La finanza di domani genera valore condiviso: dare forma a una nuova economia non si può rimandare (di S. Granata)
Sono passati dieci anni dall’adozione dell’Agenda 2030, il piano globale sottoscritto da 193 Paesi nel 2015 con l’obiettivo di porre fine a povertà e fame, combattere le disuguaglianze, proteggere il pianeta e garantire pace e benessere per tutte e tutti. Eppure, le azioni messe in campo finora per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), così come i risultati ottenuti, restano ancora sensibilmente insufficienti.
Il panorama internazionale mostra quanto tutti i Paesi siano in netto ritardo sulla maggior parte dei target, con un’attuale implementazione pari a solo il 17% degli obiettivi. Da una parte, l’intensità degli eventi climatici estremi, così come i danni da essi provocati anche in termini di perdita di produzione agricola, peggioramento della salute, migrazioni e crisi economiche, dall’altro, invece, si osserva una situazione sempre più tesa dal punto di vista geopolitico con tensioni crescenti tra Stati.
Il Rapporto 2024 sul finanziamento allo sviluppo sostenibile fotografa una situazione critica: per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) sono necessari 4,2 trilioni di dollari all’anno rispetto ai 2,5 trilioni stimati prima della pandemia. Un importo la cui portata appare solo finché non si considera che questa cifra rappresenta meno del 2% del PIL globale.
Tuttavia, il divario tra le risorse disponibili e quelle necessarie – il cosiddetto “SDG financial gap” – resta drammatico e si aggrava ulteriormente nei Paesi a basso reddito, dove il peso del debito pubblico, alimentato anche dagli effetti della crisi climatica, sottrae risorse vitali a istruzione, salute, inclusione sociale e transizione ecologica.
Anche nel nostro Paese si osserva una riduzione degli investimenti pubblici nei servizi essenziali e una crescente difficoltà a mobilitare risorse per politiche redistributive, rigenerazione urbana o infrastrutture sostenibili. In questo contesto, affidarsi unicamente al settore pubblico non è più realistico: serve una strategia nuova, capace di attivare capitali privati in modo intenzionale e misurabile, a beneficio di comunità, ambiente e coesione sociale.
La finanza ricopre un ruolo decisivo nei processi di creazione di valore economico, sociale e ambientale. Di fronte a disuguaglianze crescenti e al degrado ambientale, non bastano interventi simbolici, ma serve intervenire con riforme chiare e profonde che incentivino il settore finanziario a investire nell’economia reale con una visione di lungo periodo, ponendo al centro la creazione di valore condiviso, positivo e misurabile.
Proprio per rispondere a questa esigenza, Social Impact Agenda per l’Italia promuove lo sviluppo di un modello di finanza a impatto: uno strumento concreto per orientare i capitali privati verso progetti che generano impatto sociale e ambientale positivo, oltreché un risultato evidente anche sul piano economico.
A differenza della filantropia tradizionale o delle politiche ESG superficiali, inadeguate a coprire in modo efficace i bisogni delle comunità e dei territori, la finanza a impatto si fonda su tre pilastri: intenzionalità, addizionalità e misurabilità. I suoi strumenti consentono infatti di ripensare il meccanismo economico di generazione del valore e di integrare al solo valore finanziario quello ambientale e sociale.
Rispetto alla finanza tradizionale, dunque, la finanza a impatto è in grado di procurare rendimenti interessanti e competitivi sul mercato generando, allo stesso tempo, anche un impatto positivo sul pianeta. L’investitore non solo accetta un eventuale rendimento inferiore al mercato, ma lo fa con la volontà esplicita di generare valore per la collettività, verificandone gli effetti con metriche trasparenti e condivise.
In Italia, pur con dimensioni ancora contenute rispetto ad altri contesti europei, questo settore è in crescita: nel 2022, il valore complessivo degli asset gestiti da operatori con finalità d’impatto ha superato i 12 miliardi di euro. La sfida di fronte alla quale ci troviamo consiste nel fare in modo che questo approccio non resti confinato in nicchie virtuose, ma diventi parte integrante delle strategie di sviluppo a livello sistemico.
La finanza a impatto può intervenire in settori chiave in cui il nostro Paese appare ancora indietro nell’attuazione dell’Agenda 2030, in ambiti quali la salute, istruzione, energia rinnovabile, edilizia sociale, coesione territoriale. La finanza a impatto può sostenere lo sviluppo di strutture sanitarie territoriali, investendo in modelli di sanità integrata e comunitaria; contribuire a contrastare la dispersione scolastica finanziando progetti innovativi come scuole inclusive, doposcuola comunitari, o percorsi di formazione professionalizzante. Nel settore dell’energia e della transizione ecologica, può supportare comunità energetiche rinnovabili, agricoltura rigenerativa e interventi di efficientamento energetico nelle scuole e negli edifici pubblici, e può facilitare la creazione di modelli abitativi accessibili, sostenibili e integrati, con ritorni misurabili sia in termini economici che di impatto sociale. In tutti questi campi, già oggi esistono soluzioni e attori pronti a intervenire, ma ciò che ancora manca è una strategia nazionale capace di integrare questi strumenti in una visione d’insieme, con obiettivi chiari e una governance che premi l’efficacia e la trasparenza. In assenza di questo passaggio, anche gli investimenti più promettenti rischiano di restare iniziative isolate e deboli,
incapaci di incidere su scala sistemica.
Affinché la finanza a impatto diventi davvero una leva strutturale, occorre costruire un ecosistema basato su metriche condivise, politiche pubblici a sostegno degli investimenti a impatto e una governance integrata in linea con l’Agenda 2030. Ma serve soprattutto una regia istituzionale che riconosca l’impatto come criterio guida nella programmazione economica del Paese, a partire dal PNRR, dai fondi europei e dalla Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile. È necessaria un’alleanza reale e strutturata tra pubblico, privato e società civile, fondata sulla co-progettazione, la fiducia reciproca e una cultura condivisa dell’impatto. Nessuno di questi attori può dirsi in grado di affrontare da solo la complessità delle sfide sociali e ambientali di oggi e di domani.
La finanza a impatto non rappresenta un’utopia economica, ma una strategia realistica, già attiva e in crescita, che può generare valore per la collettività. In Social Impact Agenda per l’Italia crediamo sia il momento di integrarla pienamente nelle politiche pubbliche per colmare il divario tra promesse e risultati dell’Agenda 2030 e costruire un’economia più equa, resiliente e generativa.