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Michele Santoro AnnoZero: Sabelli Fioretti racconta il ritorno dell’uomo che ha fatto la storia della tv

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

I giornali e le televisioni della destra ci si sono buttati a pesce. Non gli pareva vero. Santoro che sdogana Berlusconi. Libero titola: “Via Silvio, la giustizia è esplosa”. TgCom24: “Santoro: La statura di Berlusconi è fuori discussione”. Il giornale: “Ecco la svolta di Santoro: Così rivaluta il cav”. Il Secolo d’Italia: “Santoro fa il pentito: Berlusconi con la mafia non c’entra”.

L’occasione è il giro delle sette chiese che Michele Santoro sta facendo per parlare del suo ultimo libro, “Nient’altro che la verità”. Va a La7 per parlare male della Rai. Alle reti Mediaset per sdoganare Berlusconi. Perfino a Porta a Porta dal suo storico nemico Bruno Vespa. Insomma un ritorno alla grande, che riesce a far parlare come ai vecchi tempi, che lo pone al centro dell’attenzione nonostante il Covid che non si sa se scende o se sale, nonostante Draghi infastidito da Salvini, nonostante Salvini infastidito da Giorgia Meloni.

Ed io corro a rileggermi l’intervista che Michele mi dette i primi giorni di giugno del 2003, nella hall di un grande albergo di Rimini. Il bello di questo esercizio dell’andare a rileggere le vecchie interviste, oltre a vellicare il proprio ego (ma quanto erano belle le mie interviste! Quanto ero bravo!) sta nel controllare i cambiamenti. Oggi scopriamo un Santoro narciso, molto attento a stare al centro della scena, molto pieno di sé.

Era così anche venti anni or sono? Sì, era così, ma molto di più. Era chiarissima allora la grande considerazione che aveva di sé. Intendiamoci, aveva ragione. C’erano mille motivi per le quali Michele poteva considerarsi soddisfatto della sua carriera. E quindi non c’era da meravigliarsi se raccontava episodi della sua vita che lo vedevano primeggiare. Era passato un anno esatto dall’editto bulgaro, quella piccola frasetta con la quale Berlusconi aveva chiesto (ed ottenuto) che Agostino Saccà allontanasse Biagi, Luttazzi e Santoro dalla Rai colpevoli di aver fatto “uso criminoso della tv pubblica”.

Io sono sempre stato convinto che a Michele quella scomunica non dispiacesse affatto perché ai grandi come lui (“uno che ha peso televisivo, che oggi fa ascolto anche stando zitto”) una sola cosa dispiace, essere ignorato. E Berlusconi non lo ignorava, anzi lo temeva. Glielo chiesi subito. Michele, provi fastidio? “Fastidio no. Rabbia tanta. Mi chiedo se ho fatto bene a fare quello che ho fatto. Se ho fatto bene a cantare Bella Ciao”. Sì, perché per protestare contro l’editto bulgaro, qualche giorno prima, Michele aveva cantato, a cappella, Bella Ciao. Era Sciuscià, erano le nove a cinque, era Rai 2. Roba da orticaria per i megadirigenti della Rai.

Pentito Michele? “No, però non è stata capita fino in fondo. Come capita quando si fa un gesto di tipo artistico. Era una sorta di riflessione con me stesso, una canzone strozzata, afona, stonata”. Tanto stonata, commentai impietoso, anche perché la performance, più che un gesto di tipo artistico, mi era sembrata piuttosto di tipo modesto. “Sarei capace di meglio. Ma la drammaticità di quel gesto consisteva nel fatto di essere eccessivo”.

Ecco, ebbi l’impressione che quell’aggettivo, applicato a se stesso, piacesse molto a Michele Santoro. Eccessivo. Come era sempre stato nella sua vita, come gli era sempre piaciuto essere. Tutto, pur di non essere ignorato. Lo capivo. Anche io ero così. Nel mio piccolo. No, essere ignorato è una cosa tremenda. Non lo avevano ignorato nemmeno da giovanotto. Gli avevo detto: ti hanno cacciato dal liceo perché avevi rigato la macchina di una professoressa. “Ero il più turbolento e mi attribuivano qualsiasi malefatta. Ma non ho rigato nessuna macchina”.

Eri anarchico anche a casa? “Mio padre ferroviere ha fatto laureare cinque figli. Per lui era insopportabile il mio atteggiamento ribelle. Avevamo grandissimi litigi, ma eravamo molto legati”. Se giocassi al piccolo psicologo potrei osare: c’era già in nuce lo scontro Berlusconi-Santoro? Ma non oso. L’intervista continuò dando la possibilità a Michele di raccontare quanto fosse popolare nella sua città, Salerno. Era un anarchico puro, un disordinato. Ma “ero un capo vero, avevo legioni di fan”. Fino all’autocelebrazione esagerata: “Ai miei esami di maturità vennero ad assistere centinaia di persone”. Bum. Comunque non fu un bello spettacolo. Promosso ma con il minimo dei voti.

