La Flottilla ha smascherato il doppio standard dell’Occidente
La spedizione pro-Pal ha suscitato un’ondata di sostegno e simpatia popolare che non si ricordava dai tempi del Vietnam. È un movimento di massa spontaneo, generato dal basso, sorto dallo sdegno per le azioni criminali del Governo israeliano e alimentato dal disinteresse dei governi dell’Occidente
La vicenda non del tutto conclusa della Sumud Flotilla ha innescato un feroce confronto fra chi ne sostiene le ragioni, umanitarie e – perché no? – anche politiche e chi ne irride gli scopi, denigrandola e degradandola ad operazione propagandistica (Giorgia Meloni), le augura di essere affondata al completo (Mario Sechi) e, addirittura, la sospetta di essere stata finanziata da Hamas. Come se i superstiti dell’organizzazione terroristica che porta la colpa del 7 Ottobre, ridotti a larve braccate e uccise dall’Idf, potessero permettersi di appoggiare una missione navale internazionale di solidarietà al popolo palestinese ridotto alla carestia e oggetto di sterminio nella Striscia di Gaza.
Tutto vale in una “guerra” senza regole e naturalmente il Governo italiano di Meloni si distingue per il protervo cinismo attraverso il quale ha tentato prima di impedire la spedizione in mare, poi di svilirla e sabotarla con ridicole promesse di fantasiose alternative (“Gli aiuti scaricateli nel porto israeliano di Ashdodt”) – con la garanzia che sarebbero stati recapitati ai palestinesi, purché non contenessero zucchero, marmellata e biscotti in quanto cibi nutrienti e dunque negati alla popolazione – infine di trovare le ragioni politiche (“Vogliono attaccare il Governo”) per abbandonare i volontari nelle mani degli israeliani, specialisti nel modellare le regole del diritto internazionale secondo le proprie convenienze. O come nel caso presente, di calpestale brutalmente, certi dell’impunità garantita dal Grande Fratello americano e dal codazzo della servitù europea a corredo.
Il livello di manipolazione della verità ha toccato i massimi storici, adagiandosi su canoni ormai abituali da parte di governi ottusamente convinti di plasmare a piacimento le opinioni pubbliche grazie al supporto di una informazione mediamente piegata ad interessi diversi, dunque scaduta a pura propaganda al servizio della verità unica.
Difatti il vicepremier e ministro degli Esteri italiano, non un passante in preda ai fumi dell’alcol, può indecentemente dichiarare, una decina di giorni fa, che i volontari della Flotilla navigano a proprio rischio e pericolo, in qualità di privati cittadini, e dunque il Governo del loro Paese non è tenuto a garantirne la sicurezza. Buono a sapersi. Se dunque parto volontario per il Sudan travolto dalla guerra civile e vengo sequestrato da una banda di ribelli, devo mettere in conto che il mio Governo mi abbandonerà perché “me la sono andata a cercare”.
A spedizione pressoché neutralizzata, il medesimo Antonio Tajani, invero balbettante e confuso, ospite di quel sacerdote della informazione di governo che risponde al nome di Bruno Vespa, a domanda del giornalista Antonio Polito se il blocco navale israeliano fosse legittimo, risponde che “il diritto è importante ma fino a un certo punto”. Quel punto ovviamente lo stabiliscono gli israeliani. Con i soldati armati e i poliziotti in assetto antiguerriglia che hanno abbordato i navigli carichi di cibo e viveri, completamente disarmati, dopo averli bombardati con fumogeni acidi, bombe d’acqua e altro materiale stordente, arrestati e ammanettati gli equipaggi, condotti in caserme e quindi, presumibilmente in carcere e infine, si spera, espulsi dal Paese senza altre conseguenze. Bel paradigma di un Paese definito l’unica democrazia del Medio Oriente.
Precisato che sequestrare navigli non ostili, battenti bandiere di decine di nazioni diverse, con 450 marinai di 456 nazionalità, costituisce senza alcun margine di dubbio un atto di pirateria, se l’operazione viene realizzata ad oltre 100 miglia nautiche dalla costa, peraltro di Gaza, che non è territorio israeliano, bensì, finora, palestinese, rimane sul tappeto tutta intera la questione politica.
La spedizione aveva dichiaratamente un valore anzitutto simbolico, di concreta solidarietà agli affamati, di ribellione e di condanna del genocidio in corso a Gaza. Qualche centinaio di tonnellate di cibo e medicine, una goccia nel mare per i due milioni di affamati di Gaza. Quel gesto tuttavia aveva e conserva, a dispetto dell’epilogo peraltro ampiamente previsto, un enorme valore politico. È il grido universale contro la spietata azione illegittima di un Paese che si è vendicato dell’atto di terrorismo subito il 7 ottobre 2023, varando un piano sterminio dell’intera etnia palestinese della Striscia, ritenuta apoditticamente responsabile di quel crimine. Cosa che avvicina orrendamente la tempesta di piombo e fiamme che da quasi due anni investe e polverizza nel sangue indiscriminatamente l’intera popolazione di Gaza (le vittime sono a 65mila, stima prudenziale, probabilmente due volte tante, l’80% delle quali stimate essere civili che nulla hanno a che fare con Hamas) alle operazioni di rappresaglia e di pulizia etnica che le SS hitleriane avevano realizzato in Europa col pretesto di imporre la superiorità della razza ariana sulle altre popolazioni inferiori.
