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La cultura non crea, ma inventa (di V. Magrelli)

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Più di trent’anni fa rimasi stupito davanti a un volume tradotto da Marsilio: L’invenzione del mare. L’occidente e il fascino della spiaggia (1750-1840). Il testo era firmato da Alain Corbin, studioso di storia sociale e di storia delle rappresentazioni, nonché pioniere della storia delle sensibilità. Ciò che più mi colpì, lo confesso, fu soprattutto il titolo dell’opera, diverso dall’originale eppure sempre di origine francese.

L’autore stesso ha infatti spiegato che l’espressione risale allo storico ottocentesco Jules Michelet, il quale, a proposito di un suo collega inglese del secolo precedente, affermò: «Richard Russell ha inventato il mare». In un’espressione simile, mi piacque molto l’idea di considerare un dato naturale alla stregua di un prodotto culturale: non «scoperto», bensì «inventato». D’altronde, già Roland Barthes avvertiva che «niente è più ideologico del tempo che fa».

Proprio questo atteggiamento è stato al centro delle ricerche condotte da Corbin, che ha via via pubblicato (oltre che una Invenzione della virilità), una Storia delle emozioni, una Storia sociale degli odori, una Storia del silenzio, una Storia del corpo e infine, appena uscito da Marietti 1820 nella versione di Valeria Riguzzi, questa brillante Breve storia della pioggia.

Purtroppo, tra bombe d’acqua e piogge acide, un tema del genere suona tragicamente attuale: è uno dei prezzi pagati all’emergenza climatica, frutto di un progresso tecnologico sconsiderato e cieco. Ma tutto questo rende ancora più attraente la lettura di queste poche e densissime pagine. Il saggio si avvale di una vasta bibliografia sull’argomento (basti citare il volume del 2012 curato da Karin Becker, La pioggia e il bel tempo nella letteratura francese).

Certo, al di là del consueto regime “monoculturale” tipico del mondo transalpino, sarebbe interessante immaginare le stesse indagini svolte in area italiana (a meno che –chissà? – già non esistano). Ad ogni modo, Corbin ricostruisce con indubbia maestria il grande trapasso che ha portato l’uomo a cambiare completamente il suo atteggiamento nei confronti della meteorologia. Lo si vede in particolare nel capitolo sul passaggio dalle invocazioni alle previsioni. Parlando di fenomenologia della pioggia, queste pagine si soffermano su una vera e propria storia dell’impermeabilizzazione, caratteristica dei nuovi materiali sintetici «che hanno relegato in un passato lontano le protezioni, in particolare vegetali, grazie a cui gli uomini di tutte le culture si difendevano».

Affrontando argomenti diversi quali la guerra o i viaggi, la propaganda politica o il raccoglimento domestico, il lavoro agricolo o la dimensione religiosa, Corbin spalanca al lettore altrettante metamorfosi culturali cui è stato soggetto questo fenomeno atmosferico. Un’occasione preziosa per imparare dal passato, sempre che possa esistere, la volontà di immaginare un futuro.
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