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Home » Opinioni

Politica autoritaria in Italia e alleanze strategiche all’estero: ecco l’ambizioso piano di Meloni

Immagine di copertina
Credit: AGF

Come il cacio sui maccheroni. Fa felice la premier e capita a fagiolo per spingere a tutto gas sulla riforma della Giustizia l’iscrizione sul registro degli indagati (non c’è alcun avviso di garanzia) di Giorgia Meloni, dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovano per favoreggiamento e peculato in relazione alla liberazione del boss libico Almasri, accusato di decine di omicidi e di torture dalla Corte Penale Internazionale.

Lo show da consumata attrice politica della sorella d’Italia, che ha prontamente annunciato in un video l’iniziativa giudiziaria, conferma il suo talento di comunicatrice coniugato con un cinismo politico fuori dal comune.

Meloni era perfettamente consapevole del cumulo di distorsioni logiche e fattuali alle quale faceva appello ma sapeva anche che il suo elettorato di riferimento non avrebbe colto le sfumature, lieto di raccogliere il suo grido di dolore contro il complotto internazionale ordito ai danni del suo governo e appoggiato dalla magistratura italiana per spirito di rivalsa nei confronti della riforma della Giustizia.

Demagogia allo stato puro, che purtroppo trova orecchie che la rilanciano anche in ampi settori dell’informazione “melonizzata” in servizio permanente effettivo. Italo Bocchino, Pietro Senaldi e Mario Sechi sono i vessilliferi della contro-informazione governativa.

Sono in scena, ormai è chiaro, due Meloni. La Meloni che fa politica interna cavalcando le peggiori spinte populistiche della parte meno avvertita dell’elettorato italiano: la paura dell’immigrazione, il timore per la sicurezza nelle città (problema reale ma malamente affrontato) e le spinte liberticide che connotano questa destra estrema.

Con una differenza sostanziale rispetto al passato. La destra storica missina dalla quale Meloni proviene era rigidamente legalitaria e non avrebbe mai accettato compromessi al ribasso. Fratelli d’Italia rovescia questo paradigma e i paradigmi li capovolge tutti attaccando un pilastro dello stato di diritto, la magistratura, accusata di non essere abbastanza “comprensiva” verso la politica.

Su questo terreno Meloni si è spinta ben oltre e più in profondità di Silvio Berlusconi, il quale con le decine di leggi ad personam non perseguiva alcun modello politico, totalmente assorbito dalla difesa delle proprie aziende e della propria fedina penale. Un salto di qualità all’indietro che Forza Italia e Tajani assecondano supinamente. “La Corte penale non è la bocca della verità”, ha avuto l’impudenza di dichiarare il ministro degli Esteri. Come se l’Italia (e tutti i partiti) non avessero firmato il protocollo di adesione alla Cpi.

E allora via con i decreti sicurezza affetti da evidenti aspetti anticostituzionali (si va in galera sedendosi in mezzo alla strada a protestare). Le altre norme varate da Nordio si collocano fra il comico e il drammatico: il candidato all’arresto deve essere avvisato per tempo delle manette in arrivo. Le intercettazioni ridotte al lumicino con conseguente grande festa delle varie mafie che si preparano a banchettare vieppiù sulla testa degli italiani.

In questo quadro distopico a Meloni viene facile scaricare gli utili cascami del nostalgismo fascista e in occasione del Giorno delle Memoria, la premier può serenamente accusare il fascismo di complicità con il progetto nazista di cancellazione degli ebrei.

I suoi fedelissimi in camicia nera finiranno per rassegnarsi: per la Meloni statista i camerati che fanno il saluto romano sono diventati un motivo di imbarazzo. Lei punta molto più in alto, oltre i confini della Nazione.

Alla Meloni domestica infatti si affianca, completandola, la Meloni leader globale: Giorgia è già diventata l’amica fervente di Donald Trump che le ha dedicato parole al miele (“Lei mi piace molto”). Meloni sogna di diventare il partner speciale del presidente degli Usa, la sua ambasciatrice nei rapporti con l’Unione europea, la garante dell’allineamento del Vecchio Continente ai desideri del nuovo padrone della Casa Bianca.

In cambio si augura di ricevere da Trump il trattamento speciale riservato agli amici dello zio Sam. Dazi più leggeri sulle nostre esportazioni, forniture energetiche meno esose (il gas Usa liquefatto costa quattro volte quello russo soggetto ad embargo) e soprattutto ciò che ai suoi occhi più conta, lo status di esponente politica di primissimo piano.

“La politica estera è politica interna. Nel senso che ogni rapporto solido che si crea è una porta aperta per le nostre imprese e per i nostri prodotti”. Sono parole sue e spiegano l’arcano.

Ben vengano gli accordi commerciali con il principe saudita bin Salman (amico di Renzi), indicato dalla Cia come il mandante dell’assassino del giornalista Khashoggi, alla guida di un Paese che calpesta sistematicamente i diritti umani, discrimina le donne e gli omosessuali e sta affamando e radendo al suolo lo Yemen.

Abbracci e baci col rais argentino Milei, il presidente della motosega all’opera per demolire lo stato sociale mettendo sulla strada milioni di poveri. Senza negarsi sorrisi e carezze con Orban, il tarlo ungherese che sta corrodendo l’Ue e la tiene in in scacco contando su un unanimismo che le mette piombo nelle ali.

Il progetto Meloni insomma è chiarissimo: rafforzarsi in Italia con leggi che riducano al silenzio le opposizioni e le voci dissonanti, scaricare i nostalgici del fascismo e sul piano dei rapporti internazionali costruirsi lo status di statista attraverso un reticolato d amicizie e di alleanze con i potenti della Terra (non importa di quale segno politico) disposti a riconoscerne la statura e il ruolo di leader. Progetto assai ambizioso, tuttavia non è certo l’ambizione che manca all’ex ragazza della Garbatella sbarcata a furor di popolo a palazzo Chigi.

Nel frattempo l’opposizione riflette, si consulta, si scontra e si intralcia con veti ad personam e non riesce a mettere insieme un progetto decente di Italia alternativa all’Italia di Meloni.

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