La guerra a Gaza di Israele alimenta violenza e tensioni
L’azione militare dello Stato ebraico, rimasta per anni impunita, è oggi una delle cause principali del ritorno del terrorismo antisemita e dell’acuirsi della radicalizzazione
“The conflict in Gaza continued to have a major impact on the terrorist threat in the Eu”. Scriveva così l’Europol nel suo rapporto annuale del 2024. L’attentato avvenuto davanti alla Sinagoga di Manchester era nell’aria. Come sono purtroppo nell’aria altri attentati che potrebbero colpire l’Europa nei prossimi giorni, mesi, anni. È scritto già da almeno un anno, nero su bianco, nel rapporto annuale della polizia europea che parla chiaro: la guerra a Gaza ha acuito i conflitti e la radicalizzazione di chi già covava sentimenti di odio e vendetta.
Sia chiaro, l’antisemitismo è ancestrale. Ad esempio l’estrema destra ha storicamente sempre preso di mira “i banchieri ebrei” sulla base delle trite e ritrite teorie del complotto che hanno spesso colpito George Soros e personaggi simili. D’altra parte, l’estrema sinistra ha sempre accusato Israele di essere uno Stato coloniale in Palestina e ha sempre espresso insofferenza politica per il suo legame speciale con l’Occidente: si chiama antisionismo (che non è uguale all’antisemitismo).
Negli ultimi mesi però, agli estremi, sono emersi nuovi atteggiamenti nei confronti di Israele: ad esempio oggi l’estrema destra è divisa. Per alcuni Israele è addirittura diventato un alleato, baluardo dell’Occidente contro i “terzomondisti” e contro l’Islam. L’estrema sinistra invece resta fortemente antisionista.
Nelle piazze abbiamo sentito parole forti come “nazismo” o “From the river to the sea” ma nella maggior parte dei casi si è comunque sempre limitata a esprimere solidarietà verso la causa palestinese in chiave anti-imperialista (anche questo è antisionismo e non per forza antisemitismo).
Che poi nell’estrema destra e nell’estrema sinistra, così come nel mondo anarchico e suprematista vi siano anche degli antisemiti è certamente vero. Il rischio che le due cose si sovrappongano c’è e va arginato in ogni modo, ma oggi non è questo che preoccupa di più. Le diverse fasi del conflitto arabo-israeliano sono infatti sempre state vettori di mobilitazione politica in Europa.
Dopo il 7 ottobre però c’è qualcosa di nuovo. I dati del Cdec raccolti in Italia sul fenomeno ci dicono che gli episodi di antisemitismo sono cresciuti enormemente. Si evidenzia “non solo una crescita in termini assoluti, ma anche una modificazione nelle forme: all’antisemitismo tradizionale, di matrice complottista e ideologica, si è affiancato un antisemitismo strettamente connesso al conflitto israelo-palestinese, caratterizzato da un picco di episodi legati alla guerra e veicolati prevalentemente attraverso i social media”.
A essersi radicalizzate sono le persone comuni che a vari livelli esprimono frustrazione e intolleranza per quella che è vista come una prepotenza di Israele nei confronti dei civili palestinesi.
Ciò non significa che siamo tutti potenziali terroristi. Significa però che il silenzio dei governi occidentali e di alcuni media, la polarizzazione forzata del dibattito e la censura del dissenso legittimo e pacifico in questi due anni stanno dando i loro terribili frutti.
Che piaccia o no, l’Occidente ha un problema: l’azione militare di Israele, rimasta per anni impunita, è oggi una delle cause principali del ritorno del terrorismo antisemita e dell’acuirsi della radicalizzazione.
Ripeto per evitare equivoci: la violenza va sempre condannata e il terrorismo combattuto in nome dei principi democratici. E però non basta più prendersela coi Pro-pal o coi suprematisti bianchi. La radicalizzazione dilaga tra la gente comune. Gli ebrei vanno protetti, ma per farlo non serve continuare a puntare il dito. Piuttosto, un esame di coscienza collettivo non guasterebbe.