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Diario di un’osservatrice europea alle elezioni in Bolivia (di A. Corrado)

Immagine di copertina
Credit: OAS (licenza CC BY-NC-ND 2.0)

Malgrado i tanti sforzi di comunicazione per “aprire” al grande pubblico lo scrigno delle istituzioni europee, molto del lavoro che viene effettivamente svolto resta ignoto ai più e, purtroppo, molto poco riconosciuto. Eppure le funzioni dell’Unione che hanno a che fare in maniera molto stretta ed evidente con la vita di tutti i giorni di cittadine e cittadini europei (e non solo!), sono molteplici.

Forse non tutti sanno che, ad esempio: “Il sostegno alla democrazia in tutto il mondo costituisce una priorità per l’Unione europea. La democrazia rimane l’unico sistema di governo in cui le persone possono esercitare appieno i propri diritti umani ed è un fattore determinante per lo sviluppo e la stabilità nel lungo termine. In quanto unica istituzione dell’UE eletta direttamente, il Parlamento europeo è particolarmente impegnato nella promozione della democrazia.”

Ecco: quella della partecipazione alle missioni di osservazione delle elezioni, è probabilmente una delle funzioni dall’impatto più diretto sui destini delle nazioni extra-unione che gli europarlamentari possono svolgere nel corso del loro mandato.

A maggior ragione in un momento storico in cui l’agibilità politica che l’Europa dovrebbe pretendere sullo scacchiere complicatissimo della politica estera sembra vacillare, l’azione diretta a supporto dello svolgimento delle elezioni nei Paesi che lo richiedano, è una delle funzioni più preziose per il sostegno all’affermazione dello stato di diritto, del rispetto dei diritti umani e del consolidamento delle democrazie nel mondo.

È il caso della Bolivia, che ha appena affrontato la prima fase delle elezioni presidenziali, in un clima che poteva davvero diventare esplosivo, per la tenuta sociale e democratica del Paese. Le controverse elezioni del 2019, il cui esito è stato più volte indicato da opposizioni e osservazioni internazionali come potenzialmente fraudolento, erano sfociate in proteste violente e nelle dimissioni del presidente ri-eletto Evo Morales (contro il quale è stata in seguito aperta un’indagine per traffico di esseri umani, con tanto di mandato di arresto emanato a dicembre del 2024). In una fase estremamente complessa e caotica, era poi stato affidato il compito di condurre il Paese fino alle elezioni del 2020 alla leader dell’opposizione, Jeanine Anez, poi arrestata per reati di “risoluzioni incostituzionali e negligenza al dovere”, anche per la gestione di scontri degenerati con la morte di decine di manifestanti, e tutt’ora detenuta; una sequenza che ha lasciato fratture profondissime nel Paese e che i successivi anni di guida del presidente eletto Arce non sono riusciti a ricucire.

Fratture acuite da una crisi economica e sociale senza precedenti, con gli investimenti nelle infrastrutture necessarie allo sviluppo del Paese in pieno stallo, la popolazione allo stremo e la fiducia nelle istituzioni e nella magistratura crollata al di sotto di qualsiasi soglia accettabile: in una Bolivia depredata dalla corruzione (con indici internazionali che fotografano una situazione in continuo aggravamento) e attualmente alle prese con un’inflazione galoppante, oltre il 40% della popolazione è considerata a rischio povertà: in un quadro di importante frammentazione sociale e polarizzazione delle istanze, nel 2025 si sono acuite le difficoltà al reperimento di generi di prima necessità e le restrizioni degli storici strumenti statali di supporto alle fasce più fragili, culminate, ad esempio, in file di 36 – 48 ore per poter fare rifornimento di carburante.

Molti degli analisti presenti nel Paese hanno rilevato che il motivo per cui la popolazione non sia insorta in questo contesto, sia da individuarsi nell’approssimarsi delle elezioni, la cui affidabilità è quindi via via divenuta ancora più cruciale per la tenuta del Paese. In questo contesto, gli osservatori dell’Unione Europea presenti nel Paese, al fianco delle istituzioni boliviane, erano oltre 120, coordinati dal capo missione, l’eurodeputato croato Davor Stier.La stragrande maggioranza del personale di “lungo periodo” era presente sul territorio boliviano da oltre un mese e mezzo prima dell’ “election day”, con funzioni di analisi politica e mediatica, di supporto tecnico di natura informatica, logistica, gestionale, di sicurezza, etc.:. L’obiettivo di questo tipo dimissioni, in estrema sintesi, è quello di rafforzare la capacità delle istituzioni locali di portare a termine con successo, affidabilità e trasparenza l’intero ciclo elettorale, aumentando nel contempo la consapevolezza, la partecipazione, la fiducia della popolazione nel sistema costruendo.

