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    Lucia Annibali a TPI: “Non solo fisica e psicologica, contro le donne esiste un tipo di violenza di cui non si parla”

    Lucia Annibali durante la presentazione dei candidati PD presso la fondazione Sandretto, Torino, 8 febbraio 2018 ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

    Intervista alla deputata di Italia Viva che ha promosso un'iniziativa contro la violenza economica maschile nei confronti delle donne

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 25 Nov. 2019 alle 17:38 Aggiornato il 25 Nov. 2019 alle 17:55

    Lucia Annibali a TPI: “Non solo fisica e psicologica, contro le donne esiste un tipo di violenza di cui non si parla”

    Lucia Annibali, deputata di Italia Viva, ha promosso in occasione della Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne un’iniziativa che riguarda non solo la violenza fisica e quella psicologica, ma soprattutto quella economica. TPI l’ha contattata prima dell’inizio del convegno, intitolato “Violenza economica: dalla prevenzione ai percorsi di autonomia e di libertà“, cui partecipa anche la ministra della Famiglia e delle Pari Opportunità Bonetti. Al centro dell’incontro il tema della violenza economica contro le donne, una forma di abuso che spesso, però, si intreccia con le altre forme di violenza.

    On. Annibali, come mai un’iniziativa sulla violenza economica?

    Come Italia Viva abbiamo scelto questo tema per dare un punto di vista diverso, che uscisse dal racconto usuale della violenza contro le donne. La violenza economica è poco esplorata e poco conosciuta, anche perché è una forma che si mescola ad altri tipi di abusi che colpiscono le donne. Tuttavia è insita nelle dinamiche relazionali e si manifesta in molti aspetti. Ad esempio vietando alla donna di svolgere un’attività lavorativa, impedendo il controllo delle risorse della famiglia, o precludendo la possibilità di accedere a bancomat e carte di credito.

    C’è anche il tema della separazione, con l’occultamento doloso delle risorse e il mancato pagamento degli assegni di mantenimento. Tutte queste forme di violenza economica vengono forse accettate culturalmente perché si pensa che spetti all’uomo gestire la famiglia, ma in realtà possono portare la donna e i suoi figli in condizioni di degrado sociale importante.

    Quali sono le vostre proposte?

    Abbiamo intenzione di promuovere progetti di educazione finanziaria, informazione e vedremo se sarà possibile anche trasformare queste riflessioni in proposte legislative. Oggi consegneremo le nostre riflessioni alla ministra Bonetti, che lancerà sul tema un progetto sperimentale di microcredito di libertà. Inoltre la ministra ha preso l’impegno di destinare 30 milioni ai centri antiviolenza.

    I centri antiviolenza denunciano che la possibilità di usufruire o meno dei fondi varia molto di Regione in Regione. 

    Le risorse vengono stanziate dallo Stato in favore delle Regioni, che in parte le impiegano per politiche su questo tema e in parte le destinano ai centri. Il tema quindi è il passaggio dalle Regioni ai centri, che può essere più o meno diretto. Questo influisce anche, di regione in regione, su quanto effettivamente arrivi ai centri.

    Sul tema del ritardo, invece, ci sono passaggi amministrativi da fare. La ministra però ha preso l’impegno di iniziare a stanziarli a inizio anno, non più a fine anno. Questo potrebbe accelerare questa pratica.

    Lei ha presentato anche una mozione per il contrasto alla violenza di genere, approvata in Parlamento. Cosa può dirci su questo?

    Come l’anno scorso, anche quest’anno ho presentato una mozione sul tema. Il Parlamento deve sempre occuparsi di violenza sulle donne, quindi è importante introdurre questo tema ne dibattito. Quest’anno abbiamo preso atto di un apparato normativo che si è arricchito e che crediamo possa essere soddisfacente, anche se sul codice rosso ritengo ci siano delle criticità da valutare. Ma le norme non bastano da sole, sono tanti gli ambiti su cui bisogna impegnarsi: c’è il tema della formazione, quello della comunicazione, del linguaggio. Quindi abbiamo stilato una serie di impegni che il governo ha accettato, a partire dalle risorse ma anche – ad esempio – la ratifica della convenzione ILO per quanto riguarda le molestie sui luoghi di lavoro.

    Accanto alla violenza economica c’è anche il tema della discriminazione di retribuzione tra uomini e donne. Che legame c’è tra i due temi?

    La violenza si nutre della disparità di potere tra uomini e donne dentro la società, che passa anche da una disparità salariale o di accesso al mondo del lavoro. Servono politiche che possano favorire la parità tra uomo e donna, e anche strumenti di welfare che vadano in questa direzione. Family Act e legge di bilancio sono un primo passo per favorire la conciliazione vita-lavoro.

    Nella lotta alla violenza contro le donne le leggi sono importanti ma molto passa per l’approccio culturale. Se dovesse indicare tre punti fondamentali sui quali agire da questo punto di vista?

    Le norme ci sono ma devono essere anche ben applicate. In questi mesi è stato sollevato spesso il tema dell’alienazione parentale dentro i tribunali. In sede di separazione quindi la violenza deve essere assolutamente tenuta in considerazione, anche per quello che riguarda i diritti di visita ai figli. Ci vuole un’applicazione consapevole.

    Poi c’è il tema della prevenzione, che passa dalle scuole, e in generale l’aspetto culturale su cui bisogna tenere il punto, affinché questo tema non sia ritenuto secondario e le storie siano raccontate in modo corretto.

    Quindi anche nella narrazione giornalistica?

    Sì, perché spesso assistiamo a una spettacolarizzazione della violenza che però non fa bene alle donne. Non sempre restituisce le parole giuste. Penso ad alcuni titoli di giornale, alle espressioni utilizzate che spostano sempre l’attenzione sulla donna, su quello che ha fatto o sulla sua vita personale, intima, mentre si concentrano poco su chi la violenza l’ha commessa.

    Cosa si sente di dire lei alle donne vittime di violenza, fisica, psicologica o economica che sia?

    Di non chiudersi in se stesse e di non sentirsi colpevoli di ciò che stanno vivendo, perché stanno subendo comportamenti sbagliati, reati, che non dipendono da loro. Di chiedere aiuto attraverso gli strumenti che le istituzioni mettono loro a disposizione. Esiste il 1522, il numero nazionale antiviolenza e antistalking, che è un punto di riferimento e uno strumento. E di perseguire sempre una vita vissuta in libertà.

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