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    Sardine, il sociologo De Masi a TPI: “L’Erasmus tra Nord e Sud è geniale, può unire di nuovo l’Italia”

    A sinistra Domenico De Masi, sociologo. A destra il fondatore delle Sardine Mattia Santori.

    Il professor Domenico De Masi, decano della sociologia italiana, commenta la proposta del movimento delle Sardine di uno scambio tra studenti universitari del Nord e del Sud Italia

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 15 Feb. 2020 alle 13:04

    Sardine, il sociologo De Masi a TPI: “Ecco perché l’Erasmus tra Nord e Sud Italia è la cosa giusta”

    (Sorride). L’idea degli Erasmus tra nord e sud? Io la trovo semplicemente stupenda.

    Professor De Masi, sta parlando dell’ultima proposta delle Sardine?

    Assolutamente si.

    Ha visto che ha raccolto molte critiche, anche a sinistra.

    Sono stati geniali, ge-nia-li. Davvero non capisco perché su di loro si abbattono sarcasmo, battutine scomposte, a volte persino manifestazioni di disprezzo.

    Dicono che l’Erasmus tra nord e sud sia una banalità, ha sentito?

    Che cosa stupida. Qui di banale non c’è davvero nulla.

    Dicono che di fatto esista già.

    E ovviamente non è vero. Esiste una emigrazione universitaria tra sud e nord, che è un’altra cosa: a senso unico.

    E quindi cosa le piace dell’idea?

    A me pare la prima proposta concreta per combattere la disuguaglianza tra nord e sud, per unire il paese, per farlo diventare più ricco sul piano economico ma soprattutto umano e culturale. Adesso le spiego perché.

     

    Domenico De Masi, decano della sociologia italiana, intellettuale eclettico con una grandissima vocazione meridionalista. Quando ha letto la proposta di Mattia Santori e compagni si è detto: “È la cosa giusta da fare”. In questa intervista spiega perché, e aggiunge: “La disuguaglianza, da quella geografica a quella sociale, è il primo problema del paese”.

    Professore, proviamo a fare una simulazione. Dove designerebbe il primo ciclo di Erasmus tra nord e sud, se dipendesse da lei?

    Un esempio concreto? Partirei da Rende: quanti di coloro che criticano le Sardine la conoscono davvero, o ci sono stati? Arcavavata è una bellissima realtà accademica, piena di professori straordinari, immersa in un territorio che invece è ricco di problemi.

    E lei li immagina un Erasmus fatto da studenti del nord?

    Perché no? Sarebbe una ottima esperienza, sul piano accademico e – soprattutto – sul piano umano. Utile anche al sud.

    In che senso?

    Importare sangue fresco in un territorio dove hanno sede le quattro più importanti multinazionali del crimine del mondo è una bellissima trasfusione di sangue pulito. Un vaccino.

    Prova a spiegare come se lo immagina?

    Molti dei nostri ragazzi, al nord, sono stati in Inghilterra o in Francia, ma non hanno mai conosciuto in una regione meridionale. Anche solo abitare in una regione italiana che ha un prodotto interno lordo dimezzato rispetto a quella in cui provieni, per un universitario è un grande stimolo. Un modo per capire, conoscere il paese. Senza contare tutto quello che impari.

    Quindi le piace la proposta?

    La trovo una idea bellissima, un modo concreto per unire di nuovo l’Italia. Ha presente “Pane amore e fantasia”?

    La trilogia dei film con De Sica e la Loren, degli anni Cinquanta?

    Esatto! Era una commedia basata sulla storia di un carabiniere che viene trasferito da Trento alla Cicociaria. E qui si ritrova a corteggiare Sofia Loren.

    Perché me lo ricorda?

    Perché una delle regole non scritte dell’Italia repubblicana erano i tanti Erasmus non dichiarati fra nord e sud.

    Nel senso che apparentemente non avevano questa finalità?

    Esatto. i carabinieri come il maresciallo Antonio Carotenuto, alias Vittorio De Sica, per motivi idi servizio avevano una carriera basata sui trasferimenti dal meridione al settentrione, dalla provincia al centro! E poi c’era il grande Erasmus del tempo.

    Quale?

    La naja. Ha presente la battuta di Totó: “Ho fatto il militare a Cuneo”? Quello che un tempo faceva il servizio militare oggi lo può fare l’università. Far viaggiare le persone, farle conoscere realtà che non avrebbero mai visitato. Il tema è abbattere la distanza.

    È vero che lei a questo proposito considera molto positivamente l’esperienza del Reddito di cittadinanza?

    Sul reddito c’è da scrivere un saggio: è stata la cartina di tornasole per capire che idea ha del “povero” un paese che teoricamente crede in modo maggioritario in una religione fondata sulla carità.

