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Nell’anno pre elettorale ci sarà spazio per chi immagina una società diversa?

Immagine di copertina
Città del Messico. Credit: EPA/Jorge Nunez

L’anno prima delle elezioni è molto strano. O meglio è un anno in cui tutto sembra essere finalizzato a capitalizzare consenso, che lo sia effettivamente o meno, e così tremarelle, fibrillazioni, mal di pancia e annunci sono visti solo come pretattica in vista del voto.

Se poi aggiungiamo che siamo di fronte a un governo anomalo, guidato da un supertecnico e in cui la quasi totalità dei maggiori partiti del Paese ha almeno un ministro, questo anno diventa ancora più surreale. Vivremmo poi in un altro mondo se non aggiungessimo alle anomalie il fattore degli eventi sanitari e bellici che mai avremmo pensato fino a poco più d’un paio d’anni fa e che stanno sconvolgendo il mondo, e che rendono l’operato dell’esecutivo ancora più legato alla gestione emergenziale, con i margini di manovra dei protagonisti della scena pubblica ancora più ridotti.

Eppure questo strano anno elettorale ne potrebbe avere di cose da dire. Non solo perché la crisi economica scaturita dai drammi e dalle emergenze vissute ha scatenato un disagio sociale diffuso che deve assolutamente essere gestito: affrontarlo, infatti, rientra anche questo tra le emergenze di questo periodo, ma affrontarlo solo come tale rischierebbe di metterlo semplicemente nella lista delle questioni urgenti, prendendo provvedimenti che per quanto efficaci rischiano di non essere strutturali e di far riproporre il problema. E parte di questo disagio non aspetta solo provvedimenti d’emergenza, ma un intervento che vada a toccare più profondamente la nostra società.

Non si tratta solo di famiglie che hanno perso il lavoro, di prezzi che crescono. C’è una presa di coscienza sempre più grande di una serie di storture della società, di un lavoro la cui dimensione non sempre sembra essere umana e di persone che, magari passivamente, rifiutano tutto questo. C’è una grande richiesta, che pur se silenziosa sta facendo rumore, di ridisegnare la società in cui viviamo. E’ una richiesta sollevata da tutti coloro che lasciano un lavoro, ne rifiutano uno nuovo, si stabiliscono in luoghi più a misura della vita che vogliono condurre.

La giornata lavorativa di oggi è praticamente quella pensata un secolo fa, il progresso tecnologico in 100 anni è stato gigante, ma i salari non sono stati al passo dell’aumento produttivo e l’orario lavorativo è rimasto invariato. Per lavorare si rischia di dover fare ogni giorno ore di viaggio tra traffico e lamiere, senza avere garanzie su quando e a che condizioni ci si potrà godere la pensione. Domande semplici, che in tanti si stanno facendo e a cui chi può sta trovando una soluzione.

La politica dovrebbe rispondere a queste esigenze, ambiziose, come ambiziosi dovrebbero però essere i programmi politici. E se quest’anno preelettorale dovesse essere sotto il segno dei mal di pancia, delle fibrillazioni, dei calcoli presunti o meno in vista del voto, sarebbe bello per tanti se i temi fossero anche questi.

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