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Home » Opinioni

Ecco perché ai giovani lasceremo in eredità un mondo migliore (di D. De Masi)

Immagine di copertina

Il nostro lascito sarà una società basata molto più sul tempo libero che sul tempo di lavoro. Non è il massimo, ma è senza dubbio meglio del passato

«Stiamo lasciando ai giovani un mondo peggiore di quello che trovammo». Così usano dire molti adulti, con ostentata contrizione, credendo di apparire intelligenti. Ma questo giudizio è totalmente destituito di fondamento: in realtà il mondo in cui ci toccò nascere era di gran lunga peggiore di quello attuale. Quando io sono venuto al mondo (1938) l’Italia era fascista e la sua popolazione era di 43 milioni, quasi tutti fascisti. Gli analfabeti erano il 2 per cento in Lombardia, il 10 per cento nel Lazio e il 32 per cento in Calabria. Poco dopo scoppiò la Seconda guerra mondiale, destinata a durare sei anni. Per due anni le scuole rimasero chiuse e non c’era la Dad. Il paesino dove sono nato, come del resto gran parte dei comuni rurali, a quell’epoca non aveva fognature, né acqua corrente, né luce elettrica. La vita media non superava i cinquant’anni e, per ogni individuo che aveva raggiunto l’età adulta, molti suoi fratelli e coetanei erano già deceduti nell’infanzia: la morte, allora, non era come oggi una faccenda di vecchi. Il 47 per cento dei lavoratori erano addetti all’agricoltura. Il lavoro, duro e bestiale, scandito dalle stagioni e dalle ricorrenze religiose, lungi dall’offrire un ascensore sociale, offriva solo un’esile possibilità di sopravvivenza. Scontata per tutti era la fatalità della malaria e della tubercolosi, l’imprevedibilità dei raccolti, il cinico capriccio delle epidemie. I rapporti sociali erano inaspriti da faide insanabili, incupiti dall’incombere onnivoro della famiglia, del vicinato, del parentado. Poi, dopo la guerra, per passaggi graduali, arrivò la modernità industriale: telefono, radio, antibiotici, Seicento, plastica, penna biro, fotocopiatrice, fabbriche, consumismo, istruzione di massa, lotta di classe. E poi, passato il dopoguerra, ecco la postmodernità: televisione, internet, i-phone, social media, neoliberismo.

S&D

Nell’attuale società postindustriale la produzione di beni immateriali – servizi, informazioni, simboli, valori, estetica – ha conquistato un posto sempre più centrale, spiazzando la produzione di beni materiali. Valori come l’emotività, la creatività, la soggettività, la femminilizzazione, la qualità del lavoro e della vita hanno guadagnato terreno rispetto alla razionalità, alla serialità, alla massificazione della società industriale. Le nuove tecnologie, con la loro pervasività, hanno consentito un salto qualitativo in tutte le discipline e hanno offerto le condizioni per destrutturare il tempo e lo spazio di ogni umana attività. Gli operai hanno via via ceduto il posto ai robot, gli impiegati ai computer, i manager lo stanno cedendo all’intelligenza artificiale. Si è profilata una società basata assai più sul tempo libero che sul tempo di lavoro. Questo lasciamo ai giovani. Certo non è il migliore dei mondi possibili ma senza dubbio è il migliore dei mondi esistiti finora. Negarlo è frutto di imperdonabile, infantile ignoranza.

Uno scenario seducente

Ogni scenario futuribile, in qualunque tempo e luogo venga elaborato, presenta luci e ombre, prevede progressi e minacce. Quali sono gli aspetti positivi dello scenario che oggi prospettiamo ai giovani? Come già ho scritto in questo settimanale, con l’ingegneria genetica vinceremo molte malattie oggi incurabili. La vita media continuerà ad allungarsi e presto la popolazione mondiale sarà un miliardo più di oggi: non solo un miliardo di bocche, ma anche un miliardo di cervelli, sempre più istruiti e interconnessi. Comunque vadano la guerra in Ucraina e i rapporti tra i blocchi geopolitici, l’Unione europea resterà l’area socio-economica più grande del mondo, con la migliore qualità della vita. Per la legge di Moore, entro una decina d’anni la potenza di un microprocessore sarà centinaia di miliardi di volte superiore a quella attuale; con l’intelligenza artificiale eviteremo molto lavoro intellettuale; con le stampanti 3D costruiremo in casa molti oggetti; con le nanotecnologie essi si relazioneranno tra loro e con noi. La “nuvola” informatica sta trasformando il mondo intero in un’unica agorà: possiamo tele-apprendere, tele-lavorare, tele-amare, tele-divertirci. Tuttavia l’invadenza delle tecnologie non riuscirà ad intaccare il monopolio degli esseri umani in materia di creatività, estetica, etica, collaborazione, pensiero critico e problem solving. Secondo Keynes basterà lavorare 15 ore la settimana; il resto del tempo sarà dedicato alla cura del corpo, allo svago, alla cultura e alla creatività. Le donne saranno sempre più al centro del sistema sociale e i valori “femminili” (estetica, soggettività, emotività, flessibilità) colonizzeranno anche gli uomini. Come la società industriale è stata più onesta e trasparente di quella rurale, così la società postindustriale sarà più onesta e trasparente di quella industriale. Dunque, chi vorrà avere successo, sarà costretto a comportarsi in modo più onesto di quanto occorra oggigiorno. Difficile capire in che cosa questo probabile scenario in cui vivranno i miei nipoti ventenni sia peggiore di quello in cui io nacqui nel 1938.

