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Voi, che negate l’aborto all’11enne incinta dopo uno stupro, davvero credete di difendere la vita?

Attiviste per il diritto all'aborto in Argentina. Credit: ALEJANDRO PAGNI / AFP

Il commento di Iacopo Melio sul caso di cronaca che arriva dall'Argentina: davvero siamo arrivati a giustificare l’ingiustificabile in nome di una presunta “vita”?

Di Iacopo Melio
Pubblicato il 12 Mar. 2019 alle 16:41 Aggiornato il 18 Apr. 2019 alle 09:26

Era stato il compagno 65enne della nonna a violentarla mettendola incinta a soli 11 anni. La bambina e la sua famiglia avevano richiesto di abortire, ma la richiesta che era stata negata costringendo ad un taglio cesareo solo alla 23esima settimana.

Inutili le proteste delle femministe e delle associazioni in difesa delle donne. Il medico Cecilia Ousset, dopo l’operazione, ha detto: “Abbiamo salvato la vita di una ragazza di 11 anni che è stata torturata per un mese dal sistema sanitario provinciale”.

Siamo in Argentina, nella provincia settentrionale di Tucumán, e la notizia ha fatto il giro del mondo grazie al quotidiano britannico The Guardian che, per primo, ha dato voce a questa tragedia: la negazione di un diritto, quello ad interrompere una gravidanza frutto di uno stupro [ne abbiamo parlato qui].

Una tutela oltretutto per la salute della ragazzina e quella del bimbo in grembo, che avrebbe avuto comunque minime possibilità di sopravvivenza (nel frattempo il neonoato è morto, ndr). E ora ditemi quale sia il crimine, quello di ”toglierle ciò che quell’uomo le ha messo dentro” (per citare la preghiera della ragazzina stessa ai medici) o quello di violare la sua autodeterminazione con conseguenze disastrose.

Il 23 gennaio dell’anno scorso, infatti, la bambina ha scoperto di essere incinta, e già la settimana successiva è stata ricoverata per tentato suicidio. Anche se sarebbe più corretto parlare di omicidio da parte di una legge che non permette l’aborto (ma solo l’interruzione di gravidanza in caso di stupro).

Davvero siamo arrivati a giustificare l’ingiustificabile in nome di una presunta “vita”? Davvero ci dobbiamo dividere tra chi promuove la libertà e l’autonomia delle donne, e chi si ostina a coprirsi gli occhi negando l’esistenza di trattamenti così disumani?

Non a caso la Chiesa e buona parte della classe politica conservatrice si è schierata con la scelta di salvare entrambe le vite: non a caso ogni anno, in Argentina, vengono eseguiti circa 450mila aborti illegali.

Rispondete voi, per favore, a queste domande. Che quando lo faccio io, persona con disabilità fisica, vengo immediatamente attaccato con l’accusa di poca gratitudine: “Facile schierarsi con la libertà d’aborto quando si è già nati! Se i tuoi genitori avessero scoperto la tua disabilità in gravidanza, secondo la tua logica non saresti qui! Saresti felice?”. Eh, penso proprio di sì. Perché significherebbe che la mia famiglia sarebbe stata libera di scegliere prima di tutto per se stessa, mentre io (in quanto non ancora nato) non avrei saputo cosa avrei perso.

Il “senno di poi” in questi casi vale quanto i soldi di cioccolato: sicuramente buoni, appetitosi, ma senza potere di scambio. Ecco perché vale una cosa soltanto: il buonsenso. Quello di chi sceglie di non commettere crimini, ché ci sono omicidi molto più subdoli di un aborto fatto per necessità. Un aborto per risparmiare dolore, alle madri come ai futuri figli-mai-nati. E prima impariamo ad accettare certe decisioni, e prima ci avvicineremo alla razionale, scientifica quanto etica civiltà.

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