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Home » Opinioni

Perché il campo larghissimo allargato al centro non è una buona idea (di R. Parodi)

Immagine di copertina
Credit: AGF

Come definire il programma di coalizione componendo divergenze politiche tanto distanti fra loro? Schlein dovrebbe rammentare come e perché occupa il posto che occupa

L’entusiasmo vagamente infantile con il quale Elly Schelin ha salutato la vittoria del campo progressista in Toscana – un risultato ampiamente scontato – mi ha provocato un soprassalto di tenerezza. Ci vuole davvero poco, a volte, per capovolgere il sentimento di chi aveva incassato con rassegnazione le sconfitte, altrettanto scontate, nelle Marche e in Calabria, conquistate a mani basse dalla destra.

Ad onta del crollo dei votanti, ben sotto il 50%, che non preoccupa davvero le prefiche della politica (chi va a votare sa sempre per chi farlo), in Toscana la vittoria per distacco di Giani sul rivale Simoni (con 14 punti percentuali di vantaggio) ha acceso il buonumore della segretaria, che ha scovato la pietra filosofale per battere la destra: allargarsi al centro ed è fatta.

La tenerezza si è trasformata in irritazione ascoltando la segreteria del Pd celebrare il campo largo… allargato ai centristi, entusiasticamente elevato al rango di formula magica per battere la destra nell’ordalia delle politiche 2027, l’unica sfida davvero dirimente per il Paese.

Considerare paradigmatico l’apporto di Matteo Renzi nella sua casa di origine appare un tantino azzardato. La neonata Casa Riformista (diluita nella lista Giani Presidente) del senatore di Rignano all’8,8% dei consensi in Toscana è una non notizia. Si sapeva. I sondaggi nazionali, quelli che contano alle politiche, inchiodano Italia Viva poco sopra il 2% e Azione, dell’amico-rivale Calenda (più rivale che amico, in verità) al 3% e rotti, con Più Europa basculante attorno al 2%. Generosamente il pulviscolo centrista vale in termini di voti il 7-7,5%. Quelli che possono fare la differenza, griderebbero i sostenitori dell’alleanza allargata.

Il sogno di una supercoalizione da Avs ai centristi, conglobando Pd e M5S in teoria avrebbe i numeri per contendere alla destra la vittoria finale. In teoria. Nella realtà la politica reclama spazi diversi da quelli concessi dai numeri puri e semplici. Pretende di sciogliere nodi preliminarmente dirimenti. Per cominciare. Come definire il programma di coalizione componendo divergenze politiche tanto distanti fra loro?

Basterebbero quelle fra democratici e Cinque Stelle per mettere a repentaglio l’accordo futuro. Sulle armi all’Ucraina e il riarmo europeo il Pd vota gioiosamente a favore a Roma e a Bruxelles. Sulla mozione di fiducia alla Commissione Von der Leyen il Movimento si è espresso per il no, il Pd, con due sole astensioni, ha riconfermato la fiducia alla presidente che predica e pratica attivamente il riarmo europeo agitando lo spettro di un inevitabile attacco della Russia.

Seminare nelle opinioni pubbliche paure e disegnare scenari angoscianti (meglio se inventati ad arte) è il classico espediente per guadagnarle alla causa. In Europa le cancellerie principali stanno coltivando questo campo avvelenato e naturalmente il Governo Meloni figura fra i più attivi. Come far ingoiare ai suoi elettori l’allineamento di fatto del Pd alla linea governativa senza provocare una rissa a sinistra e con il M5S?

Ricordo lo sprezzante commento di Renzi a margine della missione umanitaria della Flottila, definita “una regata”. Per Calenda, la mobilitazione di piazza è stata positiva, senonché nei cortei “si gridava ‘Palestina dal fiume al mare’, una radicalizzazione preoccupante”. Prendere una minima porzione per il tutto è l’altro espediente per svilire un evento. Milioni in piazza pacificamente e qualche centinaio di teppisti mascherati ed ecco che le marce Pro-Pal diventano disturbanti e pericolose per i moderati e i riformisti, peculiare specie politica italiana che richiama alla mente il mitico Sarchiapone.

