Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 16:00
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Opinioni

Tra crisi isteriche e crisi di Governo, il processo democratico che fa così paura ai 5 Stelle

Immagine di copertina

Nelle ultime settimane stiamo assistendo ad un’isteria collettiva da parte dei diversi esponenti politici del Paese per via delle dimissioni del Presidente del Consiglio Mario Draghi. Ogni cinque minuti dai profili social dei politici emergono appelli alla responsabilità e accuse ai diversi colpevoli di questa “non” crisi di governo.

La loro sembra quasi una costante paura del voto quale massima espressione democratica di un Paese, sarà per via del taglio dei parlamentari oppure per il probabile ingolfo che porterà anche nella prossima legislatura – la diciannovesima – ad un probabile Governo di larghe intese, sancendo la fine di diversi partiti, oppure perché davvero ritengono necessario che il Governo attuale prosegua la sua azione che prodotto solo rinvii al 2023 dei più importanti dossier del Paese.

La domanda da porsi è semmai un’altra e l’esprimeva molto bene un caro amico in un chat whatsapp: non possiamo sempre avere paura del processo democratico e dell’incertezza che deriva dal cambiamento (del resto l’insegnava benissimo il prof. Ernesto Paolozzi che l’incertezza è, sul piano psicologico, quello che la libertà rappresenta sul piano etico-politico), altrimenti rischiamo di somigliare più di quanto possiamo immaginare a quei regimi autocratici e perfino dittatoriali. Ancora peggio è giustificare la volontà di diluire le proprie responsabilità politiche con il dogma della responsabilità ad ogni costo, sfociando nella stabilità personale più che politica.

Credevamo che il 4 marzo 2018 – preceduto da reboanti scissioni e divisioni – avesse dato uno scossone ad un sistema politico oramai granitico eppure immediatamente dopo abbiamo vissuto un clima di conservazione e di restaurazione, tanto è vero che le fratture politico-istituzionali del passato vanno via via sanandosi senza alcuna messa in discussione del sistema partitico nel suo insieme, da intendere più come riscoperta del potere come servizio alla comunità piuttosto che come mezzo di autoconservazione.

Questa ennesima crisi di governo ci mostra due cose fondamentali: l’elitarismo di una parte politica mascherata dalla retorica dei migliori e l’estremizzazione della straordinarietà.

Per i primi governare non è solo una questione politica, bensì di titoli e di curriculum, non importa se non hai esperienza politica o se in passato ti sei dimostrato inadeguato, l’importante è avere i titoli. Ed ecco che il merito diventa un modo per escludere e rendere insanabile la frattura che esiste fra rappresentanti e rappresentati. Eppure la politica ha esempi che non sono eccezioni, che mostrano di come più che i titoli, sia necessaria una formazione politica, vediamo per esempio l’ottimo sottosegretario Amendola, oppure uomini del passato come Massimo D’Alema o anche Enrico Berlinguer, non avrebbero i titoli per essere definiti “migliori” eppure erano e sono cavalli di razza della politica. Qui emerge la spaccatura fra chi vede questa crisi più come un processo di “lesa maestà” del migliore piuttosto che come un atto legittimo atto politico di una forza di maggioranza che chiede attenzione ed è invece elevata a capro espiatorio di una maggioranza che non c’è mai stata se non nelle divisioni. In poche parole questo Governo non è migliore dei peggiori, anzi è perfettamente fermo.

Per i secondi c’è sempre un’emergenza che giustifica la straordinarietà del caso, della necessità di derogare la politica; ciò avviene per i DPCM o per la conversione con fiducia dei decreti legge esautorando il Parlamento dal naturale processo decisionale.
Tutto sfocia anche nella governabilità ad ogni costo, eppure in altri Paesi si è votato – perfino negli U.S.A – e in altri abbiamo assistito a crisi di governo affrontate senza isterie se pensiamo a ciò che sta accadendo in Gran Bretagna o anche all’ingolfo avvenuto in Germania.

La verità è che se vogliamo migliorare la qualità della nostra democrazia dovremmo iniziare a rispettarla, senza paura alcuna per il risultato delle urne, formando dirigenti capaci di affrontare le crisi di ogni tipo con la ponderazione e l’aplomb che si compete ad una classe politica dignitosa.

Ti potrebbe interessare
Opinioni / L’ora della pace tra Israele e Palestina (di Laura Boldrini)
Opinioni / L’Europa e i colossi delle Big tech: la politica non abdichi al suo ruolo
Opinioni / Sono Elon, conquisterò il mondo: Musk segna il trionfo dell’economia immateriale sulla politica
Ti potrebbe interessare
Opinioni / L’ora della pace tra Israele e Palestina (di Laura Boldrini)
Opinioni / L’Europa e i colossi delle Big tech: la politica non abdichi al suo ruolo
Opinioni / Sono Elon, conquisterò il mondo: Musk segna il trionfo dell’economia immateriale sulla politica
Opinioni / L’Italia non fa nulla per fermare la fuga dei cervelli: dal Portogallo uno spunto su cui ragionare
Esteri / La democrazia muore nelle tenebre delle oligarchie (di Giulio Gambino)
Esteri / Cosa aspettarsi dalla guerra in Ucraina nel 2025
Cultura / GPO: l'uomo che incontrava Einstein ogni mattina alla fermata del tram (di S. Gambino)
Opinioni / La nuova Internazionale della Destra (di Giulio Gambino)
Opinioni / Il martirio di Gaza tra allarme genocidio e pulizia etnica (di F. Bascone)
Opinioni / Come ti smonto le 5 obiezioni allo Ius Scholae (di S. Arduini)