Tre minacce

Certo non mancano alcune minacciose previsioni allarmanti. Nei prossimi anni le sfide maggiori verranno dalla crisi ambientale, dalle disuguaglianze sociali e dalla competizione nucleare. Secondo i teorici della decrescita, già oggi l’equilibrio ecologico risulta ampiamente compromesso. Deforestazione e gas serra minacciano l’atmosfera e fanno aumentare il calore del pianeta. Duecento milioni di persone rischiano di emigrare per motivi climatici. Dunque occorre azionare una retromarcia economica capace di ridurre e modificare i livelli di consumo senza intaccare i livelli di felicità. Ai giovani toccherà vincere questa sfida che ha come posta in gioco l’equilibrio della natura.

Abbiamo imparato a produrre sempre più ricchezza ma siamo sempre meno capaci di distribuirla. Se oggi il Pil del pianeta fosse distribuito in parti uguali a tutti i suoi 7,7 miliardi di viventi, ciascuno di essi disporrebbe di 17.800 dollari l’anno e non ci sarebbero analfabeti privi di scuole, malati privi di ospedali, cittadini privi di abitazioni, bambini privi di nutrimento. È vero che, nel mondo, le persone in estrema povertà (cioè che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno) rappresentavano il 43 per cento del totale nel 1981 e oggi si attestano sul 9,2 per cento, ma esse sono appena lo 0,3 per cento in Europa e addirittura il 32 per cento in Africa. I 10 miliardari più ricchi del mondo hanno un patrimonio netto pari a quello dei 3 miliardi di esseri umani più poveri. Il Pil pro capite di un abitante del Principato di Monaco, è di 185.829 dollari, 712 volte maggiore del Pil di un abitante del Burundi che arriva appena a 261 dollari. In tempi di crisi, la distribuzione iniqua della ricchezza, lungi dall’attenuarsi, si accentua. Nei primi due anni di pandemia i miliardari nel mondo sono passati da 2.095 a 2.668 (un miliardario ogni 26 ore). In Italia i cittadini in povertà assoluta sono 5,6 milioni, pari al 9,4 per cento del totale. Durante la crisi 2008-2018, i 6 milioni di italiani più ricchi hanno visto crescere il loro patrimonio del 72 per cento; i 6 milioni più poveri lo hanno visto decrescere del 63 per cento e il grosso della popolazione, la classe media, lo ha visto calare del 15 per cento.

Se la quota di Pil destinata a remunerare il capitale finanziario continuerà a crescere, la ricchezza si accentrerà ulteriormente, con disastrose conseguenze economiche, ecologiche e sociali. Così pure, se il lavoro esecutivo non verrà ridistribuito, la disoccupazione aumenterà e un numero crescente di Neet (Not engaged in Education, Employment or Training, cioè persone non attive in istruzione, in lavoro o in formazione) sarà costretto a consumare senza produrre. Ne deriverà una riduzione dei consumi e un aumento dei conflitti sociali. Sarà sempre più necessario e complesso ridistribuire la ricchezza, il lavoro, il sapere, il potere, le opportunità e le tutele. Ai giovani toccherà vincere questa sfida, l’equilibrio dell’economia.

Secondo la Federation of American Scientist, la Russia possiede 5.977 armi nucleari; gli Stati Uniti ne posseggono 5.428; la Cina 350. Altre 950 testate sono tenute da sei paesi (Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord). Mille e ottocento testate sono poste in stato permanente di “massima allerta operativa”. Si tenga conto che la bomba russa “Big Ivan” ha una potenza 3.125 volte superiore alla bomba “Little Boy” che, sganciata su Hiroscima nel 1945, causò 140.000 morti in un solo colpo. Dunque la “Big Ivan”, da sola, può distruggere Italia e Austria in pochi minuti. Basterebbero 600 bombe atomiche delle 12.725 già disponibili, per causare l’estinzione dell’intera specie umana, compresa la sua letteratura, la sua scienza, la sua arte, i suoi usi e i suoi consumi. Ai giovani toccherà l’impresa di smantellare definitivamente gli arsenali nucleari e destinare le spese per gli armamenti a servizi di pace, salute e crescita culturale.

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