    Perché dice questo?

    Io nel dibattito intorno al reddito ho avvertito una incredibile componente di razzismo e odio.

    Addirittura?

    Ha dato fastidio l’idea di assistere un povero in quanto tale, e per questo si è inventata la metafora del “divano”. Come se aiutare una persona che vive con seimila euro l’anno fosse un sussidio ai divanisti. Una follia.

    Provi a spiegare perché.

    Ma il povero non c’entra con il ciclo centrale dell’economia! Il suo destino, la sua storia, è totalmente sganciato dalla ricchezza del paese. Ci sono i poveri a Udine ci sono i poveri a Palermo. Non ci sono più poveri dove c’è meno Pil, anzi.

    Non c’è relazione, dice lei.

    Assolutamente no. Il paese con il più alto numero di ricchi al mondo, l’America, è anche quello che nel mondo occidentale ha il più alto numero di poveri.

     

    Molti dicono che 29mila posti di lavoro recuperati tra i precettori del Reddito sono un risultato deludentissimo.

    Ah si? 29 mila posto di lavoro sono due volte e mezzo l’intero numero degli occupati dell’Ilva: in quattro mesi! Che parametro usano questi signori?

    E il numero totale degli assistiti?

    Due milioni e 700mila persone sono cinquanta volte la Fiat. Ed il Reddito è stato fatto in soli otto mesi, un miracolo.

    Dicono: però ci sono i furbetti.

    Il 34 per cento delle domande erano fasulle e sono state scartate senza nemmeno erogare un euro. Molti altri solo stati trovati dopo. Gran parte di questi che hanno fatto i furbetti erano quelli che già prendevano il Rei. Di cosa parliamo?

    A lei il Rei non piaceva.

    Uhhh… un sindaco per dare un sussidio aveva bisogno di riunire commissione. Un povero per essere considerato povero doveva dimostrare di non avere una barca! Una follia.

    Quindi giudizio sospeso?

    Io direi decisamente positivo. Capiremo solo nel tempo tutto gli effetti e tutti i correttivi necessari. È evidente che molti precettori del reddito o della pensione di cittadinanza sono invalidi, persone espulse dai ciclo del lavoro, o anziani. L’argomentazione “ma non ha creato posti di lavoro” in questo caso è demenziale. Il reddito poi, pone il tema di come redistribuire ricchezza. Le Sardine pongono il tema di redistribuire conoscenze e vite. E mentre fai questo arriva qualche genio e ti dice: ma gli studenti al sud già ci vanno!

    Servono politiche demografiche per salvare l’Italia?

    Anche qui rimango interdetto. Scriviamo decine di saggi per spiegare che è una catastrofe il fatto che l’Italia passi da 60 milioni di abitanti a 59…

    Ed è sbagliato?

    È un dato vero, ma interpretato male. Una visione da “sovranismo demografico”.

    Non ci servono giovani?

    Certo che ci servono! Ma bisogna capire che il problema non è l’asilo che funziona. Altrimenti i paesi che hanno il miglior sistema di scolarità primaria – tipo la Svezia – avrebbero tassi di natalità spropositata, e così non è.

    L’insicurezza economica scoraggia i giovani dal far figli?

    L’insicurezza economica non c’entra nulla. Per restare a 60 milioni di abitanti in Italia ogni donna dovrebbe fare 2,1 figli di media. E il problema è che non li fa se le dai l’asilo o la paghetta. Per fare figli servono famiglie, e oggi in Italia una famiglia dura mediamente otto anni.

    Quindi non c’è speranza?

    La speranza l’abbiamo davanti agli occhi ma non la vediamo.

    Dove?

    Oggi, nel flusso dell’emigrazione arrivano molti giovani già formati e già laureati. Ne sono arrivati 98mila con un titolo scolare superiore al diploma!

    Non siamo stati in grado di inserirli, però.

    Questa è la cosa folle. Bene o male, soprattutto male, li abbiamo accolti. Come Stato, intendo: abbiamo speso, abbiamo investito, e magari adesso stanno a marcire in qualche centro di accoglienza, o magari li abbiamo usati come schiavi per raccogliere pomodori o frutta.

    C’è molta amarezza in questa sia considerazione, professore.

    Sì, perché viviamo in un paese folle, irrazionale, preda di leggende e dicerie, che spesso fa tutto il contrario di quello che dovrebbe, perché si fa considerare da paure e rancore. In questo scenario la proposta della Sardine, come vedi, è molto più di un dettaglio. È un’idea che ribalta un paradigma sbagliato. È una grande opportunità.

     

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