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Home » Politica

Orfini a TPI: “Le alleanze non funzionano, il Pd vada al voto in solitaria”

Immagine di copertina
Matteo Orfini. Credits: ANSA

Cammina veloce per il Transatlantico, Matteo Orfini, leader di Left Wing, una delle anime meno conformiste del Pd. È corrucciato, ma risponde affabile a TPI.

S&D

Preoccupato, onorevole?
«Ne abbiamo visto tante, risolveremo anche questa crisi. Pensiamo di essere preparati».

Chi è il vero colpevole della caduta di Mario Draghi?
«Banalmente, io penso che ci siano responsabilità molto chiare: intanto chi ha aperto la crisi, e cioè Giuseppe Conte e quel che resta del Movimento 5 stelle. Poi, con loro, chi ha fatto prevalere un interesse di parte su quello del Paese. Cioè il centrodestra di governo e di opposizione. La trimurti Meloni, Salvini e Berlusconi ha scelto di precipitare il Paese al voto, pensando che questo convenga loro e fregandosene del fatto che il Governo Draghi stava realizzando alcuni provvedimenti importanti per dare sollievo alla sofferenza di milioni di cittadini e imprese».

Quindi lei non ritiene plausibile la lettura di Alessandro Di Battista, che dice che è stato lo stesso presidente del Consiglio ad avere in Parlamento un atteggiamento così rigido proprio perché voleva lasciare il Governo?
«Io non ritengo plausibile Alessandro Di Battista in sé. Draghi ha fatto l’unica cosa che è ragionevole che un presidente del Consiglio possa fare, con una maggioranza complessa come questa e a fine legislatura: ha chiesto un chiaro impegno di compattezza delle forze politiche che sostenevano il governo. Quindi ha chiesto la fiducia su un programma chiaro per evitare che la crisi si riaprisse dopo una settimana su un provvedimento diverso. Cosa che sarebbe sicuramente successa».

Elezioni: farle per vincere o farle per partecipare?
«Si gioca sempre per vincere. Noi chiediamo i voti per governare e ci giochiamo il primo posto con Fratelli d’Italia. Vogliamo essere il primo partito del Paese e intorno alla forza del Pd costruire un’alternativa alle forze di destra».

Però lei su questo ha avuto una divergenza molto forte con la linea di Dario Franceschini: imbarcare tutti o andare da soli?
«Sono convinto che le alleanze contro non abbiano mai funzionato nella storia della sinistra. I cittadini vogliono un progetto per, non contro. Questo va detto: con Dario ne abbiamo discusso anche nella direzione di martedì scorso. Ma noi dobbiamo mettere al centro del progetto il Pd. Su questo, poi, vedere se ci sono alleanze compatibili. Però c’è vita anche dopo le urne: come possiamo mettere insieme forze che sono contro il nucleare con partiti che sono a favore? Come possiamo poi conciliare le posizioni di chi è a favore al sostegno alla povertà con chi vuole abolire il reddito di cittadinanza? Rischieremmo di essere poco seri».

Non pensa che sia un errore di Letta schiacciare il Pd sull’agenda Draghi?
«Ma l’agenda Draghi non c’è più, se non c’è Draghi! Era l’agenda di un governo che teneva insieme forze per loro natura alternative. Io sono convinto soprattutto di quella parte d’agenda che avevamo costruito noi. Prima che cadesse l’esecutivo, Draghi aveva annunciato, insieme al ministro Andrea Orlando, una serie di misure sociali: salario minimo, rinnovo dei contratti, lotta alle disuguaglianze e alla povertà. Sono misure che erano in programma grazie a noi! Di quell’agenda, più giornalistica che reale, dobbiamo rivendicare – questo sì – la messa in sicurezza delle finanze del Paese che Draghi stava praticando».

Quali devono essere i provvedimenti dei primi 100 giorni del nuovo Governo?
«Quelli dai quali si è interrotta la legislatura a vantaggio dei più deboli: dal salario minimo al sostegno a chi è in difficoltà, al contrasto alle disuguaglianze. E siccome diritti sociali e civili vanno di pari passo, dovremo ripartire da dove non siamo riusciti: cittadinanza e DdL Zan».

Chi è il presidente del Consiglio di Matteo Orfini?
«Il segretario del Pd. Un grande partito si candida a governare il Paese con il proprio leader».

Quindi Calenda per lei è escluso?
«Dire che si vuole Draghi a Palazzo Chigi mi pare solo una mancanza di rispetto nei confronti di Draghi. Lui ha fatto il presidente del Consiglio, ma il Parlamento lo ha sfiduciato, con un grave errore. Quindi l’ipotesi Draghi non c’è più. E basta. Non si può tirare per la giacchetta una personalità così importante. Draghi è un patrimonio per il Paese e non lo si gioca in campagna elettorale».

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