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    Il taglio dei parlamentari è una mutilazione del Parlamento: il referendum è sacrosanto

    Credit: Ansa
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 19 Dic. 2019 alle 12:02

    Referendum sul taglio dei parlamentari: impopolare ma giusto

    E così si va al voto sul taglio dei parlamentari, referendum popolare. Non mi interessa chi ha raccolto le firme e per quale motivo. I senatori ribelli appartengono a partiti diversi, e lo hanno fatto per i motivi più disparati.

    So bene di sostenere una opinione controcorrente e forse persino impopolare di questi tempi. Non c’è ombra di dubbio, tuttavia, che il referendum sul taglio dei parlamentari (il referendum “contro”, aggiungerei) è in questo momento cosa santa e giusta. Santa perché la Costituzione è la pietra angolare della democrazia.

    Chi la cambia, anche legittimamente, nel Palazzo, con i numeri e gli equilibri del Palazzo, deve sapere che poi bisogna sempre fare i conti nel paese, con il Paese. È una igienica regola democratica. Approvare una legge che cambia totalmente la base della rappresentanza, e le regole del gioco, è un terremoto istituzionale su cui gli italiani devono potersi pronunciare dicendo si o no. Ma poi c’è il secondo motivo, tutto di merito: il taglio è stato fatto in fretta e male, senza nemmeno la parvenza di i correttivi e bilanciamenti necessari anche gli occhi di un bambino.

    Taglio dei parlamentari, le posizioni politiche

    È – di fatto – una mutilazione del Parlamento, una amputazione a cui quasi tutti i partiti hanno detto di sì per i motivi più svariati, fra cui domina la demagogia, la ricerca del consenso o il tornaconto politico più immediato. Per il M5s il taglio è una battaglia identitaria e Costitutiva.

    Per Matteo Renzi è il pezzo che sopravvive e ritorna (del suo referendum), per la Lega una mossa accattivante per svecchiare la propria immagine (e decisa ai tempi della defunta maggioranza gialloverde). Per il Pd è stato il biglietto di ingresso per poter entrare nel governo (quello giallorosso).

    Morale della favola: molti senza convinzione, alcuni addirittura dopo aver votato contro durante il percorso parlamentare che ha portato all’approvazione (è il caso del Pd) altri cambiando idea (è il caso di Italia Viva), alcuni votando il taglio ma dicendo si al referendum (è il caso della Lega), hanno costituito una maggioranza d’occasione che come al solito si è esercitata con le forbici sulla Costituzione non perché avesse in mente una nuova architettura, ma perché pensava che questa mossa “facile” portasse voti all’insegna del No alla Casta.

    Viceversa, anche tra chi ha raccolto le firme perché si andasse al referendum confermativo per la riforma albergano le motivazioni più disparate: chi pensa e spera che sia solo un escamotage per allungare la legislatura (di fatto finché non si celebra la consultazione non si può sciogliere il parlamento perché in caso di vittoria del Si se ne insedierebbe uno già delegittimato).

    Chi è contrario per ragioni nobili e squisitamente politiche (penso ad Emma Bonino e ai radicali), chi banalmente e algebricamente sa (o immagina) che con il taglio avrebbe più possibilità di essere rieletto. Ma su questo sito alcuni di noi vi avevano messo in guardia, in tempi non sospetti, sulle conseguenze di questo pasticcio: il taglio dei parlamentari è un provvedimento privo di qualunque senso logico, politico e istituzionale. Non porta risparmi, anzi aumenta gli sprechi. Diminuisce la rappresentanza, non solo sui territori, ma anche nella società (e questa non è mai una buona cosa).

    Aumenta di fatto la soglia dello sbarramento elettorale in modo neanche tanto occulto. Imponeva delle modifiche costituzionali che dovevano essere varate al più presto, persino secondo i promotori (e che invece non sono arrivate). La conseguenza più grave sono il paradosso legislativo è la modifica degli equilibri parlamentari più delicati (ad esempio nell’assemblea elettiva della presidenza della Repubblica).

    Un referendum su uno spreco di risorse

    Il primo punto che oggi bisogna ancora una volta ricordare (lo avevano già scritto) è questo: risparmiare gli stipendi (un pugno di milioni di euro sono poco o niente, rispetto ai costi enormi della macchina istituzionale) non vuol dire affatto risparmiare risorse, ma sprecarle: tutta la struttura del Parlamento, infatti, è modellata sulla dimensione dei mille eletti. È come abitare a In una reggia e pagare le tasse e le bollette per una reggia, ma ripetersi: io per risparmiare utilizzo solo due camere e cucina. Follia.

    Questo costo fisso – infatti – non può essere soppresso o contenuto, trattandosi di dipendenti assunti a tempo indeterminato (peraltro molto ben retribuiti), di servizi parlamentari, di spazi logistici (ad esempio i Palazzi). E infine la madre di tutte le battaglie, l’assemblea che elegge il presidente della Repubblica: se con il vecchio sistema le regioni esprimono il dieci per cento dell’assemblea che elegge il capo dello Stato, con quello nuovo il loro peso percentuale – rimanendo invariato – verrebbe di fatto raddoppiato.

    È una argomentazione che è stata sostenuta più volte da un Costituzionalista raffinato come Sabino Cassese. Avrebbe dovuto essere presa in considerazione, ma nessuno l’ha raccolta, sia per la difficoltà di costruire una nuova maggioranza, sia per la considerazione (per me scellerata) che non armonizzare la riforma poteva concedere un’arma finale al governo, per stabilizzare il Parlamento.

    Comunque sia, tutto questo oggi non deve essere discusso, perché il referendum mette fine ad ogni dibattito. Per tutto quello che ho detto e scritto in questi ultimi mesi su TPI.it, penso che ci sia una unica e saggia soluzione: non farsi incantare dalle sirene, andare a votare (il referendum è senza Quorum), pensare al bene della Repubblica e non a quello dei partiti. E ovviamente votare contro il taglio, per tenersi stretta la più sacra istituzione democratica in tempo di leader di caudilli e di impeachment: il Parlamento.

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