L’ozio e il valore del tempo nell’era della velocità e dell’efficienza
Vivere hobby e nuove esperienze come se fossero dei compiti da consegnare entro una scadenza rischia di ridurli a un mero obbligo sociale
Il tempo è forse una di quelle cose di cui comprendiamo il valore nel momento in cui non vogliamo dedicare nemmeno un istante a spiegare cosa sia. Diceva in fondo Charles Baudelaire che l’unico modo per dimenticarlo, il tempo, era impiegarlo, così come Sant’Agostino diceva che sapeva cosa fosse finché qualcuno non gli chiedesse di spiegarlo: in quel momento non lo sapeva più.
Sembra quasi che intorno al tempo, al suo valore e alla sua definizione vi sia, più che una difficoltà nell’esporne il significato, un tabù. Forse perché rappresenta una di quelle cose che una volta passate, fruttuosamente o meno, non ci verranno in alcun modo possibile ridate indietro. Nella società di oggi, in cui tutto è rapido e bastano pochi click per scoprire chi fosse Carneade, per farsi un’opinione su chi votare alle prossime elezioni o per capire se la persona che compare sull’app possa essere o meno la nostra anima gemella, il tempo è diventato qualcosa che va “ottimizzato”, piegato anch’esso a una delle parole che spesso accompagnano la vita moderna.
Si possono velocizzare le operazioni così da aumentare la produzione, concentrarla in meno tempo ed avere anche più tempo libero, ma il paradosso odierno è che anche il tempo libero va “ottimizzato” e reso performativo: fare corsi, esperienze, coltivare un hobby sono talvolta incasellati come delle “task” di un sistema di gestione aziendale. Prendersi del tempo per oziare, che non vuol dire essere pigri ma dedicarsi al riposo come dilettarsi in qualsiasi attività fuori da una ferrea organizzazione gestionale, diventa qualcosa di cui quasi dobbiamo giustificarci nell’epoca in cui anche il tempo libero è inserito in uno schema produttivo.
Non è un caso che questo momento storico è segnato anche da due forme di fenomeni di stress e strettamente legati alla gestione del tempo e dei compiti, una legata al lavoro – il burnout – e una ai momenti liberi – la Fomo, “fear of missing out”. Se la prima è legata a numerosi fattori che mettono in luce un rapporto col lavoro spesso malato, ma la seconda mostra come anche il tempo libero sia ormai qualcosa visto in un’ottica performativa, fatta di esperienze da vivere e obiettivi da realizzare, e la paura di restare fuori, essere esclusi o non riuscire a stare dietro a tutto si trasforma in un’ansia sociale.
Ma per quanto vivere esperienze sia meraviglioso, per quanto imparare e coltivare hobby anche, vivere tutto come se fossero dei compiti da consegnare entro una scadenza rischia di ridurli a un mero obbligo sociale. E sembra impossibile solo da pensare, nella società del tutto e subito, ciò che racconta Italo Calvino nelle sue Lezioni americane riguardo Chuang-Tzu, che chiese al re una villa con dodici servitori e cinque anni di tempo, prorogati a dieci, per disegnare un granchio. Lo realizzò poi in un istante, con un solo gesto, dopo dieci anni in cui non lo aveva nemmeno abbozzato, ma ne venne fuori il granchio più perfetto che si fosse mai visto.