E poi, manco a dirlo, era uno sciupafemmine. “Avevo il massimo delle visibilità, ero di moda, era facile avere tutte le donne che volevo. Come succede ai fenomeni popolari, ai cantanti, agli attori”. Diceva queste cose venti anni fa. Altri tempi. E meno male. Oggi, con il Ddl Zan, secondo i salviniani, rischierebbe la galera. Ma lui è fatto così, tutto pur di non essere ignorato. Come me, ve l’ho detto. Solo che nessuno veniva ad assistere ai miei esami e le donne non mi correvano dietro. Politicamente era un anarchico ma nel ’68 finì in Servire il popolo, il movimento maoista italiano di Aldo Brandirali.

Chi non ha la nostra età ha tutto il diritto, forse anche il dovere, di ignorare chi fosse Aldo Brandirali. Era uno che celebrava i matrimoni del popolo, bruciava i libri sgraditi ai maoisti, andava all’aeroporto a ricevere i leader cinesi. Non faceva proprio per Santoro. E infatti, dopo essere stato cacciato dal liceo, fu cacciato anche dai maoisti. Non fu una grande sconfitta politica considerato il fatto che Aldo Brandirali, un vero mito dell’estremissima sinistra italiana (ai suoi raduni gli adepti urlavano “Stalin-Mao-Brandi-rali”) finì prima nella Dc e poi addirittura in Forza Italia.

Per Michele Santoro non restò che il Pci. “Parlai ad un congresso davanti ad Occhetto. Ebbi un grosso successo, standing ovation”. Ma nel Pci di allora non era salutare avere un grosso successo. Fu punito, trasferito a Napoli a non fare niente. Ma poteva Santoro non fare niente? Cominciò a fare il giornalista e siccome era bravo e arrivista divenne in breve il direttore della Voce della Campania. Sempre borderline. Ed infatti fu cacciato. Ma finì nella Rai. Nel Tg3 comunista. E poi cominciò a fare le sue trasmissioni. Samarcanda. Rosso e nero. Tempo reale. La lunga strada verso l’apoteosi.

Nelle sue redazioni era considerato un tipo autoritario. Lo chiamavano Santorescu. Quando glielo ricordo non nega. “Nelle mie redazioni ho dovuto dirigere e ho diretto, certo, e forse talvolta l’ho fatto in maniera un po’ autoritaria”. Se lo ricorda Gloria De Antoni scappata dalla sua redazione piangendo. Mentre rileggo l’intervista mi imbatto nella domanda regina: che cosa pensi dei voltagabbana? Allora sembrava una domanda provocatoria. Che cosa poteva pensare uno dei più “duri e puri” in circolazione?

Eppure… Eppure mi risponde: “Non sono così severo”. Perché? Perché la gente ha mille giustificazioni. Per esempio per andarsene dal Pci, per esempio per andarsene dalla Rai. “Quando io lavoravo a Mediaset mi facevano sentire un re. A Mediaset coccolano le loro star, le vezzeggiano. In Rai nessuno coccola nessuno”. E’ questo il punto. Le star hanno bisogno di coccole. Michele lo confessa senza problemi. Anche gli adulatori gli piacciono perché – dice – l’adulazione non è un fenomeno del tutto negativo. Gli adulatori aiutano a vivere nei momenti di difficoltà. “Quando qualcuno ti dice ‘come sei bello, come sei intelligente, come sei forte’, anche se sai che mente, sei contento. E’ piacevole subire il lavoro di un bravo adulatore”. Come lo capisco. A chi non piace essere adulato? A chi dispiacciono le coccole? Senza scherzi, lo dico sul serio.

E poi il discorso finisce su Mediaset, su quella audace decisione di andare a lavorare nella televisione del suo nemico. Momenti di tensione? “Ero la prova della loro indipendenza ed imparzialità”. E quindi? “Momenti di tensione non posso negarlo ci furono. Quando facevo le trasmissioni su Dell’Utri le tensioni c’erano”. Altri tempi.

Oggi Michele Santoro quando parla di Marcello Dell’Utri è per spiegare che non c’entra nulla con le stragi mafiose. Lo ha capito parlando con il mafioso Maurizio Avola, quello che ha ammazzato ottanta persone.

PS: A chi non piace essere adulato? Ditemelo sinceramente: vi è piaciuto questo articolo? Ma non ditemelo se non vi è piaciuto. Anche a me piace essere coccolato (clsabelli@tin.it).

Leggi anche: Totò Cuffaro: “Oggi vendo fichi d’india e voglio rifondare la Democrazia Cristiana”

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