Nessun ebreo può ignorare questo sinistro, orrendo parallelismo storico che interroga le coscienze di tutti. O dovrebbe farlo.
La questione Flotilla ha anche un altro aspetto se possibile persino più rilevante dell’importantissimo gesto di riaffermazione dell’Umanitarismo che contiene in sé. Ha suscitato una enorme mobilitazione di piazza, un’ondata di sostegno e simpatia popolare che non si ricordava dai tempi delle oceaniche manifestazioni contro la guerra usa in Vietnam.
Scavalcati gli ostacoli ideologici, spazzati via gli steccati partitici, milioni di persone di ogni ceto ed estrazione sociale ed orientamento politico, in Italia e a macchia d’olio nel mondo, sono scese in piazza per protestare prima contro il genocidio a Gaza e ora a sostegno delle ragioni della spedizione umanitaria della Flotilla.
È un movimento di massa spontaneo, generato dal basso, senza padri né padroni, sorto e cresciuto esponenzialmente dallo sdegno e dal disgusto per le azioni criminali del Governo israeliano e alimentato dal disinteresse sempre più evidente da parte dei governi dell’Occidente, docilmente piegati ai progetti di pulizia etnica sventolati dalla destra ultrareligiosa di Tel Aviv. Un progetto conclamato di sterminio, coperto politicamente da Trump.
Viceversa, gli stessi governi che si proclamano custodi delle tradizioni democratiche europee si mostrano febbrilmente occupati a fabbricare un nemico, la Russia, che giustifichi il dissennato progetto di riarmo in vista di una guerra annunciata dalle cancellerie (da Berlino a Londra passando per Parigi e Roma) ogni giorno come inevitabile e sempre più vicina.
Se Gaza è l’orrore allo stato puro, la guerra è l’inganno perfetto ai dannai dei 400 milioni di abitanti del Vecchio Continente. Se le democrazie in decomposizione di un’Europa che sta recitando il proprio de profundis non sapranno intercettare l’ondata di sdegno popolare che sale dalle piazze e non è destinata a placarsi; se in Italia i partiti autodefiniti progressisti assisteranno muti e inerti a questa formidabile metamorfosi della politica dal basso, anche la vicenda Flotilla resterà a livello di testimonianza: nobile, necessaria e civilmente degna. Ma testimonianza.
Se al contrario, come è augurabile, il movimento spontaneo delle piazze troverà un coagulo e una sintesi politica nel finora indistinto campo progressista, allora per Meloni si apriranno tempi durissimi. Non le basteranno, per rilegittimarsi agli occhi degli italiani, le ben calibrate invettive (formidabile nella sua volgarità l’ultima contro lo sciopero generale di venerdì: “La rivoluzione non va d’accordo col weekend lungo”). Cadranno nel ridicolo le roboanti promesse tipo: “Non pagheremo un euro per il rimpatrio degli attivisti della Flotilla”. Fin troppo facile ricordarle l’aereo di stato gentilmente offerto all’aguzzino libico Almasri per liberarcene ed evitare contenzioni scabrosi con la Libia. E le accoglienze trionfali all’ergastolano Chicco Forti, accolto da Giorgia come un capo di Stato.
Il doppio standard, etico e politico della destra alle vongole che governa l’Italia, ora va alla prova degli umori popolari. Gli spazi di manovra, i trucchi dialettici e gli espedienti di cui Meloni si serve magistralmente finiscono all’angolo. La politica nuova che sorge dalle piazze li sta smascherando plasticamente, mentre conquista i cuori della gente. Non tutta, purtroppo: la lettura dei commenti sul social è agghiacciante, segnala un popolo di malvagi ignoranti. Ma anche quella è bieca propaganda.
La premier è una politica sperimentata, ha già annusato l’aria cattiva e studia le contromisure. Tocca alla sinistra (parola grossa…) smontare le sue false narrazioni e metterla di fronte alle proprie responsabilità. Auspicabilmente rinunciando a reclutare Matteo Renzi: l’ex rottamatore ha derubricato la Flotilla a “regata”, adagiandosi come la destra nella rassicurante culla del piano di pace di Trump, redatto con Netanyahu. Se venisse accettato, come auspica Meloni e non solo lei in Europa, decreterebbe la fine del popolo palestinese e dello Stato di Palestina.