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Gli eroi dimenticati: così, a forza di tagli, si è ammalata anche la sanità (di I. Marino)

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L’impoverimento dei bilanci ha causato la riduzione e l’invecchiamento dei medici in servizio. Così si affidano agli specializzandi mansioni per le quali non sono pronti: con danni irreparabili

Tutti ricordiamo le migliaia di persone che dalle finestre di tutta Italia acclamavano i nostri medici e infermieri per la dedizione nel curare i pazienti colpiti dal Covid. Per molte settimane vi furono carenze di materiali, strumenti sanitari e risorse umane. L’Italia come molti altri Paesi occidentali decise di rendere possibile l’esercizio della professione senza attendere l’esame di Stato per avere un maggior numero di medici a disposizione. Si trattava di un esame assolutamente inutile che per fortuna è stato abolito.

Inoltre, vennero affidate maggiori responsabilità a molti medici delle scuole di Specializzazione in Medicina e Chirurgia. La specializzazione è oggi necessaria per esercitare la professione e sino all’emergenza Covid l’ingresso nelle diverse Scuole di Specializzazione in Medicina e Chirurgia era un drammatico imbuto nel quale si arenava il futuro di molti giovani medici. Infatti, una programmazione maldestra prevedeva un numero di posizioni nelle Scuole di Specializzazione molto inferiore al numero annuale di laureati.

L’anno scorso i Ministeri della Salute, dell’Università e dell’Economia hanno aumentato del 32% le posizioni nelle Scuole di Specializzazione riparando un limite della programmazione dello Stato che lasciava molti giovani laureati disoccupati e senza un futuro chiaro. Negli ultimi mesi sono però emersi racconti anche drammatici di maltrattamenti subiti dai nostri specializzandi. Umiliazioni da parte dei colleghi più anziani che dovrebbero essere i loro mentori, non solo dal punto di vista tecnico ma anche nella trasmissione di un aspetto fondamentale per chi vuole essere un medico: l’empatia.

Inoltre, moltissimi specializzandi si lamentano di essere lasciati soli nei turni di guardia in ospedale o addirittura in Pronto Soccorso e di essere costretti a prendere decisioni per le quali non si sentono ancora preparati. Si tratta di accuse gravi che riguardano l’organizzazione del nostro Servizio Sanitario Nazionale, uno dei beni più preziosi del Paese. L’impoverimento del bilancio del Servizio Sanitario Nazionale voluto da tutti i governi italiani negli ultimi venti anni ha determinato una diminuzione del numero dei medici e degli infermieri ed anche un aumento dell’età media di chi lavora in ospedale.

Ecco perché viene chiesto agli specializzandi di svolgere mansioni per le quali non sono ancora pronti. Chi ha la responsabilità della sanità pubblica deve intervenire e con urgenza perché privare per anni un organismo così complesso delle risorse necessarie può danneggiarlo in modo difficile da riparare. C’è però un’accusa avanzata dagli specializzandi che mi ha fatto riflettere in modo diverso. L’accusa è legata al numero di ore, anche 80 alla settimana, che viene richiesto loro di lavorare. Non c’è dubbio che si tratti di orari eccessivi ma il mio pensiero è tornato alla figura del mentore.

Ho avuto uno dei migliori maestri del secolo scorso e certamente ci chiedeva di rimanere in ospedale e in sala operatoria assai più di quanto fosse legale. Spesso entravo in ospedale di domenica e ne uscivo esausto diversi giorni dopo. Ma, a differenza degli specializzandi che giustamente oggi si lamentano, ero soddisfatto e orgoglioso. Perché? Perché ogni sera mi ripetevo: «Anche oggi hai appreso qualcosa di nuovo in questo mestiere» e ne ero felice. Certo servono più fondi e più risorse umane, ma anche mentori diversi.

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