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    Basta polemiche sterili: con o senza pubblico, abbiamo bisogno del Festival di Sanremo

    Di Renzo Di Falco
    Pubblicato il 24 Gen. 2021 alle 16:22 Aggiornato il 24 Gen. 2021 alle 16:31

    1909 contro 11 milioni 477 mila. Posti a sedere del teatro Ariston versus telespettatori medi dell’ultima edizione di Sanremo. Alla fine, banalmente, vince la matematica. Basta davvero anche solo guardare i numeri per trovare una soluzione in questa folle polemica del “lo facciamo o non lo facciamo?” che tiene in ostaggio la realizzazione stessa del Festival un giorno sì e l’altro pure. Perché se è vero che con una pandemia in corso e con le restrizioni che hanno fatto chiudere cinema e teatri in tutta Italia, non sarà possibile vedere il pubblico in platea, è innegabile che cancellare un evento così importante solo per questo è puro autolesionismo.

    Sono anni che sento parlare direttori artistici (e Amadeus rimane uno dei più capaci e lungimiranti passati da quel palco) di centralità della musica, di rilevanza delle canzoni, di liturgia irrinunciabile, e davvero adesso stiamo sprecando tempo e parole ad indignarci se il parterre del teatro dovesse rimanere vuoto? Non mi aspettavo, ma l’indirizzo di parte dell’opinione sembra questo, che fossimo evidentemente così affezionati alle signore impellicciate e in tiro che pagano più di mille euro l’abbonamento per le serate del Festival, e nemmeno che avessimo tanto a cuore di sapere in prima fila i soliti dirigenti televisivi, i conduttori della rete e i loro accompagnatori.

    L’idea della nave da crociera in cui isolare il pubblico dell’Ariston per metterlo in sicurezza dai contagi, mutuata dalla bolla del basket americano, è impraticabile e rischiosa. Quella più intelligente che vorrebbe gli operatori sanitari già vaccinati come ospiti in platea si è già affievolita. Leggo poi di osservazioni deliranti di colleghi radiofonici abitualmente inviati al Festival che lamentano che un Sanremo “Covid”, in una città dei fiori nel pieno dell’emergenza non avrebbe la stessa vitalità quindi “meglio rimandare al 2022”, dicono. Potrei rispondere che non sono mai andato a Sanremo durante il Festival eppure lavoro in radio e ho costantemente a che fare con la musica ma lo seguo ugualmente con grande curiosità e passione.

    Non nego certo quanto sia straniante un’orchestra che suona in uno spazio desolato e un cantante che si esibisce con nessuno davanti: l’impatto visivo è forte ma Sanremo, non dimentichiamolo, è prima di ogni cosa un evento televisivo, che arriva nelle case di tutti, che muove e dà linfa all’industria discografica e che rappresenta il più importante introito pubblicitario per la Rai, che ne ha bisogno per fare investimenti, programmi, palinsesti. Mai come quest’anno però, ne abbiamo bisogno anche noi.

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