tema “Lezioni di medicina. Covid-19”, continua fino al 17 ottobre e si può seguire online su www.bolognamedicina.it o su https://piattaformaventiventi.genusbononiae.it/

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