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L’ipocrisia di chi condanna i licenziamenti ma è complice di un governo iper-liberista

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Il ministro Orlando è una brava persona, purtroppo, anch’egli non è immune dai principali difetti della politica al tempo di Draghi: incoerenza, ingenuità e mancanza di coraggio. Il 3 settembre del 2016, durante la festa del Fatto alla Versiliana, l’allora ministro della Giustizia Orlando, parlando con Gustavo Zagrebelsky di Europa, pronunciò queste parole:

Oggi noi stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi, sostanzialmente, poteri sovranazionali sono in grado di bypassare completamente le democrazie nazionali. I fatti che si determinano a livello sovranazionale, i soggetti che si sono costituiti a livello sovranazionale spesso non legittimati democraticamente sono in grado di mettere le democrazie di fronte al fatto compiuto. Faccio un esempio. La modifica, devo dire, passata abbastanza sotto silenzio, della Costituzione per quanto riguarda il tema dell’obbligo del pareggio di bilancio, non fu il frutto di una discussione nel Paese. Fu il frutto che a un certo punto la Banca centrale europea, più o meno, ora la brutalizzo, disse: «O mettete questa clausola nella vostra Costituzione o altrimenti chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alle fine del mese».

Sacrosante verità. Poi aggiunse: «devo dire che è una delle scelte di cui mi vergogno di più. Io penso che sia stato un errore approvare quella modifica non tanto per il merito che pure è contestabile, ma per il modo in cui si arrivò a quella modifica di carattere costituzionale».

Per mancanza di coraggio evitò di fare nomi e cognomi. Se avesse avuto fegato oggi non sarebbe ministro. Sì perché fu proprio Draghi uno degli artefici di tale “estorsione istituzionale”. E Orlando lo sa bene. La richiesta di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione, una palla al piede soprattutto in tempi di recessione, quindi anche oggi, fu avanzata tramite una lettera spedita al governo italiano da Trichet, Presidente della BCE, ma controfirmata da Draghi, il quale, poche settimane dopo, ne avrebbe preso il posto. Nella lettera, i due, furono incredibilmente espliciti: «Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio».

In pratica, come disse Orlando, un “potere sovranazionale bypassò completamente una democrazia nazionale” con il ricatto del mancato pagamento degli stipendi. Come ha potuto una persona che sostenne queste tesi accettare di far parte di un governo presieduto da uno dei protagonisti di tale stagione? Meraviglie della poltrona. Non solo, sempre Orlando, ospite dalla Gruber il 12 gennaio scorso, escluse categoricamente un governo con la Lega e quando Stefano Feltri domandò: «e se tale governo fosse un governo Draghi?» Orlando, sicuro di sé, rispose: «anche se venisse Superman». Evidentemente per Orlando Draghi è più che Superman perché un mese dopo giurò come ministro insieme ad illustri esponenti leghisti.

Questo per quel che riguarda l’incoerenza. L’ingenuità l’ha dimostrata, da ministro del Lavoro, quando ha ritenuto buono l’accordo sui licenziamenti tanto da elogiarlo parlando in Parlamento di “frutto del clima di unità”. Ma dove la vede l’unità Orlando? Nel Paese? Nella società? Qua è compatta solo Confindustria che, infatti, ha richiesto a gran voce la fine del blocco dei licenziamenti che di fatto è avvenuta.

E veniamo alla mancanza di coraggio. Oggi un ministro del Lavoro che si rispetti dovrebbe difendere a spada tratta il reddito di cittadinanza; dovrebbe parlare ogni istante della sua giornata di salario minimo; dovrebbe studiare gli esempi virtuosi legati alla socializzazione delle imprese; dovrebbe interessarsi al Civilian Climate Corps del quale si sta discutendo oggi in USA (io lo proposi un anno fa chiamandolo Servizio Civile Ambientale venendo per lo più ignorato) come via moderna di contrasto alla disoccupazione dilagante; dovrebbe dirci dove investire denari per creare posti di lavoro in virtù del fatto che inevitabilmente alcuni impieghi spariranno; soprattutto, dovrebbe ribadire l’importanza dello Stato in una fase di dramma socio-economico ed occupazionale.

Al contrario si limita a frasi di circostanza come quelle pronunciate ieri all’indomani del maxi-licenziamento effettuato dalla GKN, una multinazionale inglese divenuta proprietà di un fondo di investimento straniero. Il dramma del capitalismo finanziario moderno è che non ha un volto. Anche questo dovrebbe denunciare un ministro del Lavoro. Un tempo c’erano i padroni visibili. Oggi la vita di centinaia di milioni di persone – tra cui quelle dei 422 dipendenti della GKN – è appesa alla decisioni di soggetti senza scrupoli, senza volto e senza un indirizzo al quale rivolgersi.

I licenziamenti – come ampiamente sostenuto da questo giornale – sarebbero esplosi in barba alla narrazione della crescita economica sotto Draghi descritta dai trombettieri come un nuovo miracolo italiano. Tutti si indignano a favor di telecamera o chiamando il giornalista amico delle agenzie di stampa.

Per quanto riguarda il caso GKN si è indignato Orlando “modalità inaccettabili”, si è indignato Nardella che ha preteso “una nuova legislazione che ci consenta di intervenire a livello continentale per fermare questo modo selvaggio di fare economia” (avevamo un no-global a Palazzo Vecchio senza saperlo), si è indignato Giani, governatore della Toscana “quanto accaduto è inaccettabile e di una gravità inaudita”.

L’indignazione (ipocrita e non) si diffonderà così come i licenziamenti, temo che in pochi, tuttavia, avranno il coraggio di indicare anche nei conflitti di interesse tra fondi di investimento, banche, istituti finanziari e politica una delle cause che hanno prodotto, e continuano a produrre l’aumento degli squilibri socio-economici a livello mondiale.

Un ministro del lavoro ha il dovere di denunciare le storture del capitalismo moderno scrivendo in fretta e furia norme che limitino lo strapotere di organismi sovranazionali diventati, per ignavia politica, più potenti degli Stati sovrani. Proprio come la BCE di quel Mario Draghi amico dei pezzi grossi dei fondi di investimento nonché rappresentante di un sistema iper-liberista che ritiene che la mano invisibile sia la panacea di tutti i mali. Ma, oggigiorno, la sola cosa invisibile sono le tragedie quotidiane della classe media oltre che i responsabili ed i pavidi collaborazionisti.

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