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Pensieri per Roma e il suo futuro (di Monica Cirinnà)

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Se non fosse stato per te, Roma mia, non sarei nemmeno nata.

Furono le Olimpiadi del 1960 – una scommessa vinta, che ti riportò al centro del mondo, democratica capitale di pace, dopo gli orrori del fascismo e della guerra – a far innamorare mio padre, giovane radiocronista RAI siciliano, della voce di mia madre, chiamata per sbaglio al telefono. Non si lasciarono più, e non ti lasciarono, scegliendoti come culla per la loro famiglia.

Parto da qui, da una doppia storia d’amore: quella tra i miei genitori, e quella tra me e la mia città, per rivolgermi a Roma e alle persone che la abitano. Alle loro solitudini, alla loro stanchezza, alla loro disillusione e rabbia. Ma anche alla voglia di ribellarsi e rinascere, che sento forte in tutte e tutti coloro che sto incontrando in queste settimane.

Un grande Sindaco come Petroselli diceva che può governare Roma solo chi la ama. Senza essere Petroselli, sono convinta anche io di questo.

Sono convinta, in modo particolare, che amministrare una città significhi soprattutto averne cura. Così ho interpretato il mio ruolo di consigliera comunale, nei vent’anni in cui ho avuto l’onore di rappresentare le romane e i romani collaborando con le giunte Rutelli e Veltroni – anni di rinascita e speranza – e opponendomi con forza ai disastri della giunta Alemanno. Così ho interpretato il mio ruolo di delegata per i diritti degli animali, come segno di attenzione e cura verso i viventi non umani e leva fondamentale nella tutela della biodiversità. Roma è una città unica nel suo genere: la capitale più verde d’Europa, ricca di vita, e deve ritrovare nella biodiversità una fonte di benessere per l’intera comunità cittadina.

E così voglio vivere questa avventura che sta iniziando, a partire dalla prima forma di cura, che è l’ascolto. Voglio ascoltare le romane e i romani, fare un viaggio nella città, costruire occasioni di incontro, confronto, relazione. Perché questa avventura la si può vivere soltanto insieme, facendo squadra con le migliori energie. E perché per ricucire il tessuto sociale di questa città c’è bisogno anzitutto di una grande mobilitazione democratica che conduca alle primarie. Il risultato romano del referendum parla chiaro: le periferie hanno voluto dare una lezione alla classe politica da cui non si sentono più rappresentate.

I cittadini vogliono parlare, proporre, confrontarsi. Hanno bisogno di essere ascoltati, di sentirsi partecipi di un processo comune di ricostruzione della città. E questo può avvenire solo con le primarie, larghe e partecipate. Un progetto di centrosinistra per Roma che coinvolga tutte quelle forze che costituiscono il tessuto civico e politico vivo della città non potrà che essere costruito così, dal basso. C’è un popolo disperso e deluso che aspetta soltanto un luogo per ritrovarsi. E questo luogo si chiama partecipazione democratica, a partire dalle primarie.

Amministrare una grande città significa avere cura di luoghi e persone al tempo stesso.

Avere cura dei luoghi e delle persone significa investire sulla manutenzione, in modo serio e ragionato. Cura delle strade, che non può significare stendere pochi centimetri di asfalto “elettorale” su un fondo dissestato. Cura del verde, che significa superare paure, timidezze e immobilismi e avviare una riflessione seria sulla sorte drammatica del sistema di gestione del verde pubblico, e cioè su chi, concretamente, deve occuparsene.

Cura dei trasporti pubblici, in termini di efficienza, ma anche di gestione degli spazi di attesa dei mezzi: luoghi in cui le romane e i romani passano molte ore della loro giornata, e che non possono essere abbandonati al degrado. Accanto alla manutenzione, occorre ripensare le infrastrutture per renderle in grado di sostenere fenomeni atmosferici estremi, ormai all’ordine del giorno, a testimonianza di una vera e propria emergenza climatica.

Cura degli edifici senza consumare altro suolo, ma concentrandosi sulla riqualificazione dell’esistente. Questo a partire dall’edilizia abitativa popolare, con un grande piano di messa in sicurezza, efficientamento energetico, ripristino di condizioni dignitose di vita. Esiste un diritto alla bellezza, anche a Roma: un diritto a spazi adeguati a vivere bene, a spazi belli, in cui anche il cuore possa sentirsi a casa.

Avere cura dei luoghi e delle persone significa poi occuparsi di lavoro e sviluppo. Roma è stata abbandonata, negli ultimi anni, da numerose aziende, anche multinazionali. Al tempo stesso, però, continua a formare eccellenze, anche grazie al contributo prezioso delle moltissime università che hanno sede in città. Bisogna tornare a costruire sinergie tra l’amministrazione e il sistema della formazione, investire sulla ricerca e sullo sviluppo, e così creare lavoro. Con un’attenzione particolare al lavoro delle donne. E’ moltissimo quello che una amministrazione attenta può fare per consentire alle donne di conciliare tempo di vita e lavoro: è ora di ricominciare ad avere cura anche di questo.

Avere cura dei luoghi e delle persone significa ripensare gli spazi, la loro funzionalità e la loro bellezza – che a Roma non è una variabile senza peso – senza dimenticare che si tratta di spazi abitati, destinati a far incontrare le persone, farle stare bene nella costruzione di relazioni che colmano il vuoto della solitudine. Luoghi curati rafforzano i legami di solidarietà. Politiche sociali attente alle marginalità e alle solitudini devono trovare spazi idonei per essere attuate quotidianamente.

Questo vale sia per il centro sia per le periferie. Non esiste un dualismo conflittuale tra questi due luoghi. Esiste piuttosto il dovere di colmare la distanza, di rimettere gli spazi in dialogo tra loro.

Le periferie non sono però soltanto luoghi fisici, territoriali. Esistono periferie sociali, culturali, educative. Esistono periferie dell’anima, frutto delle mille precarietà di questo tempo, compresa quella esistenziale. Periferie e precarietà che non hanno luoghi in cui trovare riscatto. Quel riscatto che può venire soltanto dalla ricostruzione di un tessuto sociale fatto di relazioni, di solidarietà concreta, di prossimità, incontri e anche sorrisi. A Roma, tutto questo resiste solo grazie a esperienze di cooperazione nate dal basso, troppo spesso nell’indifferenza – o addirittura nell’ostilità – delle amministrazioni. Un patrimonio prezioso, ma sciupato, che un’amministrazione intesa come cura dovrà scegliere di valorizzare con coraggio e decisione, anzitutto concedendo spazi.

Avere cura di Roma e di chi la abita significa infine avere una visione e dunque il coraggio di rimettere Roma al centro dei grandi processi storici e politici di questo tempo. Una città aperta e inclusiva, accogliente per tutte e tutti. La città dei diritti e dell’eguaglianza, una comunità che sappia trarre ricchezza e valore dalle differenze e dalle tante comunità e sensibilità che la abitano. Da quelle straniere, a quella LGBT+, a quelle religiose, alla grande comunità di chi crea e fa cultura, a tutto il vasto mondo del volontariato e della solidarietà.

Nei prossimi anni, avremo molte opportunità di crescita e sviluppo. Penso soprattutto ai fondi che arriveranno, dall’Europa, nell’ambito del Recovery Fund e penso al Giubileo del 2025. Due occasioni che non possiamo permetterci di sciupare. Per questo, come ho già dichiarato, mi auguro che tutte le forze politiche romane, indipendentemente dal risultato delle elezioni, sappiano fare fronte comune per Roma, essere protagoniste nella costruzione di progetti all’avanguardia, che rilancino la città.

A 150 anni dalla breccia di Porta Pia, la sfida è di nuovo quella di essere capitale, punto di riferimento nel paese. Con la testa in Europa e i piedi nel Mediterraneo, Roma – crocevia di culture ed esperienze – potrà davvero fare la differenza, in Italia e nel mondo.

Leggi anche: Così hanno ucciso il centro di Roma (di Giulio Gambino) 

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