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    Processo George Floyd: da oggi non è più utopia che un poliziotto finisca in carcere per aver ucciso un afroamericano

    Proteste per la morte di George Floyd Credits: ANSA

    A processo insieme all'ex agente Derek Chauvin ci sono 400 anni di razzismo sistemico negli Usa

    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 21 Apr. 2021 alle 16:58

    Il processo contro Derek Chauvin, il poliziotto accusato di aver ucciso George Floyd il 26 maggio 2020 a Minneapolis, si è concluso con una condanna per tutti i capi d’imputazione (omicidio di secondo grado, omicidio di terzo grado, omicidio preterintenzionale) e il rischio di carcere fino a 40 anni. La sentenza verrà letta entro otto settimane e fino ad allora Chauvin rimarrà in custodia. Mesi e mesi di proteste in tutto il mondo hanno fatto sì che la giustizia prevalesse. Il 20 aprile 2021 rimarrà una data storica negli Stati Uniti: d’ora in poi pensare ad un poliziotto che finisce in carcere per aver ucciso un afroamericano non sarà più un’utopia.

    Perché il processo a Derek Chauvin è così importante

    Il processo per la morte di George Floyd ha infatti una valenza fortemente simbolica e sociale: rappresenta tutti quei processi che non si sono mai tenuti dopo la morte ingiusta di un afroamericano vittima della violenza di una parte della polizia. Questo è un fenomeno consistente, che dura da decenni e che accade tuttora.

    Secondo un’inchiesta del New York Times, che ha analizzato decine di casi di agenti che hanno ucciso o ferito dei sospettati, in passato i processi che si sono conclusi con una condanna sono molto pochi (soltanto un terzo dei casi giudicati). In realtà, la maggior parte delle volte non si arriva nemmeno a processo perché i procuratori – che di solito si considerano parte delle forze dell’ordine – si rifiutano di incriminare. E così, dal 2013 al 2019, il 99 per cento delle uccisioni compiute da agenti in servizio non hanno avuto ripercussioni penali.

    Il processo contro Chauvin ha avuto un esito diverso per tre motivi: il video come prova inequivocabile del soffocamento di Floyd, l’indignazione pubblica e la nuova forza del movimento Black Lives Matter scatenate dall’accaduto e, terzo punto, perché stavolta – caso unico nella storia – tra i 45 testimoni c’erano anche molti agenti che hanno criticato le azioni dell’imputato durante il processo. In più, il fatto che a capo della Polizia di Minneapolis ci fosse per la prima volta un afroamericano, Medaria Arradondo, che ha da subito definito omicidio l’uccisione di George Floyd, ha sicuramente influito (il 77 per cento delle forze di polizia è ancora oggi rappresentato da bianchi).

    Cosa potrebbe cambiare nella polizia statunitense

    Nelle ultime settimane i commentatori statunitensi si sono chiesti se un’eventuale condanna potrebbe favorire una riforma della condotta della polizia. Molti credono di sì, perché una pena severa contro Chauvin farebbe capire agli agenti di tutto il Paese che gli atteggiamenti estremamente aggressivi nei confronti dei sospettati non sono tollerabili. Inoltre la condanna potrebbe spingere i procuratori di altre città a incriminare i poliziotti che commettono abusi, facendo cadere così quello che viene definito il “blue wall of silence”, ovvero il velo di omertà che avvolge e forze dell’ordine.

    La paura della tensione sociale

    Per la decisione della giuria c’era molta attesa, non solo a Minneapolis ma in tutto il paese, soprattutto per la paura di conseguenti tensioni sociali.  Il 20 aprile Tim Walz, il governatore del Minnesota, aveva rafforzato le misure di sicurezza, chiedendo aiuto all’Ohio e al Nebraska. Lo scorso anno, quando più di mille edifici erano stati danneggiati durante le proteste per la morte di Floyd, Walz era stato molto criticato per come aveva gestito la situazione. In città la tensione è cresciuta dopo che l’11 aprile Daunte Wright, un nero di vent’anni disarmato, è stato ucciso da una poliziotta dopo un fermo stradale. Secondo le ricostruzioni della polizia, l’agente avrebbe estratto la pistola invece del taser. Centinaia di persone sono scese in piazza per giorni, e si sono scontrate con la polizia in assetto antisommossa. Negli stessi giorni è stato reso pubblico un video in cui si vede un agente sparare e uccidere a Chicago, il 29 marzo, Adam Toledo, 13 anni: nuove proteste contro la violenza della polizia sono immediatamente scoppiate in molte città. Secondo le ricostruzioni, l’agente ha sparato quando Toledo aveva le mani in alto.

    Ma per capire le preoccupazioni per quello che rischiava di accadere, bisogna andare ancora più indietro nel tempo e risalire a ciò che successe nel 1992 con la rivolta di Los Angels. Ci furono una serie di sommosse a sfondo razziale scoppiate dopo l’assoluzione di quattro agenti del Dipartimento di polizia di Los Angeles (LAPD) per l’uso eccessivo della forza nell’arresto e nel pestaggio di Rodney King, che era stato registrato e ampiamente visto nelle trasmissioni televisive. Durante i disordini si verificarono saccheggi, aggressioni, incendi dolosi e omicidi, e le stime dei danni alle proprietà superarono il miliardo di dollari. Con la polizia locale sopraffatta nel controllare la situazione, l’allora governatore della California Pete Wilson schierò la Guardia Nazionale californiana, e il presidente George H. W. Bush inviò la 7th Infantry Division e la 1st Marine Division. È per precedenti come questo che l’intero Paese è pronto allo scoppio di una bomba sociale nel caso di condanna lieve o di assoluzione di Chauvin tra 8 settimane. 

    La condanna

    Derek Chauvin rischia fino a 40 anni di carcere, dicevamo. Questo perché nel sistema americano si può essere condannati per più capi d’accusa legati allo stesso atto, ma le pene non si sommano. Ovvero la pena massima che Chauvin può subire è la più grave prevista per i reati per i quali è stato ritenuto colpevole. Per arrivare a 40 anni però devono essere prese in considerazione tutte le aggravanti (le recidività, la violenza intenzionale, eccetera). In assenza di questi elementi, le linee guida del Minnesota suggeriscono per questi reati una condanna a 12 anni e mezzo.  L’accusa ha chiesto una pena più dura, motivata dall’abuso di potere e dalla crudeltà del gesto. Probabilmente Chauvin sarà condannato a una pena tra i 15 e i 20 anni. Gli altri agenti implicati, invece, saranno processati in estate.

    Da battere ci sono 400 anni di razzismo

    Naturalmente, una cosa è la sentenza sul caso Floyd e un’altra è il cambiamento del sistema: la morte di Floyd si inserisce come un tassello di un ampio fenomeno che ha radici profonde nella storia e nella cultura degli Stati Uniti. La verità è che a processo non c’è solo l’ex poliziotto Derek Chauvin, ma 400 anni di razzismo sistemico e segregazione che hanno permesso, e permettono ancora, alla società statunitense di ritenere che la vita di una persona afroamericana abbia meno valore. Ed è proprio questa mentalità che ha consentito a Chauvin di soffocare Floyd con una terribile forza e anaffettività per quegli interminabili 9 minuti e 29 secondi. Ecco perché questo processo è un punto chiave per la storia americana.

    Leggi anche: 1. Essere un nero in America è ancora una sentenza di morte / 2. Derek Chauvin, cosa sappiamo sul poliziotto che ha ucciso l’afroamericano George Floyd / 3. Chicago, dove si spara ogni due ore e ci sono due morti al giorno: il reportage di TPI

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