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Cop27, Meloni e la stretta di mano ad al-Sisi: quel silenzio che oltraggia Giulio Regeni

Immagine di copertina
credit: ansa foto

Ci vuole tutta la forza del mondo per sopportare quello che in questi anni hanno vissuto i genitori di Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano torturato e ucciso al Cairo il 25 gennaio 2016. Sono trascorsi mesi, anni, governi. Hanno ascoltato promesse, bugie, dichiarazioni oscene e provato, con una dignità senza pari, a ricostruire la verità, a trovare i responsabili di quella morte orribile. Senza indietreggiare mai. I genitori di Giulio, la sua famiglia e i suoi amici, hanno seguito le regole. Hanno aspettato i tempi della giustizia, hanno atteso che qualcuno, tra i tanti ministri e premier che si sono succeduti in questo Paese, facesse un gesto più deciso e risoluto per avere giustizia e verità. Ma la realpolitik, come si ama chiamarla, ha avuto la meglio.

Quante promesse, quanta propaganda, quante frasi di circostanza. Si può dire che col governo Draghi si sia messa definitivamente a tacere la loro voce.

Lo scorso 15 luglio, la corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Roma contro la decisione del gup che l’11 aprile aveva disposto la sospensione del procedimento disponendo nuove ricerche degli imputati a cui notificare gli atti. Con la decisione della Cassazione si sono fortemente ridotti i margini per potere celebrare un processo in Italia sul caso Regeni.

E il nuovo corso dei rapporti italo-egiziani lo segna un tweet della premier Giorgia Meloni di qualche giorno fa: “Ringrazio il Presidente al-Sisi per aver augurato buon lavoro al governo italiano – ha scritto Giorgia Meloni su Twitter – Abbiamo a cuore la stabilità del Mediterraneo e del Medio Oriente e siamo determinati a rafforzare la nostra cooperazione bilaterale su questioni cruciali come la sicurezza energetica, l’ambiente, i diritti umani“.

Non una parola su Giulio, né al momento del suo insediamento come premier, né in questi giorni, alla vigilia di un viaggio che sembra chiudere un cerchio. Meloni oggi sarà in Egitto per la Cop27, è la prima volta che un premier italiano rimette piede nel paese dove è stato ucciso Giulio Regeni e dove resta bloccato il giovane Patrick Zaki, anche per lui il sogno di tornare in Italia sembra ormai una chimera. A noi resta questo silenzio, quello di una premier che fa dell’essere italiani l’orgoglio nazionale da promuovere ed esaltare (anche cambiando nome ai ministeri se necessario) ma che abdica all’orgoglio di un giovane italiano ucciso con ferocia e spietatezza, in virtù di rapporti economici e geopolitici che hanno certamente più importanza di un singolo nome ormai perso nel vento.

Resta il fatto che la mano di al-Sisi, quella è praticamente certa che andrà stretta, cosa che è già successa negli anni scorsi: lo ha fatto Giuseppe Conte, per esempio, che ha incontrato in Italia e in diversi vertici internazionali il presidente egiziano. Seppur accompagnando quella stretta di mano con parole di circostanza e promesse mai mantenute.
Di più, Meloni si prepara a organizzare un bilaterale con il presidente di un Paese che da anni calpesta il diritto e i diritti umani, rifiutandosi persino di consegnare anche soltanto gli indirizzi dei quattro agenti imputati dell’assassinio Regeni, necessari per fare cominciare il processo nel nostro Paese.

Per il faraone al-Sisi il summit di questi giorni è una consacrazione internazionale. E’ la conferma che la diplomazia degli affari cancella e violenta il rispetto dei diritti umani. Quanto poi a Giulio Regeni, nonostante la sua vicenda sia stata evocata nel dibattito alla Camera sulla fiducia al Governo, non un riferimento, non una parola, non un impegno è scaturito dalla presidente del Consiglio né dal neo titolare della Farnesina, Antonio Tajani.

Ed è il silenzio quello a cui si è affidata anche la famiglia Regeni. Un silenzio diverso e pesante. Convinti che non tocca ai “cittadini” dover pietire davanti al proprio Stato quello che sono convinti essere un diritto non loro, ma di tutti gli italiani.

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