Nelle giornate immediatamente antecedenti all’apertura delle urne, fino alla conferenza stampa del martedì successivo, agli osservatori di lungo periodo si è affiancata la delegazione del Parlamento Europeo, costituita da sette europarlamentari provenienti da sei Paesi e tre gruppi politici diversi, in modo che fosse evidente la natura squisitamente neutrale e istituzionale (non politico/partitica) della missione. La delegazione ha incontrato e dialogato con i principali attori della macchina elettorale: dal presidente uscente del Paese, Luis Arce Catacora, passando per l’intero collegio e il presidente del Tribunale Supremo Elettorale (in Bolivia i poteri sono costituzionalmente divisi in quattro: alla triade legislativo, esecutivo, giudiziale, si affianca infatti un organismo indipendente che ha la responsabilità dello svolgimento delle elezioni, durante le quali assume direttamente i poteri di controllo dell’esercito e delle forze dell’ordine), i candidati a presidente che hanno accettato l’invito, i rappresentanti della società civile impegnata nel rispetto dei diritti umani e nel consolidamento della democrazia, gli ambasciatori dei Paesi europei e quello della UE (con il quale tanto missione quanto delegazione parlamentare hanno mantenuto un contatto e coordinamento costante), gli inviati delle Nazioni Unite (UNDP in particolare, presente in pianta stabile nel Paese a supporto del consolidamento delle istituzioni, del rispetto dei diritti umani del contrasto alla disinformazione) e di altre missioni internazionali presenti, a partire da quella statunitense e da quella della fondazione ECES, finanziata dalla Commissione Europea.

Gli osservatori parlamentari “di breve periodo” hanno affiancato, inoltre, la missione nel monitoraggio delle votazioni il giorno dell’apertura delle urne e durante scrutini e conteggio dei voti. La popolazione boliviana ha accolto generalmente con grande gratitudine e sollievo la presenza degli osservatori, a testimonianza di un desiderio profondo di poter celebrare il laico rito del momento più importante della partecipazione democratica, senza rischiare di dover affrontare gli scontri violenti e le tensioni del 2019 e 2020.

Per la prima volta le elezioni democratiche, che grazie ad uno sforzo titanico del Tribunale Supremo Elettorale e di tutti gli attori coinvolti, si sono svolte con serenità e persino entusiasmo, non hanno portato ad una maggioranza sufficiente nessun candidato e sarà necessario che la popolazione torni alle urne nel prossimo ottobre per il ballottaggio. Attualmente il vincitore delle elezioni sembra essere un profondo desiderio di cambiamento e di discontinuità con la gestione degli ultimi venti anni, che aveva visto l’assoluto protagonismo del MAS (partito ora frammentato e fortemente punito dalle urne, con il candidato “ufficiale” che ha superato a stento il 3% dei voti e con quello ufficioso ben lontano dal podio) e del suo fondatore Evo Morales che, in questa tornata elettorale, inizialmente aveva urlato alla frode, promuovendo proteste e blocchi in tutto il Paese e invitando a boicottare il voto, mentre poi ha ripiegato sull’invito all’annullamento del voto: un modo per contare il proprio peso politico, malgrado il processo in corso e pur non essendosi candidato.

Il ballottaggio avverrà tra l’esponente di destra, Jorge “Tuto” Quiroga (uno dei tre candidati che, da soli, hanno speso oltre il 90 per cento delle risorse economiche complessive per le campagne elettorali), e la vera sorpresa di queste elezioni, Rodrigo Paz Pereira, che è una figura ben più complessa di quanto trapelatofino ad ora oltreoceano: il più votato al primo turno è un centrista cristiano, conservatore sui temi legati ai diritti civili, ma molto determinato su coesione sociale e lotta alla corruzione, tanto da aver convinto molti delusi dal MAS e, contemporaneamente, da aver immediatamente incassato il supporto del terzo classificato, Samuel Doria Medina, imprenditore, costruttore e vicepresidente dell’internazionale socialista per il sud America e i Caraibi.

Di certo chiunque sarà presidente nella nuova era che attende la Bolivia dovrà gestire una situazione estremamente complessa e a tratti drammatica: in ogni caso la tenuta del processo democratico, che non era affatto scontata e a cui l’Unione Europea ha contribuito attivamente, costituisce finalmente una solida base, su cui costruire il futuro del Paese.

Annalisa Corrado, Eurodeputata, a capo della delegazione parlamentare nella missione di osservazione elettorale in Bolivia

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