La nuova era dell’energia (di G. Gambino)
La sfida della transizione non consiste solo nel produrre energia pulita, ma nel farlo dentro un sistema capace di sostenerla. Per questo è essenziale tenere insieme sviluppo e realismo, ambizione e fattibilità, interesse locale e interesse nazionale
Nel prossimo decennio le politiche di contrasto al cambiamento climatico e la trasformazione digitale che sta ridisegnando l’economia globale imporranno una brusca accelerazione dell’elettrificazione. Non è una previsione: è una certezza, una dinamica strutturale, già in atto, che sta ridefinendo il modo in cui produciamo, consumiamo e distribuiamo energia.
La corsa all’intelligenza artificiale e la crescita dei data center – infrastrutture energivore per definizione – si sommano alla progressiva sostituzione dei combustibili fossili con sistemi elettrici più puliti. La domanda complessiva aumenterà, e in tempi rapidi.
Fuori da ogni retorica, questo significa riconoscere che la transizione energetica, se vuole essere credibile e non solo proclamata, deve misurarsi con due variabili: l’impennata della domanda e i limiti dell’offerta. Perché la sostenibilità non è soltanto ridurre le emissioni, ma farlo garantendo che l’energia resti accessibile, sicura, affidabile e disponibile per tutti. Il rischio, altrimenti, è creare un sistema “a due velocità” in cui la transizione diventa un privilegio per pochi.
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, da qui al 2035 la domanda globale di elettricità crescerà di circa il 40%. È un ordine di grandezza che impone scelte immediate. In Italia, le rinnovabili saranno il motore principale di questo processo: il Pniec prevede che si passi dall’attuale 41,5% al 63,4% dei consumi elettrici entro il 2030. Ma la capacità installata, da sola, non basta. Pannelli fotovoltaici e pale eoliche non sono utili se l’energia prodotta non può essere trasportata e distribuita in modo efficiente. È un punto spesso sottovalutato nel dibattito pubblico, eppure decisivo. Le reti elettriche – quelle che oggi abbiamo e quelle che servirà costruire – sono il vero collo di bottiglia della transizione.
Terna ha programmato interventi strategici lungo le dorsali tirrenica e adriatica e il potenziamento delle interconnessioni con l’estero. Sono investimenti costosi, complessi e spesso contestati. E tuttavia sono imprescindibili se vogliamo sostenere la mobilità elettrica, integrare le fonti rinnovabili, bilanciare la produzione intermittente e garantire continuità di servizio.
Tra le opere chiave c’è il Tyrrhenian Link: 970 chilometri di cavo sottomarino, una potenza da 1.000 MW e un valore strategico che va ben oltre la sua dimensione tecnologica. Collegherà Sicilia, Sardegna e Campania entro il 2028, contribuendo a un sistema nazionale più integrato e più resiliente. In Sardegna – l’unica regione italiana non metanizzata e ancora in parte alimentata a carbone – l’opera incontra resistenze, concentrate soprattutto nei comitati territoriali che temono un impatto sproporzionato e il rischio di trasformare l’isola nella «ciabatta d’Italia».
Le battaglie ambientaliste sono preziose: spingono la politica a non accontentarsi, correggono le distorsioni, pongono limiti necessari. Ma affinché siano davvero efficaci devono basarsi su informazioni corrette, evitando derive isolazioniste che, nel lungo periodo, danneggiano proprio i territori che vorrebbero difendere. L’energia non è un bene locale, ma un’infrastruttura nazionale ed europea: la sicurezza di un’area dipende dall’equilibrio dell’intero sistema.
A dirlo non sono solo le istituzioni: come ricorda il professor Maurizio Delfanti del Politecnico di Milano, una parte del dibattito sardo è stata condizionata da una campagna informativa frammentata e talvolta fuorviante, che ha alimentato paure non sempre fondate. Il Tyrrhenian Link, al contrario, ha una doppia utilità: rafforza l’interconnessione tra le aree che producono più energia rinnovabile (il Sud) e quelle che ne consumano di più (il Nord), e accelera la decarbonizzazione delle due isole maggiori. È un tassello di un mosaico più ampio, in cui infrastrutture, rinnovabili, reti intelligenti e accumuli energetici devono procedere insieme.
La sfida della transizione non consiste solo nel produrre energia pulita, ma nel farlo dentro un sistema capace di sostenerla. Per questo è essenziale tenere insieme sviluppo e realismo, ambizione e fattibilità, interesse locale e interesse nazionale. La crisi climatica non concede alibi né scorciatoie. Richiede scelte difficili, spesso impopolari, ma non rinviabili. Perché senza una rete solida, moderna e interconnessa, la migliore delle transizioni resterebbe un’illusione. Una promessa (finora) incompiuta.