Ancora. L’ossequio ai diktat di Trump (Israele, dazi, minacce assortite ai paesi che non si conformano alla volontà del sultano di Washington) è un altro campo minato sul quale l’alleanza progressista potrebbe saltare in aria prima ancora di prendere forma. La “pace” armata di Gaza, imposta da Trump a Netanyahu è un fragile e traballante involucro esposto a tutte le tempeste. Eppure tutti ad esaltare il presidente Usa, che nel discorso alla Knesset ha elogiato il primo ministro israeliano per aver usato bene le armi fornite dall’America ad Israele. Ossia per aver massacrato decine di migliaia di civili innocenti. Che ne pensano in proposito Renzi&Calenda? Aderiscono al coro encomiastico che vede anche Meloni in prima fila?

Venendo alle patrie miserie, le divergenze sembrano persino più nette. Renzi e Calenda hanno votato convinti contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di Meloni, Piantedosi e Mantovano, indagati (invano a questo punto) per il caso Almasri, il carnefice libico rispedito in patria con tutti gli onori e pure sull’aereo di Stato. Il garantismo peloso dei due ex gemelli si era già espresso nell’appoggio alla riforma meloniana della Giustizia (pur condividendola, Renzi tatticamente si era astenuto). Non proprio un argomento marginale nell’agenda politica.

Lo stesso dicasi per la riforma costituzionale (premierato e autonomia differenziata) osteggiata da Pd, Avs e 5Stelle e approvata da Renzi (che perdette il referendum del 2016 inciampando su una versione più dolce di quella proposta da Meloni) e da Calenda. Come si schiereranno i due Dioscuri centristi allorché si andrà al referendum?

Schlein dovrebbe rammentare come e perché occupa il posto che occupa. Ce l’avevano designata non l’apparato del Pd, che aveva scelto Bonaccini, in odore di renzismo, bensì gli iscritti e i simpatizzanti del partito. Ora sembra che gli umori e gli orientamenti dell’elettorato – di quello superstite e di quello che si vorrebbe riportare alle urne – non contino un fico secco. Si procede per assiomi e per teoremi, al livello della politica di piccolo cabotaggio.

Chi ha deciso di insistere sul campo larghissimo farebbe bene a farsi un giro sui social, dove migliaia di elettori di sinistra si dichiarano indignati e promettono che non riusciranno a votare Renzi e i suoi. Recuperare il voto moderato, ammesso che risulti davvero decisivo, è davvero l’unica strada per mandare a casa Meloni &Co? Non credo. Meglio chiedersi se questa è la proposta elettorale ideale per riportare a votare la sterminata platea degli astensionisti disgustati da una sinistra alle vongole che bascula fra moderatismo e qualche forma (attenuata) di radicalismo, una sinistra ostaggio delle quinte colonne di Renzi che tengono in scacco Schlein e inquinano il dibattito interno del Pd.

Un esempio? Due. La vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, non si accontenta di ricevere con tutti gli onori i neonazisti ucraini e gli oltranzisti ultrareligiosi israeliani. Spara a palle incatenate – in un triste duetto con l’altra Erinni, Elisabetta Gualmini – contro Francesca Albanese, troppo radicale, troppo a sinistra, troppo filopalestinese. Troppo tuto, insomma. Davvero si pensa di battere Meloni contando sugli ex democristiani eredi della destra andreottiana?

La Dc è morta, i democristiani apparentemente godono di ottima salute. Non vorrei che il Pd, prigioniero della deriva centrista, si mettese a flirtare con Forza Italia. I Berlusconi sono stanchi degli estremismi di Meloni e del fanatismo sgangherato di Salvini ostaggio di Vannacci. Non mi stupirei se pensassero ad una conversione al centro per tagliare fuori le ali estreme (a destra e a sinistra) e tentare di governare coma la Dc del terzo Millennio.

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