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    Il sogno spezzato di Silvia Romano, libera e per questo odiata (di R. Pegna)

    Silvia Romano Credits: Facebook

    Egoismo e bigottismo hanno vinto, eppure potevamo imparare da Silvia la parola Libertà

    Di Ruggero Pegna
    Pubblicato il 13 Mag. 2020 alle 19:29

    Silvia Romano, il sogno spezzato dagli haters

    In questi ultimi giorni, la Libertà è, forse, una delle parole più invocate, al centro dei temi più dibattuti. C’è quella di boss capaci di nefandezze e disumanità inenarrabili, condannati a numerosi ergastoli e scarcerati per timore che si potessero infettare col proprio starnuto in celle da 41 bis; c’è il lento ritorno alla libertà di milioni di italiani e non solo, costretti ai domiciliari da un virus dalle origini misteriose; c’è quella degli animali di ogni specie che, appresa la notizia degli umani ai domiciliari, hanno ritrovato il coraggio di scorazzare ovunque, invadendo strade e città.

    Poi, c’è chi alla Libertà, quella che è diritto e conquista di ogni essere umano, è tornato davvero, come la giovanissima Silvia Romano, sequestrata per diciotto mesi dai terroristi jihadisti di al-Shabaab. Infine, c’è la libertà che i social hanno dato a tutti, proprio a tutti, di commentare qualsiasi cosa, sfoggiando competenze che spaziano nell’intero scibile umano; ma anche, purtroppo, di diffondere una gran dose di fakenews e, soprattutto, di dispensare cattiveria e stupidità a costo zero, per nulla frenati da mascherine e dalle sofferenze di questi giorni.

    La libertà di Silvia, giustamente, nelle ultime ore ha preso quasi interamente cronaca e commenti, regalando a tanti, ai più, una felicità che non ha prezzo, che ci riscatta tutti da mille amarezze e che, certamente, ha fatto gioire in cielo chi non ce l’ha fatta a tornare ai propri affetti, sequestrati e morti. Una ragazza di soli 25 anni, laureata in una scuola per mediatori linguistici per la sicurezza e la difesa sociale con una tesi sulla tratta di esseri umani, di per sé una laurea abbastanza insolita e umanamente speciale, decide di lavorare all’estero. Fino a qui, nulla di strano. Sono migliaia i ragazzi italiani che studiano e lavorano ovunque. Decide, però, di farlo da volontaria per Africa Milele Onlus, un’associazione che aiuta i bambini in vari Paesi africani. La storia diventa fiaba. Le sue foto insieme a loro, col viso che esplode in sorrisi contagiosi, non hanno bisogno di commenti; sono una lezione di umanità per chiunque ne abbia ancora un po’ da qualche parte, negli spazi lasciati vuoti da pizze casarecce, abbuffate da lockdown e torte. Una scelta coraggiosa, affascinante e generosa, che per lei rappresenta lavoro, ma anche impegno civile, solidarietà, la sintesi di sogni.

    E’ la fiaba moderna di una piccola principessa bionda, esile e sorridente, circondata non da nani ma da bambini che, grazie a lei, giocano, imparano a leggere, scrivere, a vivere semplicemente come tutti i coetanei più fortunati del mondo. Se ci fosse Leopardi, scriverebbe una nuova poesia. C’è Silvia, ci sono la donzelletta e l’infinito. In pezzi di Paesi abbandonati, dove le griffe sono sostituite dai graffi delle difficoltà quotidiane, dove anche il più elementare dei fabbisogni primari, come cibarsi, giocare o curarsi, è un lusso, la piccola principessa italiana porta la sua istintiva generosità, la sua fanciullesca voglia di fare del bene, di toccare con le sue mani magiche il dolore di tanta gente e trasformarlo in conforto e gesti di affetto. Anche i sorrisi dei bambini che la circondano raccontano da soli, senza bisogno delle didascalie di esperti, quanto quell’amore sia per loro motivo di gioia e speranza, di esultanza.

    La principessa è felice, lo sono tutti, anche le cicogne marabù, che in Africa portano i bambini più colorati e belli. In ogni fiaba che si rispetti, però, ci sono anche i cattivi, che rapiscono la principessa e la rinchiudono in chissà quale prigione. La fiaba non sarebbe tale senza un bel finale. Silvia, dopo diciotto mesi di reclusione e di privazione, è finalmente libera. La principessa buona e dolce torna dalla sua famiglia e, forse, pensa già a nuovi bambini che l’attendono per giocare insieme, mentre il popolo fa festa e canta. Come in ogni fiaba, si potrebbe chiudere con il solito “e vissero felici e contenti”, ma questa volta c’è qualcosa di diverso a guastare la gioia sua e di tanti: il popolo non è tutto felice. In troppi, coloro che non hanno mai conosciuto la vera libertà, quella di essere se stessi, di vivere i propri sogni, ogni oltre scontrino, puro egoismo e bigottismo, sono insorti, liberando miserie umane di cui nessuno aveva bisogno.

    “C’è qualcosa di strano, era sorridente, tranquilla, senza segni sul viso!”. Probabilmente sono le parole meno rozze, tra quelle che ho letto; però, sono anche le più dure a spiegarsi, se a scriverle è una donna, pure membro di una pastorale cattolica. Una tra le tante. Non è stata, infatti, la sola a sfoderare un’acredine ingiustificata e incomprensibile. Ecco, è proprio e anche da donne che non c’era da attendersi questa lapidazione social da far sentire sano anche il più becero maschilista. Chi dovrebbe sapere più di una donna quanto si possa sorridere e soffrire senza mostrarlo, non avere segni sul viso ma averli dentro, apparire tranquille in un tumulto di pensieri e sentimenti? La principessa Silvia è tornata in libertà, la sua libertà, quella che solo lei ha il diritto di vivere come crede e sente, di farla sorridere ed emozionarci. Silvia o Aisha poco cambia. Oltre un nome, un abito e una fede, che ognuno può cambiare a piacimento, spesso inseguendo mode e tendenze, c’è l’immenso e inestimabile valore di una vita. Bentornata Principessa. Il tuo Castello e i bambini che hai aiutato sono in festa, almeno loro tutti felici e contenti!

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