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Travaglio: “Cinque Stelle in crisi di identità, dovevano dire sì al processo a Salvini”

Marco Travaglio
Di Redazione TPI
Pubblicato il 16 Feb. 2019 alle 10:14 Aggiornato il 18 Feb. 2019 alle 08:14

“Se i vertici 5 stelle interpellano gli iscritti, significa che non sanno che pesci pigliare, o preferiscono che a pigliarli al posto loro sia la “base. […]   E questo è già preoccupante, per un Movimento nato per contestare i privilegi della casta e per affermare la legge uguale per tutti. Un caso tipico di crisi di identità”.

A scriverlo è Marco Travaglio, nel suo editoriale di sabato 16 febbraio sul Fatto Quotidiano. Travaglio sferra così un duro attacco ai Cinque Stelle per la scelta di far decidere alla base come votare sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini per il caso Diciotti.

Per il direttore del Fatto, il Movimento doveva assumersi la responsabilità della decisione, senza delegare la scelta alla base.

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Travaglio non ha risparmiato nemmeno Luigi Di Maio.

“Chi ha sempre predicato che i politici devono difendersi nei processi e non dai processi perché nessuno può essere sottratto alla legge e dunque alla magistratura, non può avere dubbi sull’autorizzazione a procedere per Salvini. Soprattutto dopo che i ministri Di Maio e Toninelli si sono di fatto autodenunciati, con una memoria a sostegno della sua condotta, da inviare ai magistrati perché decidano se indagare anche su di loro: se uno si autodenuncia, poi non può impedire ai giudici di pronunciarsi. Sarebbe un altro controsenso”.

Il direttore del Fatto non ha dubbi: “Qualunque persona perbene di qualsiasi orientamento, e a maggior ragione un militante M5S, deve dire Sì al processo a Salvini: sia che lo ritenga un bieco sequestratore, sia che lo giudichi un benemerito difensore dei patrii confini. Affinché a giudicarlo sia un tribunale e non la sua maggioranza parlamentare”.

Travaglio non lesina nemmeno bacchettate sul voto che si terrà sulla piattaforma Rousseau. Una consultazione che, precisa, dovrà essere “neutra, non orientata”, priva di “indicazioni suggestive”.

Si dovrebbe evitare, ad esempio, che a introdurre il voto sia un video di Mario Giarrusso, “con il rischio che la sua irruenza, anche animata dalle migliori intenzioni, sortisca un appello non proprio asettico”.

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