Come ti smonto le 5 obiezioni allo Ius Scholae
La cittadinanza ai minori stranieri che hanno completato un ciclo di studi in Italia garantirebbe anche maggior sicurezza nei nostri quartieri. Ecco perché le argomentazioni di chi si oppone non reggono
Nelle scuole italiane si contano 914.860 alunni (dati 2022/2023) con cittadinanza non italiana: sono circa il 12% del totale. Il 65,4% di loro sono nati in Italia e 300mila hanno già frequentato l’intero primo ciclo in Italia. Solo il 15,5% delle scuole italiane non registra la presenza di alunni di origine straniera. La domanda dunque è: qual è la differenza fra un undicenne italiano che ha concluso la scuola primaria in una classe italiana e un undicenne spesso nato in Italia che parimenti ha concluso la scuola primaria in una classe italiana, ma non ha i documenti col timbro di Roma?
Se consideriamo la scuola un’istituzione capace di svolgere le funzioni assegnate e non entriamo nelle singole vicende personali (che segnano differenze naturali a prescindere dal colore del passaporto) la risposta non può che essere: nessuna differenza in termini di formazione, senso civico e percezione della propria identità sociale e culturale. La domanda da farci quindi non è «perché introdurre lo Ius Scholae nella legislazione italiana?», ma perché non farlo. A meno che non si ritenga che gli insegnanti non siano in grado di fare il loro lavoro, ma a questo punto il problema non sarebbe lo Ius Scholae, ma la scuola in quanto tale: un problema enorme per tutti i 7,2 milioni di studenti che la frequentano, italiani o stranieri che siano.
Sono sostanzialmente cinque le argomentazioni cardine del fronte di chi si oppone alla proposta. La prima è che nel nostro ordinamento i minori stranieri godono degli stessi diritti dei minori italiani. Vorrei ben vedere che non lo fosse per i diritti umani. Ma se si parla di quelli civili, non è affatto così. Agli studenti stranieri è riservato un trattamento differenziato rispetto agli italiani proprio in ragione della mancanza di cittadinanza. Ad esempio, a parità di condizioni, gli studenti stranieri hanno meno possibilità di fare esperienze di studio all’estero rispetto agli italiani.
La seconda argomentazione è che la cittadinanza non è uno strumento per integrare, ma l’approdo finale di un percorso di integrazione. Peccato che lo Ius Scholae preveda proprio questo: un percorso educativo e formativo al termine del quale poter accedere alla cittadinanza.
La terza obiezione è una domanda retorica: «Siamo sicuri che basti un riferimento formale per fare un buon cittadino italiano?». No, non siamo sicuri, come non lo siamo per gli alunni italiani. E comunque si potrebbe facilmente ribaltare la domanda: perché l’ottenimento della cittadinanza dovrebbe essere d’impedimento per essere un buon cittadino?
Quarta argomentazione, spesso usata da esponenti della destra, la Lega in primis: «Ci sono stranieri senza cittadinanza pienamente integrati e stranieri con la cittadinanza che non si integreranno mai perché non si riconoscono nei principi e nei valori del nostro Paese». Ammesso che sia così, ne consegue che la legge in vigore che il vicepremier Matteo Salvini ritiene intoccabile produce insicurezza, visto che ci sono «stranieri con la cittadinanza che non si integreranno mai». Un buon motivo per cambiare la norma, no?
Ultimo punto. «Spesso sono preponderanti i valori trasmessi dalla famiglia, più che dalla scuola», dicono i contrari. Il riferimento è a quella minoranza di famiglie radicalizzate che applicano la legge islamica in Italia. Il fenomeno esiste e va monitorato in primis per difendere i diritti di donne e bambini. Ma ancora una volta non si comprende perché l’apertura di una via “formativa” alla cittadinanza debba acuire i rischi di islamizzazione piuttosto che contenerli. Il buon senso dice esattamente il contrario: lo Ius Scholae può essere uno strumento di sicurezza e inclusione dal grandissimo potenziale.
È da queste riflessione che Vita ha promosso il Manifesto del Terzo settore per lo Ius Scholae, già sottoscritto da oltre 60 organizzazioni sociali di primo, secondo e terzo livello. Realtà che spesso hanno a che fare direttamente con i migranti, le loro famiglie e conoscono i nodi da sciogliere affinché si creino le condizioni per assicurare una buona convivenza e quindi maggiore sicurezza nei quartieri e nelle comunità anche a vantaggio di tutti i cittadini italiani.