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Don Matteo della Mancia: Salvini ha scambiato i social per la realtà e si è perso per strada la Lega

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Da Capitano a Don Chisciotte, il passo può essere molto breve. C’è un leader politico che dall’inizio della pandemia si rivolge con convinzione a un elettorato quasi inesistente. Lo fa anche a costo di rendersi ridicolo, asserendo di aver scovato il nesso causale tra vaccini e varianti, implorando di non immunizzare i più piccoli perché “non si scherza sulla pelle dei bambini”, manco fossimo a Bibbiano, ergendosi a tutore politico di no mask, no pass, nì vax. Perché Matteo Salvini, da un anno abbondante, sembra aver scambiato la realtà per una puntata di “Fuori dal coro”.

Tutti i sondaggi parlano chiaro: non solo i no vax e i no pass sono una percentuale estremamente minoritaria della popolazione italiana, ma lo sono persino tra gli elettori della Lega. Per non parlare dei leghisti “di palazzo”: il green pass lo vuole Zaia, lo pretende Fedriga, lo sbandiera Solinas. Governatori, amministratori e una foltissima truppa di parlamentari sono stanchi ormai da tempo delle farneticazioni degli oltranzisti alla Borghi. Ma Salvini no: lui mantiene l’ambiguità, liscia il pelo ai complottisti, nonostante questo stia provocando la fuga di numerosi militanti verso altri partiti, il malumore degli imprenditori del Nord, l’imbarazzo costante di buona parte dei suoi, che assieme a Draghi lo costringono a sottomettersi alla disciplina governista.

La strategia dei due forni sembra al momento un’arma scarica: Salvini fa intendere di voler fare come la Meloni ma di non potere, mentre è convinto di avere da perdere a sostenere senza esitazioni una linea chiara su green pass e vaccini. Ma perdere cosa? Dei sondaggi si è detto: il fenomeno no vax è ben più sgonfio di quanto la rappresentazione mediatica, specie quella sui social, lasci intendere. Perché se, in autunno, si arriverà a una copertura vaccinale forse superiore al 90% della popolazione, la copertura dei mass media su ogni singolo strillo complottista è in grado di generare una realtà parallela, in cui sembra che i no vax siano ovunque.

La dinamica è nota a chi abbia anche una minima conoscenza di come funzionano gli algoritmi, le bolle social, nonché i meccanismi di monetizzazione dei media online (ma anche della televisione). Ridicolizzare un no vax porta clic, sentirlo sbraitare in diretta tv fa audience. E allora si assiste alla rassegna stampa quotidiana sul no vax che fa questo, il no vax che fa quello, si fa zapping e ci si imbatte nell’antiscientismo in prima serata su La7.

La sovrarappresentazione del fenomeno è palese, e del resto segue i meccanismi di dilatazione mediatica che riguardano tutto ciò che è polarizzante e divisivo. Si fa un giro sui social e ci si convince che il ritorno del fascismo sia alle porte, si leggono 100 articoli su Salvini e 10 su Letta perché Salvini la spara più grossa e, di conseguenza, porta più visualizzazioni e più ricavi.

Il Capitano non solo conosce bene questi meccanismi, ma ci ha costruito sopra buona parte del suo successo. Sa bene che alzare l’asticella dello scontro, mettere alla berlina l’avversario, sbattere il migrante sulla bacheca, ma anche farsi un selfie con la prima colazione in terrazza, sono potentissime armi di moltiplicazione dei messaggi che portano non solo interazioni su una piattaforma social, ma anche voti.

Del resto proprio in questi giorni le inchieste del Wall Street Journal su Facebook, basate su documenti riservati e interni all’azienda, stanno evidenziando come Mark Zuckerberg abbia puntato deliberatamente sulla monetizzazione dell’indignazione e della rabbia sociale attraverso le modifiche fatte agli algoritmi, specie quella del 2018. Più clic si ottengono, più tempo gli utenti trascorrono su certi post, più aumentano gli introiti, e nulla come i contenuti emotivamente tossici è più utile per raggiungere questi obiettivi. Zuckerberg lo sa, Mario Giordano lo sa, Salvini lo sa.

Ma, come in una distopia tecno-politica alla Black Mirror, nell’ultimo biennio sembra che il leader leghista sia diventato vittima degli stessi strumenti che hanno agevolato la sua scalata e, in una sorta di allucinazione algoritmica, non riesca più a distinguere la realtà dalla sua bacheca Facebook. Perché se è vero che il dibattito pubblico ormai si fa in tv e sui social network, è anche vero che su queste piattaforme, per le dinamiche già analizzate, vi è una palese distorsione del peso reale delle posizioni in campo.

Ecco allora che, forse assuefatto dai meme sul Pd e dai baci della buonanotte elargiti ai suoi follower, Salvini si è convinto che l’esitazione vaccinale in salsa politica paghi elettoralmente, che Borghi porti più voti di Giorgetti, che in fondo i leghisti pronti a incatenarsi per dire no al green pass siano un esercito e che i sondaggi mentono, ma la conta dei like no.

Se poi uno degli avversari televisivi di sempre, Fabio Fazio, decide di dare spazio solo a posizioni scientificamente dimostrate (tradotto: di non invitare no vax nel suo salotto), provando a sottrarsi al teatrino mediatico-pandemico, per il Capitano scegliere la via della ragionevolezza e del calcolo politico diventa ancora più arduo.

Solo che stavolta rischia grosso: la sua aura di invincibilità, dal Paapete in poi, è stata già ampiamente scalfita, Giorgia Meloni è da tempo in corsia di sorpasso, l’ala moderata della Lega può forse tollerare l’estremismo su altri temi, ma non sui vaccini e sulla salute delle persone. Salvini con la sua ambiguità è riuscito a scontentare tutti, persino i no pass che ha sedotto ma infine abbandonato, costretto a piegarsi ai diktat di Draghi. Uno stato confusionale che sta provocando una vera e propria faida all’interno del suo partito.

La fuga dalla Lega da parte di amministratori, consiglieri, militanti, da Nord a Sud, è stata ampiamente documentata negli ultimi giorni da numerosi articoli giornalistici. Anche tra chi della Lega fa ancora parte, sono tanti quelli che si professano palesemente stufi del leader  e che magari sognano di cogliere la palla al balzo, defenestrarlo e trasformare il Carroccio nella forza moderata di centrodestra che l’Italia, al momento, non ha. Forse persino la federazione con Forza Italia, in uno scenario del genere, avrebbe una maggiore coerenza politica.

Magari basterà l’inevitabilità del sostegno a Draghi a immunizzare la Lega dall’allucinazione del Capitano. Che proprio come Don Chisciotte, che imbevuto di romanzi cavallereschi scambia la finzione letteraria per la realtà, sembra talvolta obnubilato dai like, cavalcando la Bestia come fosse Ronzinante.

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