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Oddati (Pd) a TPI: “Il blocco dei licenziamenti andava prorogato. E ora serve il salario minimo”

Immagine di copertina
Nicola Oddati, 56 anni, membro della direzione nazionale del Pd

“Se l’emergenza è ancora in atto e decidiamo, per questo, di bloccare le cartelle esattoriali, allora dobbiamo tenere bloccati anche i licenziamenti”. Nicola Oddati, membro della direzione nazionale del Partito democratico, boccia la proroga selettiva decisa dal Governo per il blocco dei licenziamenti. E rilancia: “Non possiamo più rimandare la discussione sul salario minimo legale. Dobbiamo restituire dignità a tutti i lavoratori”, dice.

S&D

Oddati, lei ha recentemente partecipato alla nascita di Prossima, una nuova corrente interna al Pd, di cui è leader. C’era davvero bisogno di un’altra corrente?
“Prossima non è una corrente, ma una rete, un laboratorio. E, sì, ce n’era bisogno, credo. C’era bisogno di un’area che raccogliesse l’esperienza di Piazza Grande, l’idea di aprire il Partito democratico e farne sempre più punto di riferimento per la costruzione di un nuovo centrosinistra. Prossima è l’espressione di una forza popolare, di prossimità, capace cioè di essere più dentro la vita reale, più radicata nella società italiana. Siamo, fra l’altro, un’area collettiva, non personalistica, non identificabile con il nome di un politico. Cercheremo di avere un approccio tematico e di fare proposte su temi innovativi”.

Il segretario Letta l’ha da poco nominata coordinatore delle Agorà democratiche. Il suo impegno con Prossima non può rappresentare un conflitto d’interessi?
“Sono coordinatore di un gruppo di lavoro, si tratta di un ruolo politico. Per come sono concepite le Agorà democratiche, poi, nessuno in particolare se ne avvantaggerà. Se ne avvantaggerà semmai il partito nel suo insieme, se questi si riveleranno davvero luoghi di discussione aperti e di confronto politico-programmatico e se avranno un peso nella vita politica e nelle scelte del Pd”.

Lei è anche commissario provinciale del Pd di Taranto, la città dell’ex Ilva. Per l’acciaieria il Governo punta sulla transizione ecologica. Nel Pnrr, però, è saltato il riferimento ai forni a metano e si parla solo di produzione a idrogeno, che è ancora in fase sperimentale e richiede molto tempo. Che fare?
“Tre cose. Primo: mettere mano seriamente, e in tempi non lunghi, a un piano di de-carbonizzazione radicale, che deve ricorrere a tutta la strumentazione possibile, dall’elettrico al metano. L’idrogeno è sicuramente una prospettiva importante, ma dobbiamo guadagnare tempo. Secondo: vincolare la produzione a una valutazione dell’impatto sanitario. Il tema della salute va messo al primo posto. Terzo: è indispensabile insediare un tavolo per un accordo di programma che metta insieme il Governo, la proprietà – anche con la presenza dello Stato – e gli enti locali”.

Blocco dei licenziamenti: il Governo ha deciso per una proroga selettiva. La convince questa soluzione?
“No, non del tutto. Penso avesse ragione il ministro Orlando a chiedere una proroga più lunga del blocco. Giustamente stiamo dicendo che l’emergenza non è finita, che c’è la variante Delta, che non sappiamo cosa può succedere da settembre, e che per questo motivo bisogna sospendere le cartelle esattoriali. Ma allora, se è così, dobbiamo bloccare anche i licenziamenti, che potrebbero deprimere l’economia e mettere in difficoltà centinaia di migliaia di persone. Prima dobbiamo far ripartire la crescita”.

Orlando inizialmente voleva una proroga indiscriminata del blocco. Ma alla fine anche lui ha optato per la proroga selettiva…
“È chiaro che si tratta di una una mediazione. Non sono io il ministro e posso dire quello che penso più liberamente. E penso che sui licenziamenti sarebbe il caso di aspettare ancora un po’”.

Il ministro sta lavorando alla riforma degli ammortizzatori sociali. Quali devono essere secondo lei i pilastri della riforma?
“Abbiamo un problema enorme con la cassa integrazione e credo che il ministro stia lavorando a una semplificazione e ad una razionalizzazione degli strumenti, che sarà molto utile. Penso, però, che bisogna iniziare a discutere anche di un altro tema”.

Quale?
“Un argomento controverso ma che oggi più che mai è necessario affrontare: l’introduzione di un salario minimo legale. Nelle categorie più precarie e più deboli – lì dove il sindacato, tra l’altro, spesso non arriva – ci sono lavoratori malpagati e sfruttati. Penso che alle cose condivisibili che sta facendo Orlando bisognerebbe aggiungere questo tema”.

Il salario minimo faceva parte dell’accordo di governo sottoscritto tra Pd e M5S nel settembre 2019. Poi però non se ne è quasi più parlato. Perché?
“Non lo so. Fra l’altro c’è anche una precisa direttiva dell’Ue in questo senso. Penso che sia tempo di riprendere con serietà questa discussione. I casi di sfruttamento di cui veniamo a conoscenza quotidianamente, anche in questi giorni, ci dicono che c’è un problema di fragilità nel mondo del lavoro. Altro che ‘la gente non vuole andare a lavorare’, come dice Salvini… Non è che la gente non vuole andare a lavorare, la gente rifiuta lo sfruttamento. E allora bisogna determinare delle condizioni dignitose per il lavoro”.

Pensa che la sinistra abbia qualche responsabilità rispetto alla precarietà e agli stipendi bassi del mercato del lavoro italiano?
“Noi abbiamo sicuramente una grande responsabilità, che è quella dell’introduzione del Jobs Act. Quando un partito di sinistra svincola i licenziamenti e li rende totalmente liberi, diventa un partito poco comprensibile per i lavoratori”.

La precarietà, però, c’era anche prima del Jobs Act. Il Pacchetto Treu lo fece un governo di centrosinistra.
“In questi ultimi 20 anni c’è stato un cedimento rispetto al neoliberismo. Alcuni processi hanno attraversato anche la sinistra e l’hanno condotta ad analisi a volte anche sbagliate. Che il mercato del lavoro sia diventato più dinamico non c’è alcun dubbio e le misure di flessibilità ci stanno, ma devono servire ad ammortizzare certi problemi determinati dalla rigidità. Non deve essere introdotta la rigidità del libero licenziamento”.

Quella sul salario minimo, però, non sembra esattamente un cavallo di battaglia del Pd. Anche dentro il partito c’è chi oppone resistenza?
“Sono convinto che sia un’esigenza avvertita non solo da me. A questo serve il dibattito: a introdurre elementi di ragionamento. Così come penso che sia ora di affrontare il tema della riduzione dell’orario, della redistribuzione del lavoro verso i giovani, anche collegandolo ad un salario integrativo di base. Condivido molto quello che sta facendo Letta in questi mesi”.

Per esempio?
“Letta ha lavorato molto su alcuni principi identitari del Pd, anche con più coraggio rispetto alla segreteria di Zingaretti. Penso al tema dello Ius Soli, alla dote per 18enni, alla battaglia sul ddl Zan, al tema – posto dalla presidente Cuppi – sulla necessità di rivedere il memorandum con la Libia. Bisogna continuare su questa strada”.

E del Governo Draghi che giudizio dà?
“Il Governo ha fatto due cose importanti: il rafforzamento del piano vaccinale, che ha funzionato, e la definizione in tempi rapidi del Pnrr. Per il resto ci sono posizioni diverse ma è normale che sia così: dobbiamo capire che in questo governo ci sono anche forze a noi alternative. È un governo d’emergenza, presieduto da una personalità di altissimo livello, non il governo politico del centrosinistra. Noi ci stiamo lealmente, ma non possiamo rinunciare alla nostra identità e alle nostre